Cronaca di una mancata rivoluzione. Primo Sudio
Con Giuseppe Carullo
Regia di Cristiana Minasi
Drammaturgia: Fabio Pisano
Assistente alla regia: Sergio Runci
Collaborazione: Fabio Cuzzola, Giovanna La Maestra, Massimo Ortali
Consulenza musicale: Alessandro Calzavara
Grafica: Manuela Caruso
Produzione: Sciara Progetti Teatro Carullo-Minasi
XI Cortile Teatro Festival- Messina. Area Iris- Ganzirri (ME) 23 agosto 2022
Quando la politica si fa confusa spunta fuori l’anarchia e il fantasma del suo ideatore Bakunin. Fu così quando Sacco e Vanzetti furono giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, riconosciuti innocenti dopo 50 anni esatti dalla loro morte: fu così quando il 22 luglio del 1970, all'inizio dei Moti di Reggio Calabria, a meno di un anno dalla strage di piazza Fontana, deragliarono nei pressi di Gioia Tauro alcuni vagoni di coda della Freccia del Sud per alcune cariche esplosive sistemate sui binari (questo si scoprì anni dopo) in cui persero la vita sei persone e i feriti furono più di settanta. Si disse che erano stati gli anarchici, ma costoro non c’entravano niente, anzi furono cinque di loro, età media 22 anni, Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, a cercare le prove della loro estraneità, intuendo subito che quello non era stato un semplice incidente ferroviario ma un vero e proprio attentato dinamitardo compiuto ai danni di tanti innocenti per fare ricadere le colpe sugli anarchici. Così i cinque giovani da veri Sherlock Holmes per due mesi si misero a cercare le prove che scagionava il loro gruppo e poi saliti su una Mini Minor cercarono di raggiungere la sede anarchica di Roma di Umanità Nova per mostrare ai loro compagni i documenti raccolti. Ma giunti al Km 58 dalla capitale un autocarro carico di barattoli di conserva li investì inesorabilmente uccidendoli quasi tutti all’istante. Anche questo non era stato un semplice incidente ma una vera e propria esecuzione mortale per impedire che si scoprisse che Reggio Calabria era il centro di addestramento della destra eversiva nazionale, un fil noir collegato con Roma, lì dove il principe Junio Valerio Borghese, come Penelope, tesseva la tela per imbastire un colpo di stato. Non è un caso adesso che Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi tornino sulle scene con un testo che tratti fatti di 50 anni fa e che rifletta in parte i tempi caotici attuali, non soltanto riferiti agli effetti post-pandemici da Covid.19 o alla guerra russo-ucrainica in atto da oltre sei mesi, ma la confusione politica del nostro Paese, frantumata in tantissimi partiti e partitini e in cui pare avanzi inesorabilmente una destra pericolosa frutto di tante incompiute della sinistra. Ecco dunque il testo tosto proposto dai due teatranti titolato Umanità Nova, con l’esaltante drammaturgia di Fabio Pisano, riferito non solo al giornale anarchico fondato nel febbraio del 1920 da Errico Malatesta la cui diffusione in alcune zone d'Italia superava quella dell’Avanti! ma anche all’attuale organo della F.A.I. (Federazione Anarchica Italiana) la cui storia comincia nel 1909 ad opera di Ettore Molinari e Nella Giacomelli. Io non credo che ai giorni nostri ci possa essere un nuovo fascista chiamato Ciccio Franco, cui si deve il motto «boia chi molla!» di dannunziana memoria, che ne fece uno slogan per cavalcare la tigre della protesta dei reggini per opporsi alla scelta di Catanzaro come capoluogo, indirizzandola in senso antisistemico e neofascista, come non credo che possa esserci un partito anarchico che “prefiguri una società senza Stato e rifiuti un’economia capitalistica a vantaggio di un’economia fondata sulla cooperazione, organizzata in forme mutualistiche o comunistiche”. Personalmente ricordo che quella rivolta di Reggio Calabria fu un vero casino, non comprendendo molti partiti, compresi quelli di sinistra, che colore avesse quella protesta. E dunque questo primo studio di Umanità Nova che ha come sottotitolo cronaca di una mancata rivoluzione, vede sulla scena tutto solo Giuseppe Carullo, reggino verace, questa volta senza la sua compagna Cristiana