È morto Lindsay Kemp, grande mimo e danzatore, ben noto al pubblico italiano per le sue memorabili esibizioni, mentre stava trascorrendo la sua vacanza estiva a Livorno.
Aveva 80 anni, essendo nato il 3 maggio del 1938, a Cheshire, Inghilterra.
Riproponiamo in sua memoria l'ultima intervista esclusiva, rilasciata a sipario.it, a cura di Michele Olivieri, alcuni mesi fa.
Danzatore, attore, pittore, costumista, scenografo, insegnante, coreografo, regista. Nato vicino a Liverpool e cresciuto nel nord dell'Inghilterra, dall'infanzia s'innamorò di ogni forma di spettacolo. Dopo un periodo di apprendistato molto vario, nel 1964 formò la sua prima compagnia. Di tanti spettacoli sperimentali creati tra gli anni Sessanta e Settanta, il più famoso è "Flowers", che debuttò a Edimburgo nel 1968, e il cui successo a Londra nel 1974 portò Kemp all'attenzione di tutto il mondo. Negli anni Settanta, la sintesi di una vita d'esperienze teatrali diverse sbocciò in uno stile di teatro-danza totale, unico nel suo genere. L'intensità emotiva e spettacolare delle sue produzioni ebbe un impatto clamoroso dappertutto: fu una delle influenze più importanti sul teatro degli anni Settanta e Ottanta in tutta Europa, in America del Nord e del Sud, in Israele, Giappone, Australia. Durante questo periodo il repertorio della "Lindsay Kemp Company" cresceva: da Flowers a Salomè, Mr. Punch's Pantomime, Sogno di una Notte di mezza Estate, Duende, Nijinsky, The Big Parade, Alice, Onnagata, Cenerentola e altri. Oggi continua a danzare nel suo ultimo spettacolo "Kemp Dances", danzando i suoi anni settanta senza età. Nel 1972 la sua messa in scena dei concerti "Ziggy Stardust" dell'ex-membro della sua compagnia David Bowie, trasformò per sempre la presentazione dei concerti Rock. Ha recitato con grandi registi nel cinema e ha creato numerosi balletti per compagnie di danza in vari paesi. Ha creato una dozzina di regie di opere lirica di grande successo. È sempre stato un insegnante appassionato e straordinario. Per Lindsay, tutto questo è la sua danza!
Gentile Maestro, innanzitutto grazie per la sua disponibilità. Come è nato il suo sogno per lo spettacolo che poi ha dato vita ad una magica e leggendaria carriera di successo?
Sono nato danzando, e visto che mi dava così grande piacere, ho continuato a danzare, usando la mia danza anche per dare piacere alle altre persone, cercando soprattutto di aiutare il pubblico a liberarsi, cercando di sollevare il loro spirito e portare luce e amore in un mondo che sta rapidamente diventando buio e "loveless", senza amore!
La danza che priorità ha avuto all'inizio del suo percorso formativo?
La danza è stata sempre la mia prima ossessione. Non potrei immaginare la mia vita senza la danza. È il mio modo di condividere la mia vita, e, spero, di dare ispirazione agli altri. Come diceva Rudolph Nureyev, "La danza è vita e la vita è danza". Vale anche per me. Attraverso la mia arte, nel mio piccolo, cerco di rendere il mondo un posto migliore, di portare luce dove c'è buio, gioia dove c'è tristezza. E questo è proprio la responsabilità di ogni artista.
Qual è il suo primo ricordo legato alla professione di coreografo e qual è stato il suo primissimo lavoro presentato davanti ad un pubblico?
