di Susanna Tamaro
riduzione teatrale: Roberta Mazzoni, Susanna Tamaro, Emanuela Giordano
regia: Emanuela Giordano
scene: Andrea Nelson Cecchini
con Marina Malfatti, Agnese Nano e Carolina Levi
Roma, Teatro Quirino, dal 7 al 26 ottobre 2008
Ancora non sazia di sorbire tuorli e chiare, Susanna Tamaro ha pensato di far deporre alla sua gallina (ossia il romanzo «Va' dove ti porta il cuore», 14 milioni di copie vendute) l'ennesimo uovo, di forma diversa ma sempre, nelle speranze, d'oro. E così s'è trasformata in autrice teatrale, ricavando dal romanzo - insieme con Roberta Mazzoni ed Emanuela Giordano, che firma anche la regia - l'omonimo copione adesso in scena al Bellini. Si narra (va ricordato perché c'è pure qualcuno che il libro non l'ha letto) di una nonna ottantenne, Olga, che un bel giorno decide di parlare alla nipote Marta, partita per l'America, della madre Ilaria e della sua tragica fine. Per Olga si tratta di liberarsi di un peso non più sostenibile, giacché la figlia - allontanatasi dalla famiglia all'epoca della contestazione giovanile e rimasta incinta - non trovò in lei alcuna comprensione: un rimorso reso oltremodo acuto dal fatto che Ilaria morì di lì a poco in un incidente. Ora, «Va' dove ti porta il cuore» è un romanzo epistolare, un lungo monologo interiore. E proprio qui sta l'intralcio. È assolutamente impossibile mettere sul palcoscenico il flusso di coscienza: e non bastano i dialoghi inventati nella circostanza dalla Tamaro e dalle sue due collaboratrici a superare la paralisi determinata da quell'interminabile rosario di ricordi e dall'inesausto arrovellarsi di Olga sui sensi di colpa che ne derivano. Fra l'altro - poiché la Tamaro ha paragonato questo copione a Ibsen e al teatro russo - si dà il caso che proprio da Ibsen sia stato affrontato con particolare lucidità e determinazione il problema di come rendere teatralmente plausibile l'evocazione del passato. Il grande norvegese tentò di risolverlo trasformando l'evocazione in un autentico processo. Ma niente del genere mi sembra che accada nello spettacolo di cui parliamo. E non mi sembra nemmeno che - nell'algido impianto scenografico di Andrea Nelson Cecchini, un contenitore nudo nei toni del grigio e del beige - si materializzi un qualche, sia pur frettoloso, fantasma d'emozione e d'inquietudine. Sicché davvero ci si riduce alla battuta di Ilaria secondo cui «il cuore è un muscolo, e va allenato». Voglio dire che, in definitiva, assistiamo a un semplice training professionale. E sotto questo profilo altrettanto certamente è apprezzabile Marina Malfatti nei panni di Olga (nella foto), così come lo sono Agnese Nano (Ilaria) e Carolina Levi (Marta). Ma infine, almeno su un punto sono d'accordo con la Tamaro. Lei ha dichiarato che a teatro ci va pochissimo perché a volte si annoia. Capita anche a me che ci vado moltissimo.
