giovedì, 07 novembre, 2024
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INTERVISTA a GIUSEPPE PICONE - di Michele Olivieri

Giuseppe Picone Giuseppe Picone

Carissimo Giuseppe, raccontami della tua prima volta in palcoscenico, sia da allievo che da professionista?
Da allievo è stato nel 1987 per lo spettacolo di fine anno del primo corso al San Carlo, sotto la direzione del Maestro Zarko Prebil. Il ricordo è meraviglioso perché dovevamo fare dei piccoli pezzi di balletto, ma l'adrenalina era come se personalmente dovessi danzare il primo ruolo di un grande titolo del repertorio. Mentre nelle vesti da professionista è stato con "Theme and variations" di George Balanchine presso il "Ballet National di Nancy". Era il mio primo contratto, a sedici anni, e non dimenticherò mai la paura di sbagliare perché ero giovanissimo, da poco ero entrato in compagnia in qualità di Solista e avevo tutti gli occhi addosso. Tra l'altro questo titolo di Balanchine non è uno dei balletti tra i più facili, comunque conservo un ricordo indelebile.

Come ti sei innamorato dell'arte coreutica?
Mi sono avvicinato alla danza grazie a mio fratello Raffaele perché sotto consiglio di una sua amica ballerina mi portò all'età di nove anni all'audizione per l'ammissione al 1° corso della Scuola di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. A quattordici anni sono entrato a far parte dell'Accademia Nazionale di Danza di Roma e a sedici anni ero già al "Ballet Nacional de Nancy" e nel 1993 all'"English National Ballet" fino al 1997. Nel dicembre dello stesso anno sono entrato all'"American Ballet Theatre" di New York. In seguito ho preferito intraprendere la carriera da guest e sono stato invitato dalle maggiori compagnie nazionali ed internazionali, partecipando inoltre a numerosi Gala e Festival.

Il tuo debutto lo si deve anche a Carla Fracci e a Beppe Menegatti, che sensazioni hai vissuto al loro fianco?
Conservo di quel momento un ricordo bellissimo, avevo dodici anni e ritrovarmi in sala con dei mostri sacri del loro calibro è stato particolarmente emozionante. Carla Fracci mi ha insegnato e ispirato spesso durante il mio percorso artistico, interpretare il ruolo di Albrecht in sala danza al suo fianco è sicuramente uno di quei momenti che non potrò mai dimenticare.

Quale ritieni sia il tuo segreto professionale e didattico che ti ha reso una figura di rilievo e successo?
Non penso di avere un segreto professionale, ho maggiormente sfruttato la voglia di ballare tramite un fuoco interiore che si potrebbe chiamare in qualche modo un "segreto", che mi ha accompagnato per tutta la carriera. Grazie a questo stato d'animo sono riuscito ad entrare in scena rendendo ogni spettacolo migliore dell'altro.

Durante un'audizione per il Corpo di Ballo da te diretto, quale tipo di danzatore/rice ti colpisce? Cosa ricerchi oltre alla preparazione tecnica e alla predisposizione?
In primis presto molta attenzione all'aspetto fisico perché penso che in un corpo di ballo ci debba essere un'armonia nel vedere un ballerino in scena, poi se il danzatore possiede delle caratteristiche tecniche importanti è normale che andrà avanti nella carriera da solista o da futuro primo ballerino, ma in una compagnia le doti fisiche sono fondamentali, soprattutto sostenute da un'intelligenza nell'apprendere le correzioni, gli esercizi o una combinazione. Questa serie di aspetti ti fa meglio comprendere se un candidato è preparato per essere ammesso a far parte di un corpo di ballo.

Hai messo in scena al San Carlo capolavori lodati da pubblico e critica... Qual è il balletto che ami di più del grande repertorio classico?
Il mio balletto è sicuramente "Romeo e Giulietta". Al San Carlo ho messo in scena una mia coreografia di "Cenerentola" che è stata apprezzata moltissimo sia in Italia ma anche in Spagna e in Cina; sono orgoglioso di questa creazione e ricordo che in quel periodo c'era ospite da noi Luigi Bonino per rimontare "Pink Floyd" di Roland Petit e mi fece i complimenti, e fu per me un valore notevole.

