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SECONDE SURPRISE DE L'AMOUR (LA) - regia Luc Bondy

La seconde surprise de l'amour La seconde surprise de l'amour Regia Luc Bondy

di Marivaux
regia: Luc Bondy
drammaturgia: Dieter Sturm
scenografie e luci: Karl-Ernst Herrmann
costumi: Moidele Bickel
con Pascal Bongard, Audrey Bonnet, Clotilde Hesme, Roger Jendly, Roch Leibovici, Micha Lescot
Festival di Spoleto 2008 - prima italiana
Spoleto, San Nicolò, dal 27 al 29 giugno 2008

Il Messaggero, 5 luglio 2008
Corriere della Sera, 29 giugno 2008
Com'è bello sospirare con chi ci comprende

La giovane Marchesa è vedova dopo un solo mese di matrimonio, e si è chiusa in una tristezza che, per sua ammissione, le piace provare. Anche il Cavaliere ha dovuto rinunciare ad Angelica, chiusa in un convento, e si aggira lamentoso per le stanze del suo appartamento. Cosa c'è di più bello che "sospirare con chi ci comprende"? Nulla, dicono loro, specie se quello che ci comprende ha anche delle fattezze piacevoli e invitanti. I due decidono a tavolino di iniziare una salda amicizia, basata sulla condivisione della filosofia e delle sue consolazioni. C'è addirittura una specie di precettore a vegliare che la Marchesa schivi ogni passione, ma a un certo punto - e quello è il momento migliore - si capisce bene che quello è solamente un simbolo, e che gli altri, soprattutto i servetti dei due nobili, non possono vederlo (in tutti i sensi). E' solo della Marchesa che lo ha voluto e ora si lascia alimentare a bocconcini di Seneca come terapia ai mali dell'anima il problema di allontanarlo e dare libero sfogo ai suoi impulsi. Delizioso.

Quello che rende leggera e godibile la versione de La seconde surprise de l'amour di Marivaux, diretta da Luc Bondy al San Nicolò per il Festival di Spoleto (con, tra gli altri, Pascal Bongard e Audrey Bonnet) è l'attualizzazione dei personaggi. I quali, tanto per restare in Francia, somigliano tanto ai ragazzi del Mouret di Solo un bacio per favore. Intellettualismi, ritrosie, paure, delicatezze. Donne cervellotiche e tutte d'un pezzo e uomini aggraziati e indecisi, quasi smorfiosi. Ma l'amore non aspetta altro che rigenerarsi, e prendersi gioco della filosofia. Se quella, beninteso, significa chiusura. «E' l'opinione che ci dà tutto e tutto ci toglie», e la nostra è che questa Seconda sorpresa abbia solo perdonabili debolezze (quando i personaggi diventano caricature). Per il resto due ore abbondanti scorrono via.

Paola Polidoro

Marivaux senza fine con Bondy

Al festival di Napoli m' ero accostato con un fosco pregiudizio. Scorrendo il programma mi dicevo: ecco una grossa torta (politica), a ognuno la sua fetta. Ma quello che sulla carta sembrava un pasticcio, o una torta, s' è nei fatti rivelata una fonte di vitalità. Al festival di Spoleto mi sono accostato nel modo opposto. Nel nuovo direttore Giorgio Ferrara, nel suo programma, ho creduto di scorgere una coerenza, un progetto culturale. Ma nei fatti le buone intenzioni si rivelavano, o tali le ho percepite, decidue, smorte. Dico, a prescindere dallo spettacolo d' apertura. Il punto è l' atmosfera, è la stessa Spoleto. Non si captava nessun fervore, neppure quello di una qualche più o meno brillante mondanità. I fasti di un tempo non ci sono più. Possono tornare solo in forma di fantasmi. Con tutta la sua bolgia, con tutti i suoi eccessi, Napoli è una cosa nuova e non ho visto un teatro che non fosse pieno. Spoleto è imparagonabile, sia dal punto di vista dell' ambiente sia dal punto di vista dei mezzi. Ma proprio come l' anno scorso, quando per il teatro di prosa fu in cartellone uno spettacolo Walter Malosti, il semivuoto era lo stigma di un festival che aveva avuto un prestigio internazionale. In più, Discopix di Malosti era d' un qualche rilievo. Di nessun rilievo è La seconde surprise de l' amour. Presentato in pompa magna, questo spettacolo dello svizzero Luc Bondy, nato a Zurigo nel 1948 è uno di quei Marivaux di cui il pubblico, all' uscita, dice: raffinato, se fosse durato altri dieci minuti sarebbe stato ancora più elegante! La durata effettiva de La seconde surprise era di centoventi, interminabili minuti. Dopo i primi dieci si sapeva già tutto. Non tanto, intendo, a causa di Marivaux; quanto, e propriamente, a causa di Bondy. Che Marivaux sia quel che sia non è colpa sua. Visto da lontano, cioè in regime di ignoranza o di luogo comune, è uno degli scrittori sempre più simili a se stessi che vi siano al mondo. Per affrontarlo non vi sono che due possibilità. O si fa come Toni Servillo, si taglia (senza tagliare), lo si fa veloce, a duecento all' ora, sì da farlo durare non centoventi ma settanta minuti; o ci si accosta su un piano seriamente analitico - come, per dire la verità, non ho mai visto. Dice Jean Rousset: «Ogni suo dramma combina differentemente queste leghe microscopiche: sapere, non sapere, sapere di non sapere, dissimulare che si sa e nascondere che lo si dissimula». Ma le generose simmetrie di Marivaux («la doppia incostanza», «la seconda sorpresa» ecc.) come vengono dai registi risolte? Da Bondy nel modo più vistoso, dunque grossolano. Su un asse che taglia lo spazio scenico sono deposte due simboliche casette, una ricoperta da un velo nero (che indica lo stato di lutto della sua padrona la Marchesa) e l' altra di cui si scorge prima una metà e poi l' intero-l' intera simmetria. Per essere brillante, Bondy circoscrive questo ambiente astratto in una cornice luminescente, al neon, con le luci che impreziosiscono di grigio lo sfondo. Un tocco di modernità è offerto dalla bici su cui arriva il servo del Cavaliere, anch' egli futuro candidato alle frecce di Cupido. La maggior risonanza la ottiene proprio il Cavaliere, con il suo pantalone color terra bruciata, la sua bianca camicia e la sua giacchetta nera, allacciata con un solo bottone, il più alto: cioè un vertice di dandismo stralunato; cioè, ancora, di deliziosa, parigina modernità.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Ottobre 2013 09:27

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