Enrico Fiore
Dopo il memorabile successo di Va' dove ti porta il cuore, il suo bestseller che, tra l'Italia e il resto d'Europa, ha doppiato il traguardo di due milioni e mezzo di copie interessando anche il cinema nella persona di Cristina Comencini regista e Virna Lisi interprete, ora l'infaticabile Susanna Tamaro ha trasformato quella storia familiare dove si alternano, tra smarrimento e ricordi, tre diverse generazioni di donne in una pièce bitter sweet sul tema della memoria. Con l'aiuto dell'inseparabile Roberta Mazzoni e di una regista di punta come Emanuela Giordano, l'autrice ha piegato il suo linguaggio dolce e suadente alle leggi inderogabili del teatro. Con una scrittura più secca e impietosa di quella che avevamo conosciuto scorrendo le pagine del suo libro-elegia, la scrittrice al suo debutto scenico sembra attingere più allo spirito di Cechov che a quello, percepibile tra le sue righe, di un atterrito grido d'allarme lasciato in eredità, tra malinconia e pudore, a chi verrà dopo di noi. Sulle prime, la visione di quel trio formato da nonna, figlia e nipote che la narrazione collocava a Trieste, estremo limbo della provincia italiana, ci trova piacevolmente stupiti ma soprattutto curiosi. Possibile, ci chiediamo, che Olga, la nonna alto borghese che per tutta la vita ha alternato ai soufflé in cucina le belle maniere in salotto, abbia il volto, il passo, la voce di una matriarca come Marina Malfatti... Una dama d'alto bordo che snocciola con eleganza le sue frasi muovendosi con la grazia di una mannequin dentro un completo oro pallido che pare uscito dalla factory di Giorgio Armani? E che Agnese Nano, la figlia contestataria e ribelle, vittima degli slogan sessantottini, la contrasti avvolta in bianche vesti da catecumena più che da pasionaria? Eppure, basta un guizzo di luce sulla freschezza impetuosa ed acerba di un'attrice nata come Carolina Levi, la nipote che rappresenta il futuro, perché lo spettacolo si animi d'improvviso. Costringendoci all'ascolto, obbligandoci a vagliare le ragioni della madre e i risentimenti della figlia, filtrati dallo sguardo limpido e suadente della testimone più giovane. Che come un angelo scompagina le fila del teorema costruito con pazienza certosina dalle due signore che l'hanno preceduta nella scala della vita. Rendendo plausibili persino gli scoppi d'ira repressa che Nano-figlia, con una veemenza spesso fuori controllo, scarica come un pugile sul capo di Malfatti-madre, a torto accusata di superficialità e frivolezza. Tanto che il meglio di questa bella prima prova d'autore va equamente suddiviso tra ciò che Carolina cela con humour tra le pieghe del suo sproloquio esagitato ma affettuoso e l'ironia in punta di penna sfoggiata con rara sapienza da Malfatti-Olga. Un'interprete che, al culmine della carriera, ha trovato tra i fasti della maturità e i rimpianti cocenti dell'età di mezzo il giusto equilibrio da conferire a queste figurine umiliate e dolenti che, tra i turbini della vita, riescono a conservare un'accorata innocenza in bilico tra lutti, abbandoni e miserie.
Perfetta prova per una gran serata mondana costellata di saluti e applausi.
Enrico Groppali
Susanna Tamaro ha fatto, con il suo best seller Va' dove ti porta il cuore (Baldini & Castoldi, 1994), il giro del mondo. Ha battuto ogni record di vendite (oltre 14 milioni di copie) e mobilitato il sentimento delle folle. Adottando la forma epistolare, ha raccontato di una nonna che mette a nudo per la nipote, nero su bianco, la propria vita, i segreti, le incomprensioni, le emozioni legittime e illegittime, fino a rivelarsi in modo completo. Dal libro è stato tratto anche l'omonimo film diretto da Cristina Comencini, con Virna Lisi nel ruolo dell'anziana signora.
La stessa Tamaro, assieme a Roberta Mazzoni e ad Emanuela Giordano, ha adattato il romanzo per il palcoscenico. Lo spettacolo che ne deriva ha debuttato al Quirino con la regia della stessa Giordano e una triade di attrici capitanata (nel ruolo della nonna) da Marina Malfatti. La dolente, tormentata Ilaria, figlia di Olga e madre di Marta (una Carolina Levi fresca, ma un po' leziosa), è la brava Agnese Nano.
La regista ha lavorato su spazi allusivi, vuoti, attraversati da pedane differentemente inclinate. Sono forse le età e le condizioni, attraverso il tempo, delle tre donne implicate: la piccolo-borghese Olga, sposata a un tranquillo cultore di coleotteri e incapace di vivere appieno l'amore con Ernesto, che la mette incinta di una figlia; Ilaria la sessantottina, caratteriale e ribelle, che muore nel fiore degli anni avendo messo al mondo una bimba senza mai rivelare il nome dell'uomo con il quale l'ha concepita; Olga la smagata, sospesa fra passato e futuro, ma forse capace, alla fine, di diventare fruttuosa depositaria delle confessioni dell'ava.
