di Éric-Emmanuel Schmitt
con Alessandro Haber e Alessio Boni
e con Francesco Bonomo e Nicoletta Robello Bracciforti
regia di Valerio Binasco
musiche Arturo Annecchino, scene Carlo De Marino, costumi Sandra Cardini
fotografie Tommaso Le Pera
produzione Goldenart
visto a Cremona, Teatro Ponchielli, 16 gennaio 2014
Roma, Teatro Quirno dal 25 novembre al 7 dicembre 2014
E' l'abbraccio di Nietzsche al cavallo che vede frustare con inaudita violenza dal suo vetturino, è il filosofo impietrito davanti alla violenza dell'uomo e alla sua volontà di dominare il mondo dopo aver urlato la 'morte di Dio che richiama alla mente Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt, il dialogo fra il vecchio dottor Sigmund Freud (Alessandro Haber) e Dio-il visitatore (Alessio Boni), capitato nella sua casa in Burgstrasse, 19 nell'aprile del '38, nei giorni dell'Anchluss. L'episodio torinese di Nietzsche mette in luce da un lato la voglia dell'uomo di governare, imporsi alla realtà, ma anche la violenza che questo arbitrio assoluto può indurre, dopo che Dio ha smesso di essere mondo o forse orizzonte di senso. Questi gli estremi narrativi de Il visitatore, nell'allestimento firmato da Valerio Binasco, esempio di una lettura registica intelligente, acuta, poetica con un po' di furbizia emotiva, allestimento che offre la testimonianza di cosa voglia dire recitare col cuore e col cervello. In un interno borghese che mostra tutta la sua finzione — inventato da Carlo De Marino — c'è la chiave di lettura de Il visitatore: il sottile confine fra essere e apparire, aver fede e il dubitare che si assomma nell'ambiguità di quella figura che piomba nella notte in casa del dottor Freud, dopo che la Gestapo (Francesco Bonomo) gli ha portato via la figlia Anna (Nicoletta Robello Bracciforti). Il visitatore nel testo di Schmitt si presenta vestito in frak, ma Binasco con Boni ne fa un clochard barbuto, così come Freud di Haber è un vecchio che trascina i piedi, ha una voce rauca e monocorde, non certo l'elegante ebreo viennese che si conosce dalle foto e che fu evocato nell'allestimento realizzato da Antonio Calenda nella metà degli anni Novanta con Turi Ferro nei panni del padre della psicoanalisi e Kim Rossi Stuart in quelli del visitatore. E' questa poetica sporcizia della vita con cui Binasco disegna i due personaggi di Schmitt che fa breccia pian piano, che commuove, che rende vicine, condivise, vere e sofferte le parole di quel Dio in salotto, gli interrogativi umanissimi del padre della psicoanalisi sul senso da dare alla vita, quel senso che la filosofia e la scienza negano, quando sottende un valore escatologico, un fine, la favola bella di un Dio incarnato. Le domande del signor Freud sono le nostre, la leggerezza del Dio di Boni ha la spavalderia di certi folli e l'innocenza maliziosa dei bambini e delle loro domande tanto semplici e dirette da mettere in crisi ogni convinzione e perché no invitarci ancora a credere che un Dio non possa non esistere. Tanto il Freud di Haber è terrigno, quanto il visitatore di Boni è aereo, ma entrambi si svelano nel non spazio di una notte illuminata da un lampione sottolineata dalle note strazianti delle musiche di Arturo Annechino. In questo senso la casa di Freud con riflettori a vista, la finzione scenografica ostentata è tanto finta quanto vero diventa quello che accade in scena, è tanto reale e credibile la visita di quel ragazzo/Dio (un malato? un folle?) che dialoga col vecchio dottore che finisce con lo sfumare nel sogno... Ciò che trionfa ne Il visitatore di Schmitt/Binasco è la magia, l'ambiguità del teatro che quando usa tutta la sua semantica finisce col dire o meglio far emergere le verità dell'uomo, il bisogno di credere in un Dio che consola, in credere che la bellezza e l'amore possano salvare il mondo. Il visitatore di Valerio Binasco funzione, è l'esempio di un teatro di tradizione intelligente, che arriva al pubblico, sa divertire, interrogare, stuzzicare l'intelligenza e di questi tempi non è poca cosa.
