di Christopher Marlowe
Interpreti: Vincenzo Pirrotta, Tamara Balducci, Gigi Borruso,
Lorena Cacciatore, Giovanni Calcagno, Paride Cicirello,
Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Fabrizio Romano
regia Luigi Lo Cascio
Scene e costumi: Nicola Console e Alice Mangano
Musiche: Andrea Rocca
Luci: Cesare Accetta
Produzione: Teatro Biondo Di Palermo
dal 9 al 18 febbraio al Teatro Biondo di Palermo
e dal 13 al 18 marzo al Teatro Verga di Catania
Sin dal suo primo apparire, sventolando un'antica carta geografica, il Tamerlano di Marlowe vestito da un possente quanto bravo Vincenzo Pirrotta al Teatro Verga di Catania, già sa che i territori della Persia, Egitto e Arabia, sono stati tutti conquistati da lui. Sembra il conte Orlando che sta morendo ai piedi d'un albero dopo la battaglia di Roncisvalle, mentre la sua mente vola alle sue vittoriose battaglie e a ciò che è stata la sua visionaria vita di spietato condottiero. E' stato un flagello di dio questo personaggio turco-mongolo, pronipote forse di Gengis Khan , all'origine un misero pastore scita, a capo poi d'un esercito che ha per obiettivo quello di mettere a ferro e fuoco l'intero universo. Assomiglia a volte a quei personaggi dei film di 007 che vogliono dominare il mondo fregandosene delle numerose vittime che si lasciano dietro. Un personaggio, il Tamerlano, realmente vissuto nel XIV secolo, assetato di sangue, ma in fondo lui stesso servo d'una forza distruttrice come può essere un breve giorno di gloria. Non ha paura di niente quest'uomo. Le passioni non lo sfiorano. Non pensa mai alla morte e non ha rimorsi, pietà o affetti per nessuno. Lo stesso suo amore per la figlia del sultano d'Egitto Zenocrate, (convincente la prova di Lorena Cacciatore, in grado di emozionare con i suoi slanci), viene vissuto come fosse imbambolato, solo preso da desideri che tormentano un barbaro verso colei non può mai afferrare; dimostrando invero un po' di tenerezza verso Sharuk il figlio morto in guerra. Se Carlo Quartucci 25 anni fa affrontando il Tamerlano ne aveva fatto un'opera astratta, ricca di suoni e di luci con la presenza carismatica e solipsistica di Carla Tatò, Luigi Lo Cascio, con un minuzioso lavoro di regia dal carattere cinematografico, (primi piani, campi corti-lunghi e piani sequenza, per via che alcuni personaggi scendevano in sala) realizza adesso uno spettacolo di tre ore in due tempi leggibile e godibile in tutte le sue parti. Alcune tematiche, con quei giovani che si esprimono in romanesco, vengono attualizzate e risolve l'argomento marce e battaglie con fumogeni e tecniche da campo lungo, con i personaggi che si sostanziano sul fondo-scena sopra un piano rialzato, su cui a seconda dei momenti, scendono dall'alto una serie di mappe territoriali color ocra. E certamente fa una certa impressione, su un palco interamente nudo, udire i nomi di città come Babilonia, Samarcanda o Bagdad che per vari motivi fanno parte d'un immaginario collettivo esotico quasi da sogno, ridotte ieri come oggi in un ammasso di macerie. Gli interpreti sono tutti all'altezza, assumendo spesso vari ruoli, e nella seconda parte hanno l'opportunità di esprimersi in degli assoli, manifestando pensieri e desideri di vendetta nei confronti di quell'uomo crudele e malvagio che finirà i suoi giorni avvolto da fiocchi di neve e da petali d'un mandorlo in fiore che gli accarezzano il corpo sommergendolo nel suo biancore. Tamara Balducci è una poderosa Zabina, pure Agida, Gigi Borruso è perfetto nei panni del sultano d'Egitto, Giovanni Calcagno è un irruento Bajazet e un saggio Calepino, Paride Cicirello è Gianghir e Ortigio, Marcello Montalto è il re di Trebisonda, Salvatore Ragusa veste due re quello d'Arabia e quello di Natolia, e Fabrizio Romano è un pascià e altro ancora.
Gigi Giacobbe