di Luigi Pirandello
con Vanessa Gravina, Gigi Diberti, Bruno Armando
regia Walter Manfrè
Catona Teatrofestival, Reggio Calabria, 5 agosto 2007
Roma, Teatro Italia, dal 9 al 25 gennaio 2009
Milano, Teatro San Babila, fino al 13 dicembre 2009
In «Vestire gli ignudi» di Luigi Pirandello, quando il romanziere Ludovico Nota accoglie la giovane Ersilia in casa sua per apparente pietà, lei è una donna con un destino già compiuto, con un peso sul cuore per la morte della bimba che le era stata affidata. Abbandonata dal fidanzato, dall' amante e dalla speranza tenta il suicidio coprendo il suo gesto con una bugia «per indossare morendo una vestina decente», per darsi almeno la dignità di chi si uccide per amore. Ma Ersilia morirà dilaniata dall' ipocrisia di tutti, metaforicamente nuda. Walter Manfrè porta in scena la commedia ponendo al centro lo scrittore, che Luigi Diberti interpreta con pacata sottigliezza, demiurgo e regista che fa vivere la vicenda di Ersilia, la brava intensa Vanessa Gravina, sul palcoscenico, luogo del suo immaginario dove realtà e finzione si confondono tra proiezioni cinematografiche, lampi e tuoni in sorta di interno-esterno, ideato da Andrea Taddei. Una lettura registica interessante e intelligente che però non riesce sempre a trovare quell' equilibrio che permetterebbe alla stanza della tortura dove i personaggi si dilaniano rivivendo un dramma che è già avvenuto, di trasformarsi appieno nel luogo dell' immaginario dello scrittore e allo spettacolo di significare come il mondo non sia nessuna realtà se non quella che gli diamo noi.
Magda Poli
Composta da Luigi Pirandello in un paio di mesi, nel 1922, Vestire gli ignudi andò in scena per la prima volta al teatro Quirino di Roma il 14 novembre dello stesso anno, interpreti Maria Melato e Annibale Betrone. É la storia di Ersilia Drei e della sua necessità di indossare costantemente i panni che gli Altri, horribile monstrum, le impongono. Posta in gioco, acquisire una propria valenza psicologica, sociale, civile, un'autonomia "mondana" che arriverà solo all'epilogo, e a prezzo della vita. Un dramma moderno non solo in senso pirandelliano, bensì vicino a logiche di sfruttamente delle figure deboli che appartengono ai nostri giorni.
Walter Manfrè, nella versione del testo che ha allestito con gli attori della Compagnia delle Indie Occidentali, attualmente al teatro Italia, spinge forse lo spettatore a sottolineare questo fra i diversi aspetti della rocambolesca vicenda di Ersilia, abbandonata dal fidanzato, "usata" sessualmente dal datore di lavoro, in un primo tempo gabbata dal tentativo stesso di suicidio al quale affida il proprio riscatto e più tardi, al secondo colpo, catartica vittima. Perno dell'azione accanto a Vanessa Gravina (la Drei) c'è non a caso un Luigi Diberti (lo scrittore che vorrebbe proteggere la ragazza) cui preme soprattutto succhiare da lei il succo di una vicenda equivoca. Nel cast anche Luca Biagini, Francesco Laruffa, Daniela Piacentini.
Se l'organizzazione registica detta e regola uno spettacolo tutto sommato tradizionale, gli accenti della lettura "contemporanea" stanno nella recitazione di attori ai quali vien chiesto di farsi casi d'appendice di un quotidiano immutabile, oggi uguale a ieri, e viceversa. Par di capire, ascoltando, che Gravina e compagni oscillino appunto fra l'enfasi di "prima" e le tremende secchezze di "ora". E riescono, in molti momenti, a creare il ponte desiderato. Infine, chi non abbia mai visto in scena Vestire gli ignudi colmi la sua mancanza: è un testo da riconsiderare, che può aiutarci a capire qualcosa in più.
Rita Sala
Quel teatrante bizzarro e geniale di nome Walter Manfré cui si devono quelle sconcertanti Confessioni dove a ogni spettatore era imposto il ruolo di un ministro di Dio asservito all'ascolto delle colpe degli interpreti, adotta ora un procedimento analogo nella sua versione di Vestire gli ignudi.