Tutto questo vien porto dalle attrici con la piana vocalità di una lettura, pochi movimenti misurati dentro l'alveo beige, appena trascolorante nel bianco, delle scene di Andrea Nelson Cecchini. La Malfatti, "nonna" liscia e giovane, elegante nei pantaloni larghi color crema, camicetta bianca e cardigan morbidissimo, alterna brio e tenerezza, perbenismo e passione, cocciutaggine e sapienza. Credibile in tutto, non nell'età: il personaggio dovrebbe dimostrare un'ottantina d'anni, o giù di lì. Sulla tavolozza delle emozioni agita pennelli di visone, li affonda nelle tinte pastello e dipinge campate progressive che ricevono rispettiva peculiarità da sfumature impercettibili. Il momento che più scombìcchera tanta compostezza è quando Olga si accorge di come la figlia Ilaria sia stata danneggiata da ipocrisia e silenzi, da un'omertà corrosiva a tal punto da cancellare in lei i ricordi dell'intera infanzia. E' la situazione più alta dello spettacolo, che si lega anche alla bella prestazione di Agnese Nano. Poi la rappresentazione scivola, pulita e tranquilla, fino all'epilogo.
Forse il palcoscenico non è il luogo migliore dove il "Cuore" possa portare. Ma bisogna dare atto allo spettacolo che, grazie all'accuratezza di ogni elemento (dalla riduzione alla regia, dalla confezione all'interpretazione, dal buon gusto alla breve durata, in forma di atto unico), il messaggio pacificatore del libro, amato da tre diverse generazioni di donne, arriva in platea senza inquinamenti. Successo cordialissimo la sera della "prima", con molte chiamate per gli artisti, le scrittrici, la regista e tutti i collaboratori. In scena fino al 26 ottobre.
Quando Susanna Tamaro parla di cuore intende "il luogo dove si rivela lo Spirito Santo". Parole sue inequivocabili di una decina d'anni fa. Anzi proprio sul suo romanzo più noto, Va dove ti porta il cuore, ha precisato che è lo Spirito a portare. In più quel libro è in forma di diario epistolare, il più vicino alla verità secondo la scrittrice. Fu ed è tra i maggiori bestsellers, e anche tra i più bastonati dalla critica con l'accusa di patetismo moraleggiante e di 'furberia', estesa alle sue esternazioni religiose. Ora che la stessa Tamaro – con Roberta Mazzoni ed Emanuela Giordano – ne ha ricavato un testo teatrale, in scena al Quirino di Roma in prima nazionale, ci troviamo a dover rifare i conti con quell'opera singolare.
Come fu per una precedente apprezzabile riduzione cinematografica. Riandiamo – anche per chi, tapino, ignora le pagine del libro – a quel diario epistolare conosciuto da milioni di lettori: è tutto incentrato, costruito sui flashback mentali di una nonna, Olga, alla ricerca di senso nelle gioie e nell'infelicità lancinante del suo passato, rivolgendosi alla nipote, Marta, andata lontano dopo essere stata allevata dalla nonna per la morte tragica della madre, Ilaria. Il triangolo femminile è squassato da misteri che il diario dipana lasciando l'amaro in chi legge e alla nipote quell'incoraggiamento, appunto, a seguire il cuore nelle scelte della vita.
Dare oggettività teatrale all'intrico non era impresa agevole (e consigliamo, per capire il passaggio, le note intense della Giordano, riduttrice e regista, nel programma di sala). La scelta di uno spazio vuoto, irrealistico, in cui le tre, in una tensione etica e identitaria, incrociano le rispettive riflessioni, tutto questo non violenta la struttura monologante del romanzo, se non in pochi dialoghi che accendono i rapporti dialettici. Troppo pochi per dare spessore, forza dinamica alla rappresentazione teatrale. Nel riduzionismo intimistico un valore dell'opera-madre si salva ed assume ruolo primario: lo stile limpido coinvolgente della prosa di Susanna Tamaro, che le attrici interpreti possono esibire catturando la platea, alla prima plaudente anche a scena aperta. Marina Malfatti, Olga, con un impegno che aggiunge alla nota valentia l'intima partecipazione; Agnese Nano, nevrotica e disperata al punto giusto come figlia; Carolina Levi, Marta, simbolo efficace di una pulizia di sentimenti, turbata dall'incombere del mistero.
Toni Colotta