Dramaturgie : Ricci / Forte
Direction : Stefano Ricci
Répétiteur : Marco Angelilli
Performers: Giuseppe Satori e Piersten Leirom
Panopée, Vanves, 27 gennaio 2014
"Agnello di Dio che togli i peccati del mondo,
disintegrati e dammi pace"
Faust: La dannazione consumata in cucina. L'ultimo pasto prima dell'eternità. La cucina: l'obitorio in cui sezionare i resti di un'umanità insipida, il limbo in cui assistere al rigurgito di una conoscenza indigesta.
Faust: la carne è un involucro confezionato nel cellophane. Il corpo è un ibrido erto su tacchi di lattex. Lo sguardo protetto da lenti di plastica. Anticoncezionali per preservarsi dall'umano..
Non c'è più nulla da sapere. Non c'è più nulla da scoprire. Non c'è nulla con cui sfamarsi..
Solo il dio-schermo da guardare. "Non avrai altro dio all'infuori di me": Mefistofele è lo spettacolo osceno con cui ogni giorno cannibalizziamo le nostre anime: un montaggio pornografico di prostituzioni emotive da talk show, di sopravvivenze fittizie da reality, di false testimonianze da dibattiti in prima serata, di membri xy che penetrano contenitori xx, scavando con furia alla ricerca di un piacere da ostentare fino al parossismo.
Amplessi che generano il vuoto. Vuoto che ingrassa. E strabordante ci fagocita.
L'innocenza è una culla vuota. Un carillon inceppato. Il tempo si è fermato. " Arrestati sei bello." Ma appartieni al passato. Ora non esisti più.
Quel che resta sono ingredienti anonimi che si fondono in un unico odore, si addensano in un unico colore, quella poltiglia con cui crediamo di poterci ancora saziare, ma che scivola sul corpo e cola come sangue che non può bollire se non che in una pentola. Condannati a diventare ciò con cui ci stiamo nutrendo. E che stiamo guardando. Lo schermo è uno specchio: noi che guardiamo Faust che guarda noi che guardiamo Faust.
L'inferno è la coazione a ripetere.
DIDONE: la grotta del consumato amore è un bagno. Una vasca, la culla in cui la regina fondatrice rinasce, riemerge dalla schiuma del tempo per far rivivere il ricordo.
La regina ha un regno. Il regno è la sua prigione e lei stessa ne ha delimitato i confini. Brani di immagini la osservano, ne amplificano il dolore, moltiplicazioni del volto su cui si scioglieva lo sguardo del suo amante. Quel volto strappato dalle riviste e attaccato alle pareti. Quel volto di una Lady Didone che non era lei. Non lei. Non per lui.
"Nicole Kidman à la fin de ses films a toujours l'air triste."
Un' immagine che non può essere indossata: diventa maschera, quando invece la tristezza è vera. Reale. Esce dagli occhi e scivola sul viso come perle che la frequenza ha plastificato. Svalutato. Trasformato in bolle di sapone sparate sul proprio riflesso annacquato.
Lady D. Lady Didone non è uomo, non è donna, è entità. É l'afflitto corpo rimasto dopo il pasto vorace di un amore di passaggio. Un amore il cui percorso rimane tatuato sulla pelle. Non c'è sapone che possa eliminarne le tracce. Un amore che taglia la carne con la stessa lama con cui l'ha fatta esultare, la scuoia lasciandola nuda. A terra. A dibattersi. Ad annaspare. A cercare aria nella pozza delle lacrime raccolte. A cercare dolcezza nei baci stampati sulla ceramica delle piastrelle. A cercare calore nella morta pelle di un animale qualsiasi. A cercare conforto negli occhi degli sconosciuti spettatori che la osservano.
Un amore che l'ha lasciata a cercarsi disperatamente nello scrigno dei ricordi, in un passato che prima di lui non sembra mai essere esistito. Prima di lui. Il nulla. Dopo di lui. Questo.