Tra le sue mani la pièce di un autore torturato dal fantasma del dottor Freud, si muta in una seduta analitica di gruppo destinata ad un exitus mortale. Nella tana dello scrittore Ludovico Nota vegliata dall'affittacamere Onoria che amministra una giustizia sui generis, si celebra infatti un drammatico processo a porte chiuse.
Con la vittima consenziente Ersilia Drei, una falsa vergine con impulsi suicidi che, mentendo a se stessa e a chi la circonda, incoraggia alla propria immolazione ben tre carnefici. I quali, tra pentimenti e recriminazioni di comodo, si apprestano a vivisezionarla in nome della morale borghese. Quella che Pirandello disprezzava sulla carta nonostante ne fosse, nella vita, l'integerrimo custode. Nella scena spartana di Andrea Taddei che scompone il salotto in una serie di quinte precarie governate fuori campo dall'occhio di una macchina da presa che proietta nel macabro interno il fracasso omicida della strada, si compie così il rito propiziatorio del sacrificio di questa spuria Ifigenia. Prorompono dal fondo i candidi sbuffi di fumo dei film dell'orrore che annunciano a Ersilia l'apparizione del fantasma di quella bimba morta per la sua colpevole negligenza.
Mentre attorno a Vanessa Gravina, alla prova più difficile della sua carriera svolta con un rigore accademico ai limiti dell'astrazione, si respira l'atmosfera del Giro di vite di James dominata anche là da una governante incapace di salvare la creatura affidata alle sue cure. Intanto, nel dibattito serrato di Manfré, sia il sulfureo deus ex machina di un grande Luigi Diberti che l'abbietto console del sadico Bruno Armando e l'affettato tenente di un Marco Marelli che pare uscito dal cinema dei telefoni bianchi diventano enigmatiche presenze che puzzano di zolfo. In una rilettura di grande impatto visivo che farà discutere a lungo.
Enrico Groppali
Pirandello come una tempesta
In Vestire gli ignudi di Luigi Pirandello, i protagonisti sono resti di varia umanità raccolti dalla cronaca nera, borghesi trasudanti ipocrisia, volgarità e perbenismo che si trasformano sul palcoscenico, alla luce delle loro sofferenze, in personaggi che raggiungono un barlume di coscienza e di chiarezza. Il demiurgo di questo processo è come sempre l' autore, assediato dai suoi personaggi in un gioco crudele che ha come posta la loro esistenza, la scoperta di una traccia di verità che dia loro senso. Nella commedia, scritta nel 1922, quando il non celebre romanziere Ludovico Nota accoglie la giovane Ersilia in casa sua per apparente pietà, lei è una donna con un destino già compiuto, con un peso sul cuore per la morte della bimba che le era stata affidata. Abbandonata dal fidanzato, dall' amante e dalla speranza ha tentato il suicidio coprendo il suo gesto con una bugia «per indossare morendo una vestina decente», per darsi almeno la dignità di chi si uccide per amore. Ma Ersilia morirà dilaniata dall' ipocrisia di tutti, metaforicamente nuda. Walter Manfrè porta in scena la commedia, che ha debuttato al 41º Festival Teatrale di Borgio Verezzi, ponendo al centro lo scrittore, demiurgo e regista che evoca e fa vivere la vicenda di Ersilia sul palcoscenico, luogo del suo immaginario dove realtà e finzione si confondono tra proiezioni cinematografiche, lampi e tuoni in sorta di interno- esterno, ideato da Andrea Taddei, anch' esso in bilico tra il vero e il falso. Una lettura registica interessante che sembra opporre la verità dello scrittore, interpretato con pacata sottigliezza da Luigi Diberti, alla finzione dei suoi personaggi che si esprimono con una recitazione in alcuni sopra le righe quasi caricaturale, in altri più interiorizzata e naturalistica come nel caso di Ersilia ben tratteggiata dalla brava, intensa Vanessa Gravina. Una regia che però non riesce sempre a dipanare l' «arruffio» di tesi e contro tesi, di ragionamenti e sentimenti per trovare quell' equilibrio che permetterebbe alla stanza della tortura dove i personaggi si dilaniano rivivendo un dramma che è già avvenuto, di trasformarsi appieno nel luogo dell' immaginario dello scrittore e allo spettacolo di significare come il mondo non sia nessuna realtà se non quella che gli diamo noi.
Magda Poli