I miei primissimi ricordi riguardano il periodo in cui intrattenevo i vicini di casa nei rifugi durante i bombardamenti nella seconda guerra mondiale nella mia città South Shieds, nel nord dell'Inghilterra. Ho continuato formando dei piccoli gruppi con i bambini del posto a cui chiedevo di unirsi a me per creare piccoli spettacoli. Sono sopravvissuto ad un rigido collegio mettendo insieme piccoli spettacoli e incitando gli altri bambini ad unirsi a me. E ho continuato a fare questo dopo la scuola, durante il servizio militare, fino a quando sono diventato uno studente della "Rambert School". Da questo momento il mio lavoro è diventato più sofisticato poiché ho cominciato a subire le influenze dei grandi coreografi che il "Ballet Rambert" aveva prodotto, soprattutto Antony Tudor e Frederick Ashton. Più tardi l'influenza di Roland Petit, John Cranko, Kenneth MacMillan hanno contribuito a nutrirmi, come ha fatto anche la Modern Dance, Martha Graham, Josè Limon, Paul Taylor etc.
Quando ha calcato per la prima volta il palcoscenico?
Ho fatto la mia prima apparizione su di un palcoscenico professionale nel corpo di ballo al "Liverpool Empire Theatre" nell'annuale "Christmas Pantomime", Pantomima di Natale, che è una particolare e tradizionale forma inglese di intrattenimento stagionale. Più tardi in una Pantomima ho danzato il ruolo di Clown, seguendo le orme del grande performer della fine del diciottesimo secolo, Joseph Grimaldi. Durante queste rappresentazioni, ho imparato molto; per esempio come creare magici effetti teatrali, soprattutto grazie all'uso delle luci, di tulles ed effetti di volo. Queste prime esperienze mi hanno insegnato come ottenere magiche trasformazioni.
Lindsay Kemp in "Flowers". Foto Richard Haughton
Di lei si è sempre apprezzata la sua unicità, versatilità e poliedricità, malgrado ciò verso quale disciplina artistica si è sentito maggiormente attratto?
Sono un danzatore e mi esprimo e comunico con tutte le mie facoltà come danzatore.
A suo avviso, attualmente, l'attuale metodo di insegnamento della danza contemporanea e delle arti performative è capace di scoprire ancora inediti linguaggi e metodologie?
Non credo che sia così necessario essere in cerca di nuovi linguaggi. È più importante che cerchiamo di restaurare ciò che è vero e viene dall'anima dei danzatori contemporanei nostri predecessori, per esempio Ruth Saint Denis, Isadora Duncan, Mery Wigman. Molti di questi grandi pionieri sono sconosciuti a molti giovani danzatori. Non c'è presente o futuro senza il passato. E il passato, nella danza, è stato più glorioso, non solo nella Modern Dance ma nella grande tradizione di Diaghilev e i suoi collaboratori. Alcuni giovani danzatori oggi non hanno neppure sentito parlare di Nijinsky, per non parlare di Pavlova e Karsavina.
Quali sono stati i momenti più importanti ed emozionanti della Sua carriera, quelli che hanno determinato una svolta nella sua vita professionale e anche nella Sua crescita a livello umano?
Non sono mai stato consapevole dei momenti di svolta. Sapevo fin dall'inizio che dovevo essere quello che Dio aveva deciso che io fossi. Ho seguito la mia stella, senza tentennamenti. Devo ammettere che il cammino non è stato sempre semplice, ma fortunatamente avevo la stessa determinazione di mia madre per ottenere quello che desideravo.
A chi si sente di indirizzare un "grazie speciale" per la sua carriera?
Sicuramente devo ringraziare mia madre per il suo incoraggiamento. I miei insegnanti Sigurd Leeder, Charles Weidman, Marie Rambert e Marcel Marceau. Soprattutto il mio primo insegnante professionale di Modern Dance, John Broome che era un ex membro della compagnia di Sigurd Leeder e Kurt Jooss.
Lindsay Kemp in "Flowers". Foto Richard Haughton
Qual è, tra tutte le sue creazioni, quella che più ha amato?
Quella che devo ancora fare!
A distanza di anni sono sempre affascinato al pensiero di Flowers (liberamente tratto da "Nostra Signora dei Fiori"), un capolavoro che rimarrà nella Storia, una pantomima per Jean Genet. Com'è nata l'idea e che iter ha seguito per lo sviluppo della creazione?
