di Edoardo Erba
Regia di Armando Pugliese
Scene e costumi di Andrea Taddei
Con Andrea Tidona, Carla Cassola, Barbara Giordano, Giovanni Carta. Produzione Mario Chiocchio
Catania, Teatro Brancati, dal 24 febbraio al 7 marzo 2010
CATANIA (gi.gi.).- Nel 1907 Adolf Hitler viene bocciato all'esame d'ammissione all'Accademia delle Belle Arti di Vienna. Cosa sarebbe diventato se avesse superato quest'ostacolo? Se l'è chiesto Edoardo Erba che su questo interrogativo ha architettato un'intrigante pièce, Senza Hitler, in cui questo flagello di dio diventa invece un mediocre pittore del suo tempo, sostenendo che Picasso è un'invenzione dei critici e che i dipinti di Mondrian sono solo dei quadretti colorati. Con la bella regia di Armando Pugliese, l'azione si svolge nella Berlino degli anni '50, su una scena, quella di Andrea Taddei (suoi pure i costumi) composta da mobilio color marrone d'epoca e altre cianfrusaglie. Qui vive una vita da bohème il pittore sessantenne Adi, come affettuosamente lo chiama la sua modella-amante-cameriera Eva Braun, rispettivamente Andrea Tidona e Carla Cassola, bravi e perfettamente calati nei loro ruoli. Rompe la loro monotonia la visita d'una giornalista di Francoforte, Anna Giordano, curiosa di sapere perché quell'artista, con tecnica fotografica ottocentesca, popola le sue tele di morti, di scheletri, di personaggi sofferenti e urlanti in primo piano, usciti quasi da un inferno. Soggetti realistici, invero, che non gli hanno dato grande fama e prestigio, sia pure invitato ad una Biennale di Venezia cui non prenderà mai parte. Lo spettacolo diventa ancor più vivace quando dopo qualche tempo si fa viva quella ragazza che non fa più la giornalista. Vengono fuori dei dialoghi simili a dei puzzle, dei giochi ad incastro ricchi di verità storiche, condite d'ironia e metafore, dalle quali esce fuori, nonostante tutto, l'anima antisemita di questo Adolf, che qui di sicuro ha fatto male solo a se stesso. Ma la storia, quella vera, non si fa con "se" o con i "ma". Il finale è da thriller che è meglio non rivelare. Fra i tre appare un paio di volte un sergente di polizia (Giovanni Carta) niente affatto fiscale, piuttosto accomodante. Applausi calorosi e repliche al Teatro Brancati sino al 7 marzo.
Gigi Giacobbe