Con Ein deutsches Requiem, op.45 di Johannes Brahms, eseguito dalla Basel Symphony Orchestra, Coro della MDR di Lipsia, Marek Janowski direttore, Wilhelm Schwinghammer baritono, Christina Landshamer soprano, ha preso il via martedì 16 aprile a Brescia presso il Teatro Grande la 56a edizione del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo
Ecco una intervista al direttore artistico della manifestazione, Pier Carlo Orizio, dal 2007 responsabile della programmazione musicale.
Un festival per due città Bergamo e Brescia. Ci hanno provato altri nel copiare questa formula creata nel 1964, ossia quella di promuovere un'asse preferenziale nel circuitare musica e pubblico tra due città capoluogo: unirsi per far circolare concerti e spettatori. Cosa è rimasto dell'intuizione di allora affida ad un comitato Gasparo di Salò (nome anche del complesso da camera diretta dal maestro Agostino Orizio) di Brescia e dall'azienda autonoma di Turismo di Brescia?
L'intuizione di mio padre è stata un'intuizione vincente e virtuosa, nel senso che ha permesso al Festival di crescere costantemente, che probabilmente non sarebbe stata possibile senza l'unione delle due città. Il festival viene spesso preso a modello virtuoso anche in campi diversi a quello musicale, dove le nostre due città fanno più fatica a dialogare.
Come si è posto il mondo musicale italiano di fronte a questo progetto di un festival sorto attorno ad uno strumento solista, non sorretto da un concorso, e fortemente programmatico?
Il Festival si è posto subito, o meglio dalla seconda edizione, l'attenzione del mondo musicale come una manifestazione di altissimo livello, soprattutto per la presenza costante di Arturo Benedetti Michelangeli.
All'origine e fino al 2009 il festival è stato indossolubilmente legato al suo nome che l'ha fortemente voluto nella sua città natale. Compaiono fin dalle prime edizioni i grandi nomi del pianoforte mondiale che si confrontano con quello italiano. Come si è risolto questo raffronto tra le diverse scuole interpretative?
Io non parlerei di raffronto tra scuole interpretative ma della costante ricerca dei migliori interpreti per il repertorio che di anno in anno andiamo ad esplorare. Non nego che un occhio di riguardo per alcuni alenti del nostro Paese sia stato costante in questi anni, penso in particolare a Federico Colli, ma è innegabile che una scelta ricada su quegli interpreti che, a prescindere dalla scuola di provenienza, ci diano le migliori garanzie di successo. Mi riferisco in particolare a Yuja Wang e a Daniil Trifonov, e più recentemente ad Alexander Malofeev e uest'anno alla giovanissima Alexandra Dovgan.
I giovani emergenti italiani, quest'anno Alessandro Taverna, che si aggiungono ad altri nomi nel panorama dei solisti emergenti stranieri. Alcuni di lorosono state meteore nel panorama del concertismo. Il pianoforte padre o patrigno?
È innegabile che il meccanismo dei concorsi contribuisca a creare delle meteore, ovvero pianisti che pochi anni dopo il successo, anche in una manifestazione prestigiosa, per varie ragioni non mantengono le aspettative.
Maurizio Pollini vi partecipò ancora nel 1966 per poi nel 2000, durante il Festival vincere il premio "Arturo Benedetti Michelangeli" un ideale passaggio di consegne. Si può parlare di una evoluzione dell'interpretazione pianistica?
Certamente si può parlare di un'evoluzione, soprattutto dal punto di vista tecnico. Alcuni sostengono che personalità musicali quali Rubinstein, Richter, Horowitz, oggi non ci siano o non siano così spiccate. Il che può essere vero, ma io ritengo che il pianoforte non abbia mai goduto di un numero di talenti così straordinario come in questo periodo. Certamente favoriti anche da mezzi tecnici che ci permettono di conoscerli ancora giovanissimi.
La fidelizzazione degli artisti che si sono succeduti nel corso degli anni Pletnev, Richter, Pollini, Sokolov, Magaloff, graditi ritorni sottendono anche conferme dell'affidabilità della manifestazione?
Prima tra tutti, come Martha Argerich.
Una caratteristica del festival è la programmazione a tema, con un filo conduttore che, di volta in volta, mette a fuoco un autore, un ambiente culturale, un periodo storico particolare. Limite o peculiarità che lo fa un unicum nelle rassegne?
Il fatto di essere un Festival a tema è la nostra caratteristica che non abbiamo mai avvertito come limite, ma anzi come un dato irrinunciabile. Questo fin dalla seconda edizione dedicata a Mozart, ma nel corso dei 56 anni di Festival l'indirizzo tematico ci ha permesso di esplorare non solo singoli compositori, proponendone anche in alcuni casi l'opera omnia, ma anche forme musicali, quali la forma sonata e la variazione, o periodi storici.
Pianoforte declinato anche nella sua componente di strumento concertante accompagnato dai grandi complessi sinfonici europei. Che valora aggiunto dà alla città l'inserimento del festival nel tour di questi grandi complessi internazionali?
L'indice di gradimento delle orchestre per il nostro pubblico è molto alto, e noi cerchiamo di mantenere costantemente alto anche il livello orchestrale. Quest'anno tra le altre abbiamo due delle più prestigiose orchestre al mondo, la Royal Philharmonic Orchestra e la Budapest Festival Orchestra.
Esiste la percezione nella comunità di essere spettatori consapevoli di un evento internazionale?
La costante presenza di un pubblico affezionato ci dice dell'alto gradimento del Festival, è chiaro che il nostro pubblico è particolarmente attento alla qualità e colto.
Negli anni'70 si era sperimentato un inserimento della musica contemporanea esiste spazio per le avanguardie storiche del'900. È possibile ancora sperimentare?
Si ma in maniera diversa, Lei fa sicuramente riferimento alle rassegne di musica contemporanea che negli anni Ottanta avevano ospitato alcuni dei compositori di massimo prestigio dell'epoca. A Stockhausen venne addirittura dedicato un concorso di composizione da noi presieduto.
Questa rassegna non si inseriva però all'interno della manifestazione principale ed era dedicato a un pubblico veramente ristretto. Il tentativo di uscita che abbiamo fatto invece nei Festival dal 2007 in poi, è stato quello di inserire compositori contemporanei all'interno del calendario normale dei concerti, sullo stesso piano dei grandi compositori del passato.
Nel 2007 è subentrato alla direzione Lei, PierCarlo Orizio, figlio del fondatore, Agostino Orizio: è stata una successione nel segno della tradizione o di innovazione?
Fin i primi Festival sui quali ho avuto modo di lavorare sono stati caratterizzati da temi innovativi e dalla presenza costante di alcuni dei massimi compositori contemporanei. Arvo Pärt nel primo anno, accanto a Beethoven, Bernstein accostato a Chopin, ma forse il Festival che ho amato di più è stato quello dedicato alla Cina che ha permesso al nostro Festival per alcuni anni di avere un suo gemello a Pechino.
Quali difficoltà sussistono per tenere alta la qualità e l'attenzione della manifestazione?
Dobbiamo lottare quotidianamente contro la parola "tagli" ma questa è ormai la parola che caratterizza tutti gli ambiti della cultura in generale. È inevitabile che questo abbia delle ripercussioni anche su alcune scelte artistiche e su aspetti che riguardano la comunicazione del Festival.
Grazie.
Federica Fanizza