Leggere il romanzo di Genet "Our lady of the Flowers" è stato uno di quei punti di svolta nella mia carriera. All'inizio del libro Jean Genet spiega che la storia di Divine, il protagonista, dovrebbe essere danzata e mimata con sottili indicazioni registiche. Come ho girato pagina, l'ho potuto immediatamente visualizzare sul palcoscenico e mi sono identificato con l'eroina di Genet. Lo spettacolo è nato in un piccolo teatro in uno scantinato a Edimburgo. Il cast era in gran parte messo insieme con ragazzi che ricordavano i personaggi di Genet, belli, mascolini, amateurs... mi aiutavano anche a convertire gli spazi abbandonati in luoghi in cui fare le rappresentazioni. Dopo i primi spettacoli molto controversi in Edimburgo, ho riformato il cast con attori professionisti. È stato rimesso in scena con molto successo a Londra nel West End prima di trasferirsi a Broadway e poi girare il mondo per più di venti anni.
Cosa ha amato di Genet, scrittore, drammaturgo e poeta, sicuramente tra i più discussi del Novecento?
Ho amato il suo mondo, la sua vita, la sua poesia.
Lindsay Kemp. Foto Richard Haughton
A fine del 2017 è stato anche presentato e commercializzato il DVD di "Flowers", il quale contiene le riprese del mitico tour del 1980 digitalizzate, oltre ad alcuni contenuti speciali. Cosa ritrova nel vedere, a distanza di anni, quei filmati?
All'inizio quando mi hanno suggerito l'idea di rimettere insieme frammenti scoperti recentemente, ero un po' preoccupato. Ho fatto molte recite di cui non ero totalmente soddisfatto e non mi sarebbe piaciuto lasciare quelle alla posterità. Comunque il mio amico David Haughton, con grande pazienza, ha trovato spezzoni che mi piacevano, di cui mi sentivo soddisfatto. Sono molto grato a lui e agli editori "Ecoframes" per il loro lavoro e dedizione. Sono felice che, dopo i miei dubbi, "Flowers" possa continuare la sua vita, conservato su celluloide e spero che possa essere di ispirazione. Mi sono molto commosso nel vedere così tanti membri della mia compagnia, molti non sono più con noi. Tutti grandi e unici performers.
Nella presentazione del dvd lei lo ha dedicato "a tutti quelli che negli anni furono parte di questa produzione. E specialmente coloro che non sono più con noi oggi. Così qualcosa di 'Flowers' vivrà oggi... una possibile futura memoria di questa pietra miliare nella storia del teatro... un eco di questo irripetibile e fugace atto di magia". Vuole aggiungere qualcosa per chi non conoscesse questo spettacolo e apprende ora, dalla nostra intervista, della possibilità di poterlo ammirare in dvd?
Ho dedicato questo video a tutti questi grandi artisti!
A quale ricordo è maggiormente legato artisticamente parlando?
Ce ne sono molti, tra cui la visita alla casa di Garcia Lorca in Granada, le mie prime occhiate, da studente, ai quadri di Picasso. Vedere la compagnia di José Limon, Merce Cunningham e Paul Taylor. E Zizi Jeanmaire in "Carmen" di Roland Petit.
Frammenti dal Diario di Nijinsky da Kemp Dances con Daniela Maccari. Foto di Maria Grazia Lenzini
Nella sua vita avrà avuto un'infinità di incontri con personaggi illustri, chi ha lasciato un segno particolare in lei?
Anna Sokoloff.
Come si prepara e da dove trae ispirazione per la creazione di uno spettacolo?
La mia ispirazione viene dalla letteratura. "Salome" di Oscar Wilde, "Sogno di una notte di mezza estate" di Shakespeare, "Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Carroll e i "Diari" di Nijinsky. Traggo ispirazione anche dal cinema, soprattutto il cinema muto; la "Salomè" di Nazimova, "Il sogno di una notte di mezza estate" di Max Reinhardt, "L'Imperatrice Caterina" di von Sternberg che ha ispirato la mia "Cinderella" e molti altri film soprattutto di Erich von Stronheim che hanno ispirato "The Big Parade". Il film muto giapponese "A page of Madness", "Dreams" di Kurosawa che, insieme al teatro Kabuki, hanno ispirato "Onnagata". Altra ispirazione viene dalla vita di Isadora Duncan, Garcia Lorca, Elizabeth I e Nijinsky.
