Quando la pioggia finirà
da un progetto di lacasadargilla
di Andrew Bovell
regia Lisa Ferlazzo Natoli
traduzione Margherita Mauro
con Caterina Carpio, Marco Cavalcoli, Lorenzo Frediani, Tania Garribba,
Fortunato Leccese, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Camilla Semino Favro,
Francesco Villano
scene Carlo Sala
costumi Gianluca Falaschi
disegno luci Luigi Biondi
disegno video Maddalena Parise
disegno del suono Alessandro Ferroni
foto di scena Sveva Bellucci
Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale
Teatro Argentina, dal 26 febbraio al 3 marzo 2019
Io so cos'è il tempo, se non me lo chiede nessuno. Ma se qualcuno me lo domanda, non so più cosa rispondere. Così diceva Sant'Agostino, in una delle sue intuizioni più illuminanti. E il tempo e il suo senso sono alla base di When the rain stops falling dell'australiano Andrew Bovell.
Per il drammaturgo, kronos non è quel flusso vichiano di corsi e ricorsi storici. Bensì un polittico di situazioni parallele che, nella loro simultaneità, danno vita a cause e conseguenze. Ma come raffigurare tutto questo, con quale immagine? La pioggia. La storia delle famiglie Law e York, che si dipana in un arco che va dal 1959 ad un immaginato 2039, passando per entusiasmi, speranze, delusioni, sciagure, vigliaccherie, silenzi eloquenti più d'ogni discorso, parole vuote che suonano retoriche e altro non comunicano se non animi torbidi infettati dall'abitudine: tutto questo è immerso in un diluvio senza tregua. I personaggi, al rientro da una passeggiata di piacere o da una uscita per sbrigare una commissione, sono fradici. La pioggia, l'acqua che incessante cade dal cielo, sta a rappresentare il tempo che colpisce persone, luoghi e situazioni. Ognuno ne è investito. Altro non si può fare che stare alla finestra, guardare se nel cielo qualche raggio di sole penetra la fitta coltre di nubi, prendere l'ombrello e affrontare ciò che la vita, di bello o tremendo, può offrire.
Questa simultaneità temporale, come tante situazioni parallele, viene resa con una scena unica arredata con poco: due tavoli su cui si mangia o si fa qualche lavoro; in un cantuccio, una macchina a gas per cucinare un'insipida zuppa di pesce; qualche sedia: nulla di più. I vari personaggi entrano ed escono da queste sempre identiche stanze immaginarie, e pian piano inscenano la loro storia. E si delinea, così, un mosaico che si realizza in conclusione, quando Gabriel York, l'ultimo della stirpe, parlando con suo figlio tira fuori da una valigia una serie di oggetti che, come piccole madelaines, permettono di ricostruire un passato familiare di cui loro sono inconsapevoli eredi e che si concretizza in scena alla fine della pièce, quando tutti i personaggi, come tanti fantasmi, entrano in scena a condividere lo spazio e il tempo di Gabriel e suo figlio.
Al di là della felice scelta registica di rappresentare il tempo come uno spazio quasi sempre uguale a se stesso e una pioggia incessante, la recitazione degli interpreti è apparsa distante dall'essere teatrale. Nessuno degli attori stava sopra le proprie battute, che venivano dette con modi e registri troppo aderenti ad un realismo che su un palcoscenico difficilmente, ormai, trova asilo. Stile recitativo che può, tutt'al più, andar bene per un film o una serie televisiva.
L'impressione che se ne trae da questa versione di When the rain stops falling è quella d'una lettura, ben sceneggiata e raffigurata, con un'immagine e una narrazione vive e suggestive del tempo. Un pizzico ulteriore di dinamica teatrale, e sarebbe venuto uno spettacolo discreto.
Pierluigi Pietricola