Mentre del repertorio contemporaneo/moderno?
Sicuramente "Petite Mort" di Jiří Kylián. Come lui non c'è nessuno, naturalmente porto molto rispetto per Maurice Béjart oppure per William Forsythe, tra l'altro oggi abbiamo anche dei nuovissimi coreografi tipo Akram Khan e tanti giovani bravi, ma Kylián rimarrà per sempre nel mio cuore.

Hai accettato dei compromessi nella tua carriera?
Magari! Nel senso che se l'avessi fatto avrei avuto una carriera forse più mediatica ma al contempo anche meno artistica. Comunque va bene così, sono pienamente soddisfatto del mio percorso fino ad oggi compiuto.

La danza negli ultimi anni si è evoluta, cosa ne pensi a riguardo?
Sicuramente è diventata più ginnica anche se continuo di gran lunga a preferire gli artisti agli atleti.

Quali sono i tuoi maggiori consigli tecnici, oltre alle innate doti fisiche, per avvicinarsi allo studio della danza classica?
Sono quelli di lavorare duro perché solo con il lavoro si possono ottenere enormi traguardi, la frase che il duro lavoro batte il talento è sempre vera.

Quale obiettivo fondamentale ti sei prefisso al momento della nomina a direttore del corpo di ballo del San Carlo?
Ormai sono passati tre anni e gli obiettivi che mi ero prefisso sono stati pienamente soddisfatti dalla compagnia e messi in risalto, sia dal pubblico che dalla critica. I miei propositi erano quelli di infondere un'eleganza, una precisione ed una linea al Corpo di Ballo. Proprio quest'anno, con la messa in scena del "Lago dei Cigni", siamo arrivati ad ottenere un lusinghiero e meritato successo per tutti i danzatori.

Attualmente che tipo di lavoro stai svolgendo con il Corpo di Ballo e quali sono le tue linee guida per gli anni a venire del tuo mandato?
Il lavoro è quotidiano con la compagnia perché i progressi si possono solamente ottenere con un compito di dedizione al movimento, alla predisposizione per il sacrificio pur di ottenere la qualità artistica e la tecnica. Sicuramente le mie linee guida continuano ad interessare il classico e il contemporaneo perché è importante che un ballerino di oggi riesca ad esprimersi pienamente in entrambe le discipline.

Un tuo ricordo per Vittoria Ottolenghi?
Questa è una domanda molto difficile perché sono molto legato a zia Vittoria, che purtroppo ci ha lasciati troppo presto, ma resterà per sempre nei miei ricordi più cari e più belli. Mi ha visto crescere, mi ha criticato e al contempo mi ha lodato quando ce n'era bisogno. Vittoria ha fatto parte veramente di una fetta della mia carriera e soprattutto della mia vita personale.

A distanza di qualche anno come reputi l'esperienza in corso alla direzione del Ballo al San Carlo, un nuovo capitolo della tua vita artistica?
Reputo sia molto difficile ed arduo essere direttore perché è in gioco il futuro della compagnia, soprattutto se commetti delle scelte sbagliate. A differenza della Scala di Milano o dell'Opera di Roma io ho a disposizione un minor numero di ballerini e questo mi dispiace, malgrado ciò sono un leone e sto lottando con tutte le mie forze per ottenere sempre più tersicorei a disposizione, per farli lavorare ma anche per avere più facilità nella gestione. È un'esperienza magnifica quella della direzione in quanto a livello di maturità mi ha aiutato particolarmente, è un capitolo che ho accettato di aprire a quarant'anni, ora a quarantatré compiuti scorgo una differenza, non tanto artistica ma sicuramente a livello umano, sono più riflessivo e responsabile, mi sento come un padre di famiglia.

Con la tua direzione il Corpo di Ballo ha una sua chiara identità, qual è l'aspetto che ti gratifica maggiormente?
Mi fa piacere che la chiara identità oggi sia ben espressa dai danzatori. Amo vedere degli spettacoli che vengono osannati dal pubblico e cerco sempre di spingere i talenti ad affrontare ruoli importanti, come in questo momento che sono in procinto di mettere in scena il "Lago dei cigni" con una nuova Odette/Odile che si chiama Luisa Ieluzzi, solista della compagnia. Sicuramente le soddisfazioni appaiono meravigliose quando vedi il tuo lavoro in scena apprezzato dagli spettatori.