Le sue creazioni ed esibizioni sono da sempre sottolineate da un mistero onirico. Cos'è per lei il "sogno"?
Il mio lavoro è motivato da intuizioni, emozioni e non dall'intelletto. Se ne viene fuori un aspetto onirico è imprevisto e imprevedibile, come i miei gesti.
Quale altre passioni coltiva o ha coltivato oltre allo spettacolo, all'arte e alla cultura in generale?
Tutte le forme di creatività!
Ha creato personaggi di diversa estrazione come David Bowie e Kate Bush. Come riusciva a leggere l'anima dell'artista per poi dare vita ad una figura singolare?
Li ho aiutati a trovare sé stessi e la loro voce!
Kemp dances Frammenti dal diario di Nijinsky. Foto di Richard Haughton
C'è in particolare un artista con cui le sarebbe piaciuto lavorare?
Pina Bausch!
Pensa sia indispensabile per un coreografo aver avuto esperienza di danzatore e/o di insegnante?
Assolutamente sì, deve essere un danzatore, un'ispirazione per i suoi collaboratori, un leader e psicologo!
Cosa vuol dire per un coreografo o regista poter lavorare con un gruppo stabile, lei che è direttore della sua celebre compagnia la "Lindsay Kemp Company"?
La mia compagnia, la "Lindsay Kemp Company" non è mai stata una compagnia stabile. Eravamo più simili alle compagnie vagabonde che giravano una volta l'Europa.
I suoi workshop sono sempre una continua sorpresa, come si accosta alla preparazione e all'insegnamento verso i futuri artisti del domani?
Insegno quello che so. Posso dare delle indicazioni e aiuto gli studenti a danzare la loro propria danza in armonia con gli altri danzatori, e con lo spazio che li circonda.
L'improvvisazione è alla base in ogni sua lezione. Quanto è importante saper trovare il proprio "io" per lasciarsi poi trasportare dalle emozioni? Lo dico non solo per chi fa spettacolo ma anche nella vita di tutti i giorni?
Mi interessa solamente la verità e vedere lo spirito che danza. La musica è una parte essenziale di quello che faccio. Incoraggio gli studenti ad abbandonarsi alla musica così che possono lasciarsi trasportare in un altro mondo... un mondo migliore dove, come il Pifferaio di Hamelin portiamo il pubblico con noi.
Grande importanza nei suoi spettacoli ha avuto il "trucco" come ha imparato questa pratica?
Ho imparato l'arte del trucco prima di tutto sulle ginocchia di mia madre, quando, durante la guerra non si trovavano cosmetici. Improvvisavamo insieme con polveri, tinte per bambini e carbone bruciato. Spesso sembravamo una coppia di geishe. Più tardi ho acquistato cosmetici teatrali e diligentemente copiavo il trucco dei miei eroi del Balletts Russes e Massine, Robert Helpmann e Moira Shearer in "Scarpette Rosse". Per i miei personaggi, mi guardo allo specchio e dipingo cosa vedo con la mia immaginazione. Questo è parte del mio processo di trance, ore prima che lo spettacolo inizi.
Kemp dances Ricordi di una Traviata::Foto di Richard Haughton
Come definirebbe la "fantasia", Lei che è stato il più geniale performer di questo genere nel mondo dello spettacolo internazionale?
...immaginazione... immaginazione portata al suo estremo!
Mi ricorda due, tra tutti gli spettacoli di danza classica del grande repertorio e di danza contemporanea ai quali ha assistito da spettatore che ha particolarmente apprezzato?
"Giselle" e "La Silfide"... "Clytemnestra" di Martha Graham e "La Pavana del Moro" di Jose Limon.
Un ricordo personale per Marcel Marceau, uno tra i più grandi maestri di mimo?
