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VINCENT VAN GOGH. L'ODORE ASSORDANTE DEL BIANCO - regia Alessandro Maggi

"Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco", regia Alessandro Maggi. Foto Francesca Fago "Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco", regia Alessandro Maggi. Foto Francesca Fago

di Stefano Massini
Regia di Alessandro Maggi
Interpreti: Alessandro Preziosi, Francesco Biscione, Massimo Nicolini,
Roberto Manzi, Leonardo Sbragia e Antonio Bandiera
Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
Disegno luci: Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta
Musiche: Giacomo Vezzani
Supervisione artistica: Alessandro Preziosi
Produzione: Khora e TSA Teatro Stabile D’Abruzzo in coproduzione
con Napoli Teatro Festival Italia, e in collaborazione con Festival di Spoleto 60
al Teatro Vitttorio Emanuele di Messina dal 22 al 24 gennaio 2020

www.Sipario.it, 23 gennaio 2020

La scena di questo Vincent Van Gogh architettata da Marta Crisolini Malatesta per uno scoppiettante spettacolo messo in scena ai primi di luglio di tre anni fa da Alessandro Maggi all’Auditorium della Stella di Spoleto al 60° Festival dei due Mondi e adesso approdato al Vittorio Emanuele di Messina, sembra un dipinto di Francis Bacon che raffigura un uomo acciambellato in un lato, simile ad un babbuino tutto scatti, avendo vicino una pianticella di fiori bianchi. Le due quinte, la pedana rialzata e il fondale, illuminato poi doviziosamente da Valerio Tiberi evidenzierà, a guisa d’un bassorilievo, quel campo di grano con volo di corvi, uno degli ultimi dipinti dell’artista, visibile al Van Gogh Museum di Amsterdam, non hanno L’odore assordante del bianco, come si legge nel sottotitolo dell’irruento testo di Stefano Massini, anche perché il bianco “sparerebbe” troppo sotto le luci dei fari, ma è d’un grigio perla, un colore tenue che ugualmente dà l’idea della Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole: un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles, dove  Van Gogh vi entrò volontariamente l’8 maggio 1889, un anno prima della sua morte, comprendendo dopo l’ennesimo deliquio d’essere malato sia fisicamente che spiritualmente. Anche se trenta cittadini di Arles, autodefinendosi «antropofagi», firmando una petizione, avevano chiesto l'internamento in manicomio del rosso pazzo e che grazie all'intervento del pittore e amico Paul Signac la petizione non andò a buon fine. Insomma storicamente le cose non andarono così come ci racconta Massini in questo suo Vincent Van Gogh, che lo immagina sprofondato in un luogo di cura simile ad un lager dove le uniche cure praticate sono le atrocità sul corpo inferte da sadici infermieri simili a dei forzuti secondini, come quelli qui raffigurati da Leonardo Sbragia e Antonio Bandiera e da medici che avrebbero ben figurato ad Auschwitz come il Dr.Vernon Lazare di Roberto Manzi (forse un nome di fantasia, certamente un tipo con tare familiari), ritratto in una tela che poi taglierà, realizzata da Van Gogh con dei carboni umidificati dai suoi sputi, giusto per vomitarlo fuori. Solo il Dr. Peyron, direttore del manicomio, uomo dalla mentalità notarile quello di Francesco Biscione, si mostra interessato a Vincent, perseguendo tuttavia un’idea di normalizzazione tutta sua, arrivando a salire su una sedia e trasformarsi in una specie di mago che cerca di ipnotizzare Vincent per perforargli la mente. In realtà Van Gogh nella clinica di Saint-Remy aveva una propria stanza, poteva andare a dipingere anche fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, continuando a mantenersi in contatto epistolare con il fratello Theo (Massimo Nicolini), che gli spediva libri e giornali, scrivendo tra l’altro che “la pazzia è una malattia come un'altra”. Invece in questo spettacolo Vincent parlando con Theo gli dice che vuole andar via al più presto da quel luogo di pena e che firmi subito perché possa liberarlo da quel “bianco” che vede in ogni cosa e/o persona, minacciando pure di uccidersi.  A questo periodo, contrariamente al sottotitolo, risalgono ben centoquaranta dipinti, ricchi di colori, fra i quali vale assolutamente la pena citare la celeberrima Notte stellata, oggi esposta al Museum of Modern Art di New York. Alessandro Preziosi veste nei modi più convincenti i panni dell’infelice personaggio, imbruttendosi quasi con quei capelli corti, continuamente percosso da rombi, fruscii, lame di suono che gli confondono i pensieri, avvolto pure dalle musiche atonali di Giacomo Vezzani, girovagando per la scena a piedi nudi, curvo nei suoi abiti bianchi, uguali a quelli che indossavano un tempo i malati mentali, pronti ad essere stesi su letti di contenzione e trattati con l’elettrochoc. Una prova la sua che lascia il segno come l’ha lasciata al cinema Willem Dafoe nei panni del pittore olandese incantando nella sua foga creativa e nevrotica. Vincent lascerà Saint-Remy dopo un anno, il 16 maggio 1890, per raggiungere il fratello a Parigi, dopo che il direttore della clinica aveva rilasciato regolare autorizzazione. A fine luglio dello stesso anno confesserà di essersi sparato un colpo di rivoltella allo stomaco e un trafiletto de L'Écho Pontoisien del 7 agosto 1890 annuncerà la morte di van Gogh a soli 37 anni. Anche se vincitore del Premio Tondelli a Riccione Teatro 2005 per la “scrittura limpida, tesa, di rara immediatezza drammatica, capace di restituire il tormento dei personaggi con feroce immediatezza espressiva” il testo di Massini questa volta non mi è piaciuto perché reinventa una sua realtà storica, in particolare quella della permanenza di Van Gogh nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence, che non corrisponde al vero.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 26 Gennaio 2020 09:31

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