Hai forgiato nuove leve di danzatori, come è strutturato attualmente il Corpo di Ballo del San Carlo di Napoli?
Ho quindici ballerini stabili e quattordici ballerini con contratto di aggiunto annuale, per un totale di ventinove elementi. Naturalmente per i grandi balletti come "Lo schiacciacnoci", "Il lago dei cigni" oppure "Cenerentola" chiamo circa venticinque ballerini in più che lavorano con noi per quasi cinque mesi all'anno; sarebbe fantastico averli fissi nell'organico del Teatro San Carlo, per ora non è possibile ma in un futuro tutto potrà accadere.

Il bagaglio artistico per essere danzatori ed artisti completi si acquista solo danzando, giusto?
Assolutamente sì, solo danzando, solo andando in scena, mettendosi in gioco con le luci, il pubblico, l'orchestra, la musica, il costume, il trucco... solo così si riesce ad acquisire una totale padronanza scenica.

Il San Carlo rappresenta la tua casa e le tue radici, cosa ami maggiormente a livello di spazi, architettura e magia di questo luogo?
Il San Carlo è stato definito più volte uno dei teatri più belli al mondo per la sua storia e l'architettura. Lo spazio che mi lascia sempre senza parole è la platea con quello sfarzo dorato e quel barocco meraviglioso. Sono davvero felice di poterne fare parte tutti i giorni perché all'interno di questo teatro è come se si vivesse una storia infinita, ricca di arte, passione e amore.

Come cambiano gli obiettivi di un'étoile quando ricopre il ruolo di direttore?
Cambiano radicalmente perché a volte non riesco nemmeno a mettermi alla sbarra a fare gli esercizi. Sono sempre impegnato a gestire le varie problematiche teatrali che variano dai costumi, dalla direzione d'orchestra, alle prove di scena, alla preparazione dello spettacolo, pertanto gli obiettivi sono completamente diversi. Non ho più il tempo di ballare come una volta, ma ogni tanto riesco a concedermi qualche puntatina, magari per andare a Londra, come ad esempio è successo un mese fa, per un gala di stelle al "London Coliseum" o volare un giorno a Buenos Aires per poi rientrare subito il giorno seguente a Napoli per seguire gli spettacoli. L'obiettivo principale del direttore è quello di prendersi cura della compagnia e di tutto quello che la riguarda.

Oggi nella danza ammiriamo salti e figure, a cosa si deve tutto ciò?
Penso che con l'avvento di internet e dei Social si guardino più le cose estetiche piuttosto che alla sostanza, aspetto quest'ultimo che a mio avviso è sinonimo di artisticità perché quando in scena si apre il sipario nessuna figura d'appoggio ti può aiutare, magari fai tanti salti e giri molto ma uno spettacolo non si fa così, la tecnica è basilare ma necessita in maniera indivisibile di una profondità d'animo.

Un tuo suggerimento per avvicinare maggiormente il pubblico giovane al balletto e alla danza?
Di venire a teatro, di innamorarsi dell'atmosfera magica che si respira e di ascoltare poi le note dell'orchestra, di appassionarsi a ciò che accade in scena perché la danza sia classica, moderna e contemporanea ha sempre qualcosa da esprimere, un qualcosa che ti entra dentro... è come andare ad una partita di calcio, a me questo sport non piace, sono stato poche volte allo stadio però mi ha lasciato dentro grande allegria, i tifosi sono il vero spettacolo, certamente guardano la partita ma al contempo si divertono e quell'armonia mi ha fatto riflettere che anche nel nostro mondo artistico teatrale ci si dovrebbe ritagliare maggiori momenti di gioia e non soltanto di sofferenza. La danza è faticosa ma è anche tanto meravigliosa.

Quale sinergia intercorre tra gli allievi della Scuola di ballo e il Corpo di Ballo?
È una sinergia perfetta perché da quando sono diventato direttore ho apprezzato i ragazzi che via via si sono diplomati e che accedevano alle mie audizioni. Li ho presi subito come aggiunti e addirittura per "Il lago dei cigni" ho voluto sei donne e due uomini dal settimo corso così da farli lavorare in