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VISITA AL PADRE, SCENE E BOZZETTI - regia Carmelo Rifici

Visita al padre, scene e bozzetti Visita al padre, scene e bozzetti Regia Carmelo Rifici

di Roland Schimmelpfennig, traduzione Roberto Menin
regia Carmelo Rifici, scene Guido Buganza, costumi Margherita Baldoni, luci Claudio De Pace
musiche a cura di Daniele D'Angelo
con (in ordine alfabetico) Paola Bigatto, Anna Bonaiuto, Caterina Carpio, Marco Foschi, Mariangela Granelli, Massimo Popolizio, Sara Putignano, Alice Torriani
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa, Milano, Piccolo Teatro Studio, 19 gennaio 2014.

www.Sipario.it, 21 gennaio 2014

Scene e bozzetti è il sottotitolo di Visita al padre di Ronald Schimmelpfenning. In questo accennare alle parti di un tutto c'è forse la chiave di lettura di un testo che mette in scena il confronto/scontro fra padri e figli, ma anche l'impossibilità di costituire in un tutt'uno organico e coerente esistenze che vivono senza orizzonte, in un intreccio relazionale che è vano tentativo di colmare una sorta di insipienza del vivere. Visita al padre racconta dell'arrivo di Peter (Marco Foschi) – un 'estraneo che rivendica vicinanza' – nella casa di Heinrich (Massimo Popolizio); quel ragazzo di ventisette anni è il figlio dell'intellettuale che vive rifugiato in una vecchia casa di campagna, impegnato da dieci anni a tradurre il Paradiso perduto di Milton, senza venirne a capo. L'arrivo dall'America di Peter sconquassa la comunità familiare di Heinrich, maschio padrone a cui sottostanno la compagna Edith (Anna Bonaiuto) e le due figlie Marietta (Mariangela Granelli) e Isabel (Sara Putignano), insieme alla nipote Sonja (Alice Torriani) desiderosa di maternità a cui Heinrich si offre con spudorata sfacciataggine. Peter scardina il potere di Heinrich, ne mette in crisi il suo potere di maschio. I confronto/scontro è dichiarato fin dall'inizio, a questo s'affiancano e s'intrecciano suggestioni sottotestuali che vorrebbero far esplodere la microstoria familiare sullo scenario più ampio della riunificazione della Germania, di una memoria rimossa, di una koiné culturale saltata, di una Storia del vecchio continente che ci appartiene e ci rappresenta. In questo scenario si innesta la presenza della professoressa Paola Bigatto) e di sua figlia (Caterina Carpio), ospiti della casa dell'intellettuale in cerca di alcune editio princeps di autori russi da Tolstoj a Turgheniev, Gogol, Cechov, chiusi in un salone che nella messinscena diventa intercapedine di un muro. Cechoviani sono gli spari che partono improvvisi dal fucile di Heinrich e che prima colpiscono la foto appesa alla parete con ritratti l'intellettuale ed Edith, mentre sul finale deflagrano nel confronto scontro fra padre e figlio che si compie fuori scena e lascia il dubbio sulla sorte del ragazzo. Nel testo Ronald Schimmelpfenning dissemina citazioni cecoviane e ibseniane, lo spazio inventato da Guido Buganza evoca tutto ciò: ci sono le betulle e la neve, in uno spazio che divide due ambienti domestici che è spazio di passaggio, di caccia e di conflitti; non a caso si apprende che per quelle terre è passato Napoleone, lì si è sempre combattuto. Le pareti imbiancate di un ambiente minimalista e razionalista accolgono le parole che denotano di volta in volta le stanze: cucina, salone russo, ma anche il tempo: Notte... E' tardi. Lo sfaldarsi dell'intonaco bianco richiama la caduta, lo sgretolarsi del muro di Berlino, in alto domina un quadro con Adamo ed Eva, riferimento a quel Paradiso perduto di Milton, che chiama in causa il peccato, forse la colpa: quella che i figli imputano ai padri, l'abbandono subito da Peter, la disperazione di vite senza orizzonte. Carmelo Rifici sceglie una regia essenziale, senza fronzoli per raccontare tutto questo, pone l'accento sull'isolamento, sul girare a vuoto di quei personaggi che sono monadi impazzite, che sono solitudini disperate di cui ci offre frammenti di vita. Sta allo sguardo dello spettatore ricomporre quel puzze e condividere quella condizione esistenziale che è condizione da cui non si può uscire. Peter di Marco Foschi è maschio che impone la sua seducente giovinezza alle donne della casa, è colui che inficia il potere del padre, Heinrich di Massimo Popolizio è un triviale e impotente intellettuale che trova la sua ragion d'essere solo in quella casa, nel dominio delle sue donne. Come Peter anche la giovane Isabel (Sara Putignano, la più convincente nel suo essere adolescente sprezzante e piena di diniego) è in cerca di un proprio futuro: entrambi vorrebbero fare teatro, un modo per definire un ruolo che nella vita non hanno. Un ruolo va cercando anche la procace e fatua Marietta di Mariangela Granelli. Su tutti per intensità e verità domina Anna Bonaiuto, donna matura che subisce il fascino del figlioccio e che vive di una consapevolezza di un persistente cupio dissolvi che convince. Completano il cast Paola Bigatto, Alice Torriani, Caterina Carpio che assolvono con correttezza e superficiale presenza ai loro ruoli. Ma è un po' tutto lo spettacolo a viaggiare su un crinale di apparenza con la voglia di indicare, suggerire un surplus di testo e significato che non appaga e non consola lo sguardo autorale dello spettatore. E alla fine il momento rivelatore – che in realtà apre e chiude Visita al padre – è il tentativo di Isabel di cambiare la schermata di avvio – con riferimento a una torretta che evoca i campi di concentramento ma anche un faro – una schermata di avvio che diviene schermata di addio... una desiderio di cambiamento impossibile che non si concreterà neppure nell'addio alla casa e nel sogno di intraprendere la carriera teatrale recitando, guarda caso, il Paradiso perduto... Ma in Visita al padre a perdersi non è il paradiso, bensì l'umana esistenza in tutta la sua fragilità.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Martedì, 21 Gennaio 2014 11:38

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