Minasi in veste di regista, che racconta la sua vita sin dalla nascita nel 1978 al tempo in cui quei fatti bellicosi erano accaduti da otto anni. Con un fare tra il bislacco e l’anfetaminico, a volte anche stralunato che ricorda un po’ Enzo Jannacci, Carullo con voce amplificata, non stando quasi mai fermo, a volte servendosi d’un pc portatile posto su una consolle alle sue spalle che diffonde musiche di quegli anni dei The Byrds, David Bowie, i Rolling Stones, Barry McGuire, pure una Bella ciao, ricevendo in chiusura una tempesta di applausi dal pubblico dell’Area Iris di Ganzirri, ci ricorda sin dall’inizio che da sempre l’accompagnano due parole: Poliomelite e Anarchia. La prima contratta dopo otto mesi di vita, la seconda a 15 anni. Superata la prima con un intervento chirurgico, restava la seconda che l’accompagneranno per tutta la vita, protestando contro la borghesia, le guerre, le bombe atomiche, i pregiudizi e le ipocrisie. I genitori gli dicevano che doveva farsi prete, non portare i capelli lunghi e che doveva pensare alle fimmine non all’anarchismo. Se ne va in giro per Reggio avvolto da cartelli di protesta e assaggia per la prima volta le stanze del commissariato di polizia. Il suo è un racconto metateatrale nel senso che entra ed esce dal personaggio di Angelo Casile, uno dei cinque anarchici ammazzati da quel camion. Legge molto, anche i libri di Bakunin e l’affascina quel pensiero che vede gli uomini non comandare su altri uomini. A scuola riceve una sospensione di cinque giorni per aver distribuito materiale sovversivo e capisce a 15 anni che l’anarchia fa più paura del fascismo e se non sei democristiano o comunista diventi una mina vagante da far paura. Lui e i suoi compagni capiscono che l’anarchismo si configura col prefisso “contro”, ma ciò che dovranno maggiormente temere sarà la paura della contro-informazione, sottomessa spesso alle istituzioni e in grado di manipolare e veicolare l’opinione pubblica. Una sua mostra di pittura gli fa guadagnare un luogo dove riunirsi con i suoi amici e compagni che chiameranno “La Baracca”, diventata da subito la loro base operativa per discutere e lavorare alla distribuzione dei giornali anarchici, accogliere altri compagni, financo ospitare giovani stranieri di passaggio da Reggio. Avviene pure un giorno che dei fascisti prendano d’assalto “La Baracca” facendola saltare in aria con delle bombe: ordigni che Angelo Casile alias Giuseppe Carullo non sanno dove stanno di casa. É il 1969 quando si parla di autunno caldo e di strategia della tensione e a Reggio trecento grammi di tritolo fanno tremare il palazzo della questura, ferendo un appuntato, indignando la città al punto che l’ufficio della questura è quasi costretta a convocare dieci o quindici disperati facendoli passare per anarchici. L’Italia in quell’anno diviene una grande Reggio con bombe che scoppiano su treni e binari di molte città del Centro e del Nord, venendo sempre additati come colpevoli gli anarchici. Ci furono in quell’anno 145 attentati, 96 di matrice fascista e il 1969 si chiuse col terribile attentato nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana (17 morti e 88 feriti). Il questore di Milano dichiarò alla stampa che “non sono certo quelli di destra che fanno queste azioni, sono i dissidenti di sinistra: anarchici, cinesi e operaisti”. Gianni Aricò, Annelise Borth, sua moglie e Angelo Casile non c’entravano niente perché in quei frangenti si trovavano a Roma per incontrare Pietro Valpreda che era tra i primi indiziati insieme a Giuseppe Pinelli. Valpreda era un noto anarchico e si presentò spontaneamente in questura. Purtroppo dovette aspettare 15 anni per uscirne ed essere completamente scagionato. Quanto ad Aricò, moglie e Casile, furono fermati e tratti in arresto per 10 giorni. A farli uscire ci pensò la commessa di Feltrinelli che riconoscendoli disse che in quelle fatidiche ore quei personaggi si trovavano tra gli scaffali della libreria a scegliere dei libri da comprare. Finisce qui questo primo studio in attesa che venga messa in scena la seconda e ultima parte.
Gigi Giacobbe