Prima nazionale
L’albergo dei poveri
uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dall’opera di Maksim Gor’kij
riduzione teatrale Emanuele Trevi
con Massimo Popolizio
e con Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito, Michele Nani, Giovanni Battaglia,
Aldo Ottobrino, Giampiero Cicciò, Francesco Giordano, Martin Chishimba, Silvia Pietta, Gabriele Brunelli, Diamara Ferrero, Marco Mavaracchio, Luca Carbone, Carolina Ellero, Zoe Zolferino
scene Marco Rossi e Francesca Sgariboldi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
disegno del suono Alessandro Saviozzi
movimenti scenici Michele Abbondanza
assistente alla regia Tommaso Capodanno
foto di Claudia Pajewski
Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa
Roma – Teatro Argentina 9 febbraio - 3 marzo 2024
Non amo l’arte realistica. Al nudo verismo, prediligo i voli pindarici della fantasia. Senza che questo si trasformi in vuoto esercizio di stile; ma, per dirla con i versi di Ripellino: “Trovare favole e miti nelle vicende più squallide”. Gor’kij, cioè l’oscuro, il cui vero nome era Aleksèj Maksìmovič Peškov, tutto volle fuorché scovare favole e miti del suo mondo. E lo si può comprendere, soprattutto artisticamente e per ciò che, sotto questo punto di vista, significò la Russia dell’epoca prerivoluzionaria. Teatralmente parlando, nessuna libertà d’iniziativa era concessa. Rappresentazioni su commissione, scenari rimediati e che nessuna considerazione tenevano delle leggi della prospettiva, attori inadatti alle parti interpretate perché assente era la guida del regista, figuranti presi fra gente comune o fra militari dello zar. Tutto era così cialtronesco, distante anni luce da una verosimiglianza plausibile con la realtà. Da Čechov in poi, come scrittura e come messinscena, si decise di osservare raccontare e rappresentare la realtà per ciò che era nella speranza di mutare certe condizioni umane ai limiti della miseria e della dignità. Bassifondi, più noto come L’albergo dei poveri, di Gor’kij risulterebbe incomprensibile ignorando tale contesto. Una pièce dove più che la trama contano i personaggi: derelitti umani che, o per libera scelta o per disgrazia, hanno deciso di voltare le spalle alle loro vite precedenti e insieme si trovano in un asilo notturno ricavato fra cantine prive di luce e gestito da un usuraio e da sua moglie. Un ladro, un attore alcolizzato, un fabbro ferraio con la sua donna prossima alla morte, un calzolaio, un facchino tataro e alcuni altri: ognuno di loro rappresenta un lato umano da migliorare. Qualche esempio: la speranza di farcela da soli (l’attore), non essere più vittima dei propri impeti (il ladro), apprendere ad esercitare la solidarietà umana (il fabbro ferraio). Su tutti, una figura misteriosa aleggia, un angelo lì giunto forse per aiutarli: il predicatore. Il quale, malgrado le sue buone intenzioni, fallirà nel suo intento. La versione del dramma di Gor’kij che ne dà Popolizio (il predicatore), che firma la regia, in scena all’Argentina, è rispettosa del dettato dell’autore. Popolizio ha una folta barba sul volto, sguardo severo ma compassionevole, toni decisi ma dolci nel parlare; e veste come un sacerdote. La sua non è una recitazione compiacente col personaggio: lo scruta per comprenderlo ma non lo rivela del tutto, gli lascia dei coni d’ombra come giusto. Degli altri interpreti ho ammirato Raffaele Esposito nei panni del ladro: energico, limpido e possente nella voce, con ritmi recitativi sublimi. Un’interpretazione mirabile perché ha saputo esprimere una passionalità verace senza ammantarla di retorica. Un Albergo dei poveri bellissimo per recitazione e regia. Ma sul nostro tempo cosa avrebbe potuto farci capire meglio? Su questo punto la riduzione affidata a Emanuele Trevi è stata davvero molto vaga. Pierluigi Pietricola