di Carlo Goldoni
adattamento e regia di Roberto Latini
scene di Marco Rossi
costumi di Gianluca Sbicca
luci di Max Mugnai
musiche e suono di Gianluca Misiti
con (in ordine alfabetico) Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi,
Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni,
Marco Sgrosso, Marco Vergani
produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa,
visto al Teatro Grassi, 23 febbraio 2018
Una pistola puntata sul pubblico che sbuca da un sipario di plastica da cui emergono le teste degli attori: inizia così Il teatro comico di Roberto Latini, dal testo di Carlo Goldoni. Inizia con una sfida armata, una pistola cechoviana che all'improvviso compare come apparente risolutrice di trame e relazioni, come antidoto all'insostenibile leggerezza del vivere. Ad essere colpito è Orazio/Roberto Latini/capocomico, ha un buco in pancia che sanguina, una ferita mortale eppure gravida di vita. E di vita e teatro, del Gran Libro del Teatro e del Gran Libro del Mondo tratta il testo goldoniano, dove il mondo è quello dei comici, il teatro è quello della riforma dell'autore veneziano.
Roberto Latini riprende il suo Arlecchi-No – scandito con gusto destrutturante – dal Servitore dei due padroni di Antonio Latella, ne è una continuazione, un pensiero che ritorna e da quell'esperienza latelliana germina. Nel Servitore di due padroni Roberto Latini vestiva i panni bianchi della maschera, presenza fantasmatica, concentrato teatrale che dal lazzo della mosca arrivava al Principe Costante di Grotowskij. E quella mosca ritorna insistita e appartenente a tutti gli attori/personaggi in questo Teatro comico latiniano. La mosca richiama l'Arlecchino di Moretti, prima e poi di Ferruccio Soleri e ovviamente lo spettacolo di Giorgio Strehler, evocato sempre e non a caso nella stagione del settantesimo della nascita del Piccolo Teatro. E non è un caso che la statua di Arlecchino campeggi al lato del boccascena, usata a mo' di sbarra che impedisce il passaggio o lo rende accessibile, alla condizione di passare di lì, di fare i conti con la maschere per eccellenza. Così Roberto Latini ha deciso di ingaggiare una sfida a pugni, a colpi di pistola con quel fantasma concreto e ingombrante che è Arlecchino, questa volta di nero vestito, con e senza maschera, Arlecchino tradito dal drammaturgo che ha annullato le maschere e la commedia all'improvviso, ma le cui losanghe sono proiettate sullo sfondo, reinterpretate alla Rothko, segno che ricorre, permanenza nella storia del teatro. Se poi si aggiunge che per il suo Teatro Comico Latini ha voluto in compagnia Elena Bucci, Marco Sgrosso e Marco Manchisi il pensiero va ad un altro frequentatore della Commedia dell'Arte e del teatro capocomicale, il Leo de Berardinis del Ritorno di Scaramouche, ma anche di uno spettacolo dimenticato ma di cupa genialità quale fu: L'impero della ghisa ovvero dell'età dell'oro e dei Giganti della montagna.
Latini nei panni del capocomico ci presenta i suoi attori e personaggi, tutti riuniti su una pedana, che è il palchetto della Commedia dell'Arte, ma è anche la zattera su cui sta quella picciola compagnia in balia del flutti, scardinata nelle sue certezze, costretta a una vita errabonda e di miseria, non più guidata dalla tradizione della commedia all'improvviso. Quegli attori sono alla ricerca di personaggi da incarnare e non vivono più di caratteri. Quegli attori schierati alla ribalta e presentati ad uno ad uno sono un omaggio ai Sei personaggi pirandelliani, si raccontano invitati da Orazio il capocomico come i personaggi fanno su sollecitazione del padre nel testo di Pirandello. Le sagome degli attori si stagliano come figurine sul fondale richiamando il Mozart di Giorgio Strehler e forse l'Arlecchino del buongiorno, affidato a un doppio cast di giovani allievi della scuola.
La riflessione sul teatro si intreccia alla farsa/commedia che la compagnia deve mettere in scena, un alternarsi di racconti che trova una sua corrispondenza iconica nella costruzione visiva che Latini condivide con le scene di Marco Rossi, le luci di Max Mugnai, i costumi 'rovesciati' di Gianluca Sbicca e soprattutto e come sempre le musiche e il suono di Gianluca Misiti. Il teatro comico è teatro elevato all'ennesima potenza che Latini costruisce apponendo situazioni, più che sviluppando racconti. E allora la zattera fluttuante della prima parte della messinscena è quella dei comici in balia di un teatro che si trasforma, ma è anche il carretto di Ilse nei Giganti della Montagna. Fare i conti con le maschere ed Arlecchino è fare i conti con il suo sacrificio, eccolo allora fatto a pezzi, pezzi che rimangono sospesi come simulacri, ma anche carne e pane spezzato fra gli officianti il rito della scena: gli attori. Latini accumula, accumula, per pensare a un teatro riformato – oggi – bisogna fare a pezzi Arlecchino, bisogna mettere a dura prova il linguaggio del teatro e farlo attraverso il crashtest delle anime e dei corpi degli attori che per essere non possono limitarsi a rappresentare la realtà. In questo senso il Teatro comico è un continua costruzione e distruzione di situazioni, di citazioni, è un fare e disfare, provare e riprovare e alla fine errare nel senso di abitare il mondo per andare in cerca di soluzioni possibili ma anche sbagliare, fallire e dal fallimento rinascere.
Roberto Latini quando si libera dall'habitus goldoniano è sublime, costruisce il non detto e l'immaginato, lo fa con scene di straziante bellezza, lo fa componendo la sua compagnia incidentata di teatro citando la Classe morta di Kantor. In questo senso 'il dire premeditato patito dalla maschere' viene messo in crisi, superato, fatto a pezzi, sparato da un incedere di variazioni jazzistiche affidate alla verità, all'autenticità che sta dietro la finzione, che è maschera di verità. Roberto Latini nel Teatro comico interroga la persona, traslitterazione del vocabolo latino che non a caso voleva dire maschera, e allora il gioco del rovesciamento dei costumi è quello dell'apparire ed essere, del sottile crinale che c'è fra finzione e realtà. Su questo s'interroga Roberto Latini con il suo Teatro comico e lo fa pretendendo la forza creativa dei suoi attori, chiedendo loro di essere maschere e nell'essere maschera di farsi portatori di vita vera. Ciò che propone il Teatro comico è un testo aperto, è l'interrogarsi più che il concludere e portare a compimento un copione, una storia. In questo senso il lavoro di Roberto Latini è un invito a ri-fondare il teatro, mettendolo alla prova nella sua semantica proprio come in un crashtest dei corpi e delle anime effimere del teatro: gli attori.
Nicola Arrigoni