Faust e Didone di ricci/forte: ecco come avvicinarsi al mito, superandolo. Varcando la soglia. Talmente vicini da essere nello stesso luogo, nello stesso tempo, quasi a sentirsi intrusi, sacrileghi nell'aver osato tanto. Talmente vicini da non poterne uscire illesi. Brucianti o bruciati, ma straordinariamente vivi. Faust e Didone di ricci/forte : il dono del fuoco.
D.G.
"Wunderkammer soap", di Ricci/Forte, è un iter che, sviluppandosi in due sale (il bagno e la cucina), ci porta alla scoperta di un aspetto fondamentale e predominante nella nostra società: quello dell'apparenza, la cui vuota rincorsa porta l'uomo a una condizione di disagio, di disperazione, di follia. Questo ci viene raccontato attraverso l'elaborazione di due miti letterari: "Didon" e "Faust".
Didone è una prostituta (rappresentata dal performer Giuseppe Satori), oramai distrutta dalla vita, distrutta dal suo tentativo di volere assomigliare per tutta l'esistenza all'icona Nicole Kidman. La prostituta ha fatto di tutto per rendersi uguale all'attrice e adesso si ritrova disperata, disorientata – ha perseguito per tutta la vita qualcosa che non è lei, ha perseguito un'immagine, una maschera vuota di sostanza. La performance è rappresentata all'interno di un vero e proprio bagno (gli spettatori sono intorno, come telecamere che spiino la vicenda da vicino), una vasca piena di acqua è il luogo dove troviamo la prostituta (rappresentata da un uomo perché forse vuole mettere in risalto l'aspetto femmineo e metrosessuale del sesso maschile odierno?), che poi si alza, uscendo con i tacchi ai piedi e confrontandosi con uno specchio, che sa tanto di specchio della svanita vanità, situato al disopra di un mobile in cui sono disposti giocattoli, oggetti inutili e ridicoli – simboli della vuotezza dello spirito. Poi si mette il rossetto, se lo toglie, si muove, striscia tra il pubblico in modo disperato, mentre udiamo delle parole registrate che ci ricordano l'esistenza terribile di "Didone", che non può fare altro di flagellarsi a causa di un'esistenza consacrata alla rincorsa di un'inutile apparenza.
Ci spostiamo nella cucina e ci chiedono di vestire delle tute bianche. Qui troviamo "Faust" (Piersten Leirom), un cuoco folle, che comincia a cucinare in modo frenetico dopo avere osservato in tv le immagini dei programmi commerciali italiani, dove le icone di Maria De Filippi e di altri personaggi vengono intervallate con filmati pornografici. Il protagonista ha osservato i media di massa, che non hanno fatto altro che proporgli rappresentazioni di apparenza e di sessualità, bombardamenti d'immagini da cui il povero Faust sembra essere psicologicamente distrutto. Oramai ha perso la sua vera identità e si aggira per la cucina in modo forsennato, mostruoso (non è più un uomo, ma un essere patologico e deviato creato dalla società). Corre di qua e di là, ci tira addosso della marmellata, in mezzo a luci psichedeliche da discoteca si getta addosso tutta la salsa da lui cucinata, maneggia in modo terribile gli arnesi da cucina... corre e corre, non trova pace, ma un certo punto apre il forno e finalmente trova quello che cercava da tempo: due corna da diavolo (due peperoncini). Mefistofele è arrivato per potarlo via con sé.
Critica all'elogio dell'apparenza da parte della nostra società, il teatro di Ricci/Forte va aldilà di ogni convenzionale considerazione, non si può dire: organico, disorganico, funziona, non funziona; si può dire solo che si tratta di un qualcosa di unico a cui bisogna assistere, a cui bisogna partecipare, che bisogna vivere con tutto lo spirito e con tutto il corpo.
Stefano Duranti Poccetti