Marcel Marceau mi ha dato le mie mani. Con infinita pazienza, dopo molte ore, ha trasformato le mie dita, che una volta venivano definite dai miei insegnanti "salsicce", in tutto ciò che ho bisogno che diventino, ali di farfalla, onde del mare, uccelli nel cielo o foglie che cadono. Mi ha anche dato grande incoraggiamento. Era un grande artista, maestro e amico!
Mister Kemp lei non ha mai smesso la sua attività di pittore allestendo mostre con dipinti e disegni in ogni parte del mondo. Cosa rappresenta e cosa l'emoziona nell'arte figurativa?
Dipingere e disegnare per me è un'altra forma di danza, motivata dallo stesso desiderio di dare piacere.
Quali sono i Suoi punti di forza che l'hanno resa un "mito vivente" e un modello "unico" da seguire?
La mia determinazione di essere me stesso, di fare le cose a modo mio e di incoraggiare gli altri a fare lo stesso. Essere se stessi con amore e compassione.
Kemp dances The Angel. Foto di Richard Haughton
Dei giovani performer, coreografi, registi, danzatori del panorama attuale internazionale a chi riconosce l'eccellenza?
Non vedo l'ora di trovarli, di vederli... Oggi ci sono molti splendidi acrobati. Le gambe vanno più in alto, girano molto di più... ma vedo poca anima!
Oggi come trent'anni fa il suo fascino rimane inalterato e i suoi insegnamenti sono una pietra miliare che rimarranno in eredità alle future generazioni. Ha sempre lo stesso entusiasmo di un tempo nell'insegnare, nel tenere incontri, conferenze, stage e nel recitare in scena?
Sì, certo!! E forse anche più perché la mia vita sta passando di corsa...
A coronamento della sua straordinaria carriera nel 2015, il dipartimento di Nuove Tecnologie dell'Arte dell'Accademia di Belle arti di Brera a Milano, l'ha insignita del Diploma accademico "honoris causa" in Arti multimediali interattive e performative. Cosa ricorda e quale sentimento di gratitudine riserva verso quella giornata speciale?
Mi ha fatto molto piacere ed ero molto grato per il riconoscimento inaspettato.
Un consiglio per tutti coloro che desiderano accostarsi, in maniera professionale, alla danza e al teatro ma anche in generale "all'arte"?
Se sei convinto di avere il talento e hai il desiderio di dare un contributo per cercare di migliorare il mondo, allora segui il tuo cuore. Non ascoltare quelli che desiderano scoraggiarti. Quando da ragazzo ho fatto l'audizione alla "Royal Ballet School", mi è stato detto che non avevo né il carattere né il fisico per diventare un danzatore!
Che ricordi conserva degli anni trascorsi al Bradford College of Arts?
Ero felice ma volevo disperatamente scappare da Bradford e andare a Londra per la mia carriera di danzatore, con la speranza di entrare alla "Ballet Rambert School".
Mentre al Ballet Rambert di Londra?
Il periodo che ho trascorso alla Rambert School, è stato il più felice della mia vita. Stavo finalmente vivendo il mio sogno. Marie Rambert non è stata sempre molto paziente con me. Mi sono trovato meglio con altri insegnanti. C'era un grande spirito di gruppo tra gli studenti. Poi sfortunatamente mi hanno chiesto di lasciare la scuola, apparentemente perché non c'era mai stata una gran simpatia con Angela Ellis, che stava per diventare la nuova direttrice della compagnia. Anni dopo, quando stavo danzando a Broadway, arrivò un telegramma da parte di John Chesworth, il nuovo direttore, che mi invitava ad unirmi alla compagnia e creare un balletto. Il balletto fu "The parades gone by", un omaggio al cinema hollywodiano ai tempi del muto e il conseguente drammatico passaggio al sonoro. Fu un grandissimo successo e da allora l'ho rimesso in scena più volte con altre compagnie. Recentemente con il Teatro dell'Opera di Roma, io stesso ero in scena nel ruolo del Regista. Più tardi mi chiesero di nuovo di creare un altro balletto, "Cruel Garden", che ho realizzato in collaborazione con Christopher Bruce. Era basato sulla vita e la morte di Federico Garcia Lorca. Dopo l'enorme successo, sono stato invitato a rimetterlo in scena per l'"English National Ballet", "The Houston Ballet" e per la "Berlin Oper". Entrambe le produzioni sono rimaste nel repertorio Rambert per molti anni.
