Drammaturgia di Gabriele Vacis e PEM
ispirato alla tragedia di Eschilo
traduzione Monica Centanni
con Davide Antenucci, Andrea Caiazzo, Lucia Corna, Pietro Maccabei, Lucia Raffaella Mariani, Eva Meskhi,
Erica Nava, Enrica Rebaudo, Edoardo Roti, Letizia Russo, Lorenzo Tombesi, Gabriele Valchera
scenofonia e allestimenti Roberto Tarasco
cura dei cori Enrica Rebaudo
produzione PEM Impresa Sociale con Artisti Associati Centro di produzione teatrale Gorizia, Fondazione ECM Settimo Torinese
regia Gabriele Vacis
76.mo Ciclo di Spettacoli Classici
Vicenza, Teatro Olimpico, 21, 22, 23 settembre 2023 PRIMA NAZIONALE
In una perenne, attenta ricerca evolutiva, Gabriele Vacis affronta con i suoi ragazzi PEM, Potenziali Evocati Multimediali, l’Eschilo di Sette a Tebe, nell’inafferrabile e immancabile lotta tra sovrani e possibili tali, per il controllo della città. Tempo antico e moderno, poco importa tale sono le similitudini che si ripetono sull’umano, con tragedie sempre pronte ad avvenire, a sostituire. Sette a Tebe apre il 76.mo Ciclo dei Classici al Teatro Olimpico con una prova degli interpreti misurata, difficile, sempre recitata a luci completamente accese, a mio avviso un limite che limita il coinvolgimento e di teatrale non ha poi molto. Una tragedia sviscerata pure nel campo dell’attore e del recitare, nel plurimo ruolo dell’interprete e nelle varie voci che lo attraversano. Duplice, triplice significato dunque, per un’estrazione dal classico di Eschilo che al centro della vicenda vede Tebe e i due fratelli Eteocle e Polinice, attorniati, è proprio il caso letterale, dalla loro comunità. Ma ancor di più protagonista rimane proprio il conflitto, eterno, devastante, oserei addirittura dire imbarazzante perché mai sconfitto. Il testo è affiancato da una visione contemporanea, e il tutto , luci accese a parte, risveglia con un messaggio potente, e ribattuto più volte, le coscienze, o almeno tenta. Humanum insomma è, dai tempi antichi, guerra e morte, confronto senza speranza seppur qualche barlume spunta qua e là. E’ altresì curioso vedere la sovrapposizione dell’oggi sul passato, le storie personali di ognuno dei giovani attori che, senza maschera, spogliatisi dei loro abiti neri e vestiti quelli di tutti i giorni, si narrano nelle proprie decise opposizioni . Anche qui insomma, teatro del teatro e nel teatro, un avvolgimento che coglie la dura sapienza, vergognosa, delle guerre di ogni tipo. Facendo capo a Eschilo, e ai due fratelli, si rivive il mito di mal sopportazione che vuol arrivare alla violenza, tutto a causa di un accordo disatteso. Azioni plastiche e cori, c’è un gran muoversi, un gran daffare nell’agora tebana tra i canti e le cantilene (spunta anche addirittura Sidun, di deandreiana memoria) e gli attori recitano un ruolo che si interscambia col personaggio, con gli schieramenti netti uomini-donne. L’impronta è nettamente classica , il linguaggio muta e declina al moderno, subentra (forse troppo) materiale umano dell’oggi e colpisce la lunga lista delle armi, Kalashnikov compreso, declamata da Pietro Maccabei. Tutto è concentrato verso il rifiuto rigoroso della guerra e di ciò che si porta appresso in un esercizio attoriale e drammaturgico ancor prima, in cui non è difficilissimo perdersi, a tratti. C’è un’unica soluzione, quella vera, sentita: nonostante si sia martiri, la fortuna è di essere, ed essere vivi. Questo anche per reazione a ciò che non si vuole, da umano, mai imparare, elaborare: lo stare benedettamente in pace con gli altri. Il futuro, poi, è donna, come narrava Ferreri. Tra i giovani attori, la bella trasparenza di Eva Meskhi, la spontaneità di Andrea Caiazzo. Vacis continua dunque il suo percorso, questi bravi ragazzi, preparati, lo seguono. Francesco Bettin