Nicola Arrigoni
All'apertura di sipario, ci sono un vecchio tremolante e una donna bionda in uno studio: lo studio del Dott. Freud e sua figlia, Anna. Tutto, è ambientato nel 1938, a Vienna, nel pieno regime nazista dove nelle case, per le strade si odono cori, voci, a tratti, come dice Freud, "anche belle".
Sono lì, in quella casa, ad aspettare di essere deportati, aspettano per solidarietà con gli altri ebrei che rimangono. Fin dalle prime battute si percepisce tutta la tensione di quella giornata e di un difficile rapporto fra padre e figlia, lacerato, profondo e imbrigliato quasi quanto l'animo del Dottor Freud. Tutto si svolge in una notte dopo che un ufficiale della Gestapo, interpretato dal credibile e sorprendente Alessandro Tedeschi, porta via Anna dallo studio. Ecco che appare improvvisamente un uomo bello, elegante e trasandato che non ha epoca né età al quale più volte Freud chiederà spiegazioni. Alessio Boni è Dio, un Dio che ci parla del suo amore universale, di esistere per rendere l'uomo libero, e non viziato, dalla bellezza. Il Dio sul quale ognuno proietta l'immagine che più gli conviene fino a minacciarlo di morte.Fa molto pensare il Dio interpretato da Alessio Boni in maniera eccellente pieno di sfumature, citazioni, movenze e toni che ricordano i bravi attori dei tempi andati. Incanta la sua veridicità, la sua delicatezza e forza sulla scena. C'è un momento che colpisce più di tutti ed è quando ci parla di come questo secolo diverrà maledetto; il secolo della superbia umana che solo attraverso "la porta divina si salverà". Alessandro Haber è commuovente, ispira tenerezza nell'interpretazione di Freud, fino alla fine dello spettacolo con la sua stanca e tremolante camminata.
Un uomo che ha trascorso tutta la vita a curare altri uomini, dove la pazzia non ha fatto altro che renderlo solo e senz'amore fino a dubitare lui stesso della sua scelta di vita e di quella "porta divina" alla fine del buio di ognuno.
Pensa alla vita "come un continuo tradimento". Insomma Dio che psicanalizza Freud quasi come un padre che interroga un figlio. Quei figli che troppo spesso soffrono quando diventano vecchi tornando bambini in cerca di un padre e del tempo della morte dentro di loro. Non mancano momenti ironici dove l'autore Eric-Emmanuel Schmitt, tocca tutti i temi più alti contrapponendoli fra loro e cercando una possibile verità. Un accordo da sempre mancato fra fede e psicanalisi.
Fu un testo premiato 2001 dall'Académie Francaise ed il premio Molière ancor prima nel '93 come migliore autore. L'indagine nella scrittura di Schmitt è sulla complessità dei rapporti nella vita privata.Un punto di vista filosofico, introspettivo e psicologico caratterizza il pensiero e i personaggi delle sue opere.
Viene alla mente l'opera dello scrittore "La parte dell'altro", provocando polemiche e discussioni su un testo che immaginava la vita parallela di Hitler se nel 1908 non fosse stato respinto dalle Scuole di Belle Arti a Vienna. Così anche nel Visitatore si è continuamente sollecitati a domandarsi col desiderio di comprendere sempre tutto e di non credere più a niente. Ride, il pubblico quando vede Dio, chiedere a Freud di impersonarlo e fare un miracolo. Freud dice: "gli imbecilli vedono miracoli ovunque" e ovunque ci sia amore c'è Dio. Una bella riflessione sul senso dell'amore e la possibilità di amare per curare. Allora non resta che abbandonarci al flusso di pensieri e sentimenti che la regia di Valerio Binasco, anche bravissimo attore, racchiude come in una scatola, una prigione, affidando alla bravura degli attori e alla sua importante esperienza teatrale tutto il bello di questo complesso spettacolo.
Anna è interpretata con grinta e passionalità dalla brava Nicoletta Robello Bracciaforti. Tornerà a casa sana e salva grazie a Dio, per davvero. Dio scapperà minacciato da Freud sempre più combattuto da mente e anima. Allora è nell'ultima frase che il Dio di Boni ci fa capire di essere venuto qui per far comprendere all'uomo che la vita non è assurda ma misteriosa. I costumi di Sandra Cardini e le musiche di Arturo Annichino accompagnano gli spettatori ad entrare nel vivo di questo viaggio alla ricerca della verità.
Si replica fino al 7 dicembre al Teatro Quirino di Roma.
Celina Vanni