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TRAGEDIA È FINITA, PLATONOV (LA) – di Liv Ferracchiati

"La tragedia è finita, Platonov", di Liv Ferracchiati "La tragedia è finita, Platonov", di Liv Ferracchiati

di Liv Ferracchiati

con scene dal Platonov di Anton Čechov

con (in o.a.) Francesca Fatichenti, Liv Ferracchiati, Riccardo Goretti, Alice Spisa, Petra Valentini, Matilde Vigna
aiuto regia Anna Zanetti

dramaturgia di scena Greta Cappelletti

costumi Francesca Pieroni

ideazione e realizzazione costumi in carta e costumista assistente Lucia Menegazzo

luci Emiliano Austeri

suono Giacomo Agnifili

lettore collaboratore Emilia Soldati

consulenza linguistica Tatiana Olear

foto di scena Luca Del Pia

produzione Teatro Stabile dell’Umbria
Napoli, Teatro Bellini dal 2 al 7 Novembre

www.Sipario.it, 3 novembre 2021

Chi nella propria vita di lettore non ha almeno una volta fantasticato di dialogare con i beniamini dell’opera che stavano leggendo magari ammonendoli o consolandoli o ancora solo per dirgli “grazie per queste intense emozioni che ho vissuto nel leggere le tue avventure!”? Ebbene questo deve essere stato uno dei pensieri di Liv Ferracchiati che ha realizzato un singolare adattamento di un opera poco conosciuta di Anton Čechov spostando il punto di vista della piece e creando una narrazione intensa e bidirezionale tra personaggi e lettore ne “La tragedia è finita, Platonov” in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 2 al 7 Novembre.
Il dramma in quattro atti fu scritto da Čechov tra il 1880 e il 1881 ed è ambientato in Russia. Il titolo fu stabilito dai critici in quanto lo scrittore non glielo aveva dato per la delusione subìta dal rifiuto di leggerla dell’attrice Marija Ermolova, alla quale era dedicato. Per questo motivo distrusse il manoscritto e non ne volle più sapere. Dopo la sua morte fu ritrovata la prima stesura dell’opera che fu poi battezzata Platonov. La scelta del titolo parte dal nome del protagonista Platonov, per l’appunto, maestro elementare 27enne cinico e vanesio cui piace piacere e per questo non disdegna il corteggiamento di altre donne, nonostante fosse sposato, ma che allo stesso tempo diventa vittima di sé stesso e della sua frivola immodestia abbandonandosi all’alcol; sarà poi Sofja, una delle sue amanti, a ucciderlo per la bruciante delusione che prova quando scopre che non ci sarà il futuro agognato con lui. L’interpretazione che ne fa la Ferracchiati punta l’attenzione non tanto sullo svolgimento degli eventi quanto sull’animo dei protagonisti che si muovono su un palco spoglio e minimalista, arredato da un gioco di luci ed ombre che si susseguono, e dal rapporto che il lettore ha man mano con loro. Inizialmente è esterno alla storia e la osserva da fuori, situazione sottolineata anche dallo spazio scenico esterno allo svolgimento dei fatti occupato da lui, per poi addentrarsi man mano nella narrazione sino a dialogare con loro ed anche ad intervenire nella storia assumendo il ruolo di un narratore diegetico sui generis. I personaggi femminili sono disegnati in modo esemplare: nell’abbigliamento, nelle gestualità ma anche nei silenzi e dei momenti in cui la scena si ferma e loro rimangono immobili come statue. Parlano, si confrontano e buttano fuori non solo le loro paure e delusioni ma anche la consapevolezza che sono cadute in un tranello dal quale non vogliono comunque uscire. Nell’ultima scena le quattro donne pretendenti l’amore di Platonov indossano abiti di carta che saranno poi stracciati da esse per spogliarsi definitivamente e incontrovertibilmente dal loro passato. Tanti sono anche i simbolismi, tra questi le sigarette fumate da Sofja, Platonov e, in un secondo momento, anche dal lettore, ma anche i sobbalzi ed i salti che ogni tanto gli attori/personaggi fanno quasi a ripetere quelli che la vita ogni tanto nel nostro vivere ci propone.
Lo svolgimento è godibile e non annoia, il meccanismo scenico è infatti sempre in evoluzione, ci sono anche momenti in cui il protagonista e il lettore dialogano con il pubblico presente in sala anche di attualità e di eventi personali, dilungandosi in qualche tratto forse un po’ troppo. C’è spesso anche un gioco temporale, volutamente espresso, tra passato e presente con riferimenti storici successivi all’epoca in cui è ambientata l’opera che hanno la funzione di alleggerire qualche scena più intensa.
Lo spettacolo merita e vale la pena di vederlo, unica considerazione non su questo adattamento ma in generale quando si porta in scena un classico con un mescolamento di carte è il rischio di perdere di vista l’originale e per chi non conosce l’opera di depositare nella propria mente quella versione come autentica. Quindi il consiglio è di leggere sempre l’opera prima di andare a vederla a teatro.

Simona Buonaura

Ultima modifica il Mercoledì, 10 Novembre 2021 10:02

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