di Luigi Pirandello
Regia di Walter Manfrè
Riduzione teatrale dall’omonima novella di Andre Camilleri
Interpreti: Angelo Tosto, Margherita Mignemi, Tiziana Bellassai, Lorenza Denaro,
Giovanna Mangiú, Plinio Milazzo, Raniela Ragonese, Giovanni Rizzuti,
Santo Santonocito, Vincenzo Volo, Ruggero Rizzuti
Musiche: Carlo Muratori
Scene: Susanna Messina. Costumi: Sorelle Rinaldi
Produzione: Associazione Città Teatro di Catania
Teatro Brancati dal 16 al 19 dicembre 2021
Dei 246 racconti scritti da Luigi Pirandello tra 1884 e il 1936 passati alla storia come Novelle per un anno tante sono diventate dei romanzi, altre delle pièces teatrali. Ce ne sono alcune, tra queste Il vitalizio che è rimasta soltanto una novella, un po’ più lunga delle altre. A farla diventare teatro ci ha pensato un viciniore di Pirandello, un regista/scrittore che si chiamava Andrea Camilleri di Porto Empedocle, diventata poi la nota Vigata televisiva e di tanti suoi scritti. Il vitalizio in questione non è quello elargito ai nostri parlamentari né quello che percepiscono, ridotto, le tante donne cui viene a mancare il marito, ma quello che per contratto presso un notaio l’anziano contadino Maràbito della piana di Girgenti, vestito da un gagliardo Angelo Tosto, cede il proprio podere a tale Michelangelo Scinè, detto “il Maltese” (Giovanni Rizzuti), ricco mercante del luogo che ha costruito la propria fortuna grazie all’usura, ricevendo in cambio un vitalizio giornaliero di lire due. L’affare pare più che buono all’ingordo lestofante, memore del fatto che il precedente vitaliziato, il defunto Ciuzzo Pace, aveva riscosso la propria rendita, per un terreno vicino a quello di Maràbito, soltanto d’una lira al giorno per soli sei mesi. E quasi ad incoraggiare il Maltese d’aver fatto un contratto conveniente il 75enne Maràbito gli dice che presto prenderà la via di Ciuzzo Pace non gravando più sulle spalle e sulle tasche di colui che ha dato in affidamento una ridente terreno con alberi da frutta e vigneti e alcune bestie ad un mezzadro strafottente come Grigoli (un Vincenzo Volo sopra le righe). Lo spettacolo con un enorme albero di ulivo al centro della scena, porta d’una casetta rattoppata e un tavolo ai lati con la regia di Walter Manfrè sotto forma di favola con canzoni di cui si riconosce il suo nitido stile al Brancati di Catania, si fa apprezzare per le colorite interpretazioni d’un gineceo di attrici capitanate da Giovanna Mangiù nel ruolo virginale di Annicchia, di Lorenza Denaro e Raniela Ragonese (rispettivamente Za’ Carminilla e Za’ Gesa), tutte rivolte a rendere più rosea la vita di Maràbito, in particolare quando si ammalerà gravemente di polmonite, rifuggendo medico ( Santo Santonocito) e ospedale, chiamando piuttosto la fattucchiera Malanotte di Margherita Mignemi, tutta in nero con collana di peperoncini rossi al collo, la quale levandogli il malocchio con un piattino in testa e alcune gocce d’olio lo metterà in salvo; e si fa notare Donna Nela, moglie del Maltese, pacchiana oltremodo nel vestire e nello scilinguagnolo che pensa solo, senza riuscirci, a farsi costruire in quel terreno una villa con piscina. A dispetto di tutti, quella quercia di Maràbito vivrà a lungo sino a 105 anni e vedrà morire prima il Maltese e poi il non troppo onesto notaio Nocio Zagara di Plinio Milazzo, che con un escamotage truffaldino era diventato il nuovo proprietario di quella campagna di cui pagava regolarmente il vitalizio. Il lavoro si conclude col vecchio Maràbito che ritorna proprietario del suo terreno e quasi da neo-nonno certamente lo donerà a Grigoli e Annicchia, diventati intanto marito e moglie e pure con un figlio.
Gigi Giacobbe