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UNA SOTTILE PAZZIA - regia Silvio Eiraldi

"Una sottile pazzia", regia Silvio Eiraldi "Una sottile pazzia", regia Silvio Eiraldi

Testi di Marcello Barlocco
Adattamento drammaturgico Davide Diamanti 
Regia Silvio Eiraldi
Con Davide Diamanti, Matilde Amato, Giovanni Bortolotti, Eleonora Demarziani, Michela Marenco, Riccarda Realini
Produzione Uno Sguardo dal Palcoscenico Costumi I Coribanti del Liceo Martini-Chiabrera di Savona
Borgio Verezzi, Grotte Valdemino, 12 agosto, 2024

www.Sipario.it, 13 agosto 2024

Una sottile pazzia, Prima nazionale al LVIII Festival di Borgio Verezzi, vede la messa in scena, nel suggestivo spazio delle grotte Valdemino di Borgio, di tre racconti scelti tra la produzione di Marcello Barlocco, in particolare dalla raccolta I racconti del babbuino (1950). Diciamo subito che la coppia, ormai collaudata, Diamanti-Eiraldi ha fatto ancora una volta centro, proponendo un adattamento di grande impatto immaginifico e favorito in ciò dall’ambientazione ipogea naturalmente surreale e visionaria. Non era una scommessa facile puntare su un autore semisconosciuto come Marcello Barlocco, autentico outsider della letteratura italiana (ricordiamo che recentemente l’editore maceratese Giometti & Antonello ne sta ripubblicando l’opera superstite). Genovese di nascita e valbormidese di adozione, Barlocco, enfant gaté di una facoltosa famiglia, si trasformerà, poco a poco, in una sorta di scrittore (uno dei tanti) fuori dagli schemi  – e dal canone – della nostra letteratura e, soprattutto, non apprezzato per quello che fu il suo vero valore letterario. La vita disordinata, l’indole ribelle, i contrasti con la famiglia non giovarono sicuramente alla sua fama, ma è indubbio che ci troviamo dinanzi ad un Autore assai interessante capace di giocare con i registri letterari del grottesco, dell’orrorifico e del surreale; e tali caratteri lo rendono assimilabile a pochi autori nazionali (forse solo Tommaso Landolfi potrebbe essergli accostato), ed è più prossimo a scrittori d’oltreoceano quali Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft. 

Lo spettacolo, suddiviso in tre sequenze, alternando dati biografici dell’Autore con tre racconti, conduce lo spettatore lungo un viaggio allucinato che, nell’apparente chiarezza adamantina della scrittura, fa risaltare la natura animale come parte essenziale dell’uomo, giocando sul registro della sovrapposizione e alternanza tra voci e pensieri dell’uomo e degli animali in cui il dato bestiale va a scompigliare il perfetto e lucido calcolo dell’essere umano. È il caso della prima sequenza dove un ambiguo pappagallo manda all’aria i piani di suicidio di un uomo giunto al limite della sopportazione di una vita piatta e monotona; dinanzi all’atto estremo dell’uomo, l’animale gli rinfaccerà, con spietata crudeltà, la propria vigliaccheria. E gli animali tornano nel secondo atto/sequenza in cui un veterinario che gioca al «dr. Jekill e mr. Hyde» con i propri animali, si avventura in un processo di metamorfosi in cui prende forma di animale pur mantenendo la mente umana, e le trasformazioni proseguono, sempre ragionando sulla natura bestiale vista con occhio umano, fino alla metamorfosi fatale: l’incontro con una gatta nera, autentico simbolo demoniaco che comprometterà definitivamente il volto del medico: durante un perverso amplesso la gatta gli caverà un occhio proprio nel momento in cui egli, inavvertitamente, stava tornando umano. Lo sprofondamento in una dimensione sempre al limite tra razionalità e follia, tra allucinazione e realtà deformata è guidata dalla prosa asciutta e precisa di Barlocco che, con incedere inesorabile, ci conduce alla climax dell’orrore e dell’angoscia. In particolare nell’ultima sequenza, magistralmente interpretata da Davide Diamanti, in cui un individuo si accorge, poco a poco, che le proprie mani non solo stanno sfuggendo al suo controllo, ma diventano progressivamente sue nemiche. Consigliato da una amorevole quanto oppressiva madre, egli sperimenterà il consiglio di medici, preti e, finanche, una gogna al fine di impedire che le mani possano aggredirlo. Un doppio finale, che non vogliamo svelare, tocca l’apice della dimensione horror e svela la potente carica di suggestione della prosa di Barlocco. 

La regia ha optato per un’ambientazione che lasciasse spazio alle forme inusitate delle concrezioni delle grotte Valdemino, quanto mai ricche di nuances cromatiche e fortemente suggestive e che, da sole, hanno sottolineato le surreali fantasie dell’Autore, per cui il testo e l’ambiente, non disturbati da invadenti effetti sonori o luminosi, hanno saputo porre in risalto la potenza della parola drammaturgica. I costumi, realizzati dal laboratorio de I Coribanti del Liceo savonese, espressivi ed essenziali, suggerivano, nella prima stazione, un pappagallo; nella seconda, un graffio insanguinato sul camice del dottore che rimandava al rapporto con il diabolico felino. Come spesso accade negli spettacoli ambientati nello spazio ipogeo di Borgio, gli spettatori sono stati accompagnati a piccoli gruppi verso le varie stazioni in cui, a turno, potevano assistere alle performances degli attori, dei quali, oltre al bravissimo Davide Diamanti, cui va un plauso anche per l’adattamento dei testi, vogliamo sottolineare l’alto livello di recitazione di tutti, ma, in particolare, molto persuasiva ci è parsa Matilde Amato. 

Il pubblico, sulle prime spiazzato dai soggetti desunti dai racconti di Barlocco, si è ben presto sintonizzato sulla linea d’onda della coraggiosa proposta del duo Diamanti-Eiraldi, seguendo con interesse e partecipazione e, al termine, gli applausi sono stati convinti e generosi. 

Mauro Canova

Ultima modifica il Sabato, 17 Agosto 2024 10:15

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