Ovvero come la felicità è diventata una pretesa assurda
Regia Paolo Costantini
Con Evelina Rosselli, Rebecca Sisti
Drammaturgia: Linda Dalisi
Elementi scenici: Giuseppe Stellato
Supervisione al disegno sonoro: Franco Visioli
Disegno sonoro: Riccardo Marsili
Luci: Fabio Bozzetta
Costumi: Graziella Pepe
Interaction design: Andrea Spontoni
Supervisione progetto artistico: Antonio Latella
Progetto vincitore del bando Biennale College Registi Under 30, 2020-21,
direzione artistica di Antonio Latella – prima tappa di produzione La Biennale di Venezia
Teatro I, Milano, 22 maggio 2022
“Facciamo che tu fai F. e io C”. La battuta cade a un certo punto a incardinare un più chiaro delinearsi di un gioco delle parti tra le due attrici. Agiscono in uno spazio pienamente illuminato, anche dalla parte del pubblico, una scena vuota, su tre lati della quale sono collocati oggetti d’uso comune, mentre un robot puliscipavimento zigzaga sormontato da un metronomo. Ossessioni di pulizia e d’ordine che si scontrano con l’incalzare del tempo. Un tempo metronomico e cronologico. Ma anche muscolare e cronico. Impone le sue scadenze con forza, si ripete senza scampo. Disposti lungo i tre lati su tre strisce segnate di bianco, gli oggetti. Un interno domestico dove la frenesia quotidiana impoverisce l’aura delle cose: vediamo un secchio con mocio, una sveglia microfonata, un telefono a disco, una cassettiera e una sedia dalle linee mestamente ortogonali, e in fondo due pupazzette che sembrano replicare le attrici. Poi un mucchio di vestiti e un altro di scarpe – il rovescio esatto dell’idea di armadio, si potrebbe dire, quando l’eccesso di “roba” fa perdere il contatto con la singolarità dell’oggetto e lo trasforma in merce e poi in spazzatura.
Inizialmente è cinetica la possibile risposta al rigor mortis che sembra pervadere ogni cosa. Un traslocare di ogni elemento per linee nello spazio, trascinamenti in corse affannose che innescano un inevitabile crescendo. Sottolineato, riempito, respirato, martellato, invaso, risucchiato, distorto da una colonna sonora concreta fatta di boati, sibili, echi, tonanti corridoi di riverberi che addensano lo spazio e lo rivoltano. Gli oggetti e i mobili vengono mossi perché il tempo fermo non dà loro se non lo scampo dello spazio. Il tempo fermo è quello della nevrosi delle due giovani donne. Incalzate da un tempo oggettivo che le convoca ogni giorno. Aspettano, o spostano i loro oggetti come pedine su una scacchiera che non offre vie di fuga, se non l’ossessivo contare e ricontare, questo fare il punto sull’economia della necrosi. Sono due maschere in opposta tensione, inizialmente senza parole. Un sorriso sardonico l’una, uno smarrimento al limite del pianto l’altra. Testimoni gli spettatori di un gioco nel quale rimangono presi nella crudezza della luce che li investe e dagli sguardi a volte diretti delle due attrici.
Fino questo improvviso darsi la parte di F. e di C. – allora scorgiamo una leggerissima linea di sviluppo introdotta dalla fiaba “La cicala e la formica” (F. e C. appunto). Tanto nota da risultare proverbiale nella sua pedagogia del risparmio, o dell’accumulazione; ma qui si colora di una tinta sarcastica, nella quale scorgiamo improvvisamente, nell’espressione di sufficienza di F., la figura efficacissima di tutte le resistenze del mondo così-come-deve-essere di fronte alla disposizione più contemplativa di C., in accordo con il fluire delle cose. L’imprevedibile non è compreso nel mondo della Formica. E, se lo è, è punibile nella figura della Cicala. Così la celebre chiusa “ e adesso balla”, di F. diventa l’occasione per farsi invadere dalla potenza liberatoria della danza. In fondo, se danzi e canti e lo fai in accordo con il cosmo che bisogno hai delle scorte, di un futuro visto come magazzino di ciò che non deve mai mancare?
Una regia (il giovane e talentuoso Paolo Costantini) che procede per sprazzi, intuizioni, stasi e frementi riprese, accenni di narrazione subito ritirati. Quello che conta qui – e colpisce – è il flusso delle immagini e la sincerità delle performer (le brave e anch’esse giovani Evelina Rosselli e Rebecca Sisti). È poesia dell’azione scenica, in cui una specie di erosione dei legami logico-sintattici sbalza le immagini in un flusso non raziocinante, che rapisce.
Franco Acquaviva