Mr Punch. Foto Richard Haughton
Mi parli del pezzo "Le Mani" che M. Marceau gli trasmise come "dono"?
"The Hands" non è stato creato per me, fu creato dal mimo inglese Harold Chesire che lo donò poi a Marcel Marceau.
Ha spaziato in varie compagnie di danza, teatro, teatro-danza, cabaret, musical, mimo, coreografia perfino spogliarelli. Mi parli di quest'ultimo aspetto, magari ai molti poco noto ma sicuramente curioso?
Sono sempre stato affascinato dal cabaret di basso livello, soprattutto i cabarets di Berlino e il burlesque americano. Ho sempre incorporato lo striptease e questo genere popolare in tutto il mio lavoro. Ho lavorato in molti striptease club, come regista e performer sia perché mi piaceva sia per poter pagare l'affitto. Per me fa tutto parte del "teatro".
Lei ha dato vita ad un genere di danza onirico, ricco di contenuti ed ispirazione e forte di effetti spettacolari ottenuti con un attento uso della musica, del trucco e delle luci. Da dove ha sempre tratto l'energia per dirigere il tutto con maestrìa?
L'energia viene dalla mia passione!
In qualche modo ha contribuito a rinnovare i fasti della danza classica e contemporanea?
Spero di sì!
Tanti sono i suoi spettacoli, troppi per elencarli nel dettaglio, però mi piacerebbe solo un aggettivo per dipingerne alcuni tra i più celebri:
"Sogno di una notte di mezza estate"?
Esotico, erotico.
"Salomè"?
Esotico, erotico!
"Mr. Punch's Pantomime"?
Giocoso e cattivo!
"Sogno di Nijinscky o Nijinscky il matto"?
Follia divina!
"The Big Parade"?
Nostalgia!
"Alice"?
Fantastico!
"Duende"?
Passione!
"The Parades Gone By"?
Nostalgia!
"Cruel Garden"?
Tragico!
"Onnagata"?
Sublime!
"Cenerentola"?
Crudele!
"Variété"?
Tragicommedia!
"Rêves de Lumière"?
Sogni!
"Dreamdances"?
Transfigurazione!
"Sogno di Hollywood"?
Nostalgia!
"Elizabeth"?
Dolore!
Salomè. Foto di Richard Haughton
Il cinema che valore aggiunto ha dato alla sua carriera?
Il cinema è una delle mie più grandi fonti di ispirazione.
Ha interpretato anche il ruolo della fata Carabosse ne "La bella addormentata" del Balletto del Sud con le coreografie di Fredy Franzutti. Spettacolo al quale ho assistito durante il Festival di Vignale Danza. Cosa ama della danza classica accademica?
Sono molto attratto dalla tradizione. Il balletto classico è stato il mio primo amore e rimane tale.
Recentemente Firenze gli ha dedicato dieci giorni di eventi in omaggio al suo genio. Che emozione ha provato?
Gratitudine!
Attualmente è in tourneé con la sua ultima creazione "Kemp dances" con la "Lindsay Kemp Company". Uno spettacolo fatto di invenzioni e reincarnazioni, nuove creazioni abbinate a rivisitazioni dei suoi pezzi antologici, un puzzle emozionante e fantasioso. Cosa prova oggi ad entrare nuovamente in palcoscenico, dopo tanti anni di esibizioni? Le emozioni sono sempre le stesse?
Provo lo stesso piacere e la stessa paura.
La sua è una danza senza età e senza tempo. Qual è il suo segreto Mister Kemp?
Non ho segreti!
Per concludere, come indirizzare e canalizzare la ricerca verso la vera essenza della vita?
Credo forse di aver già risposto a questa domanda attraverso le altre domande...
Michele Olivieri
(traduzione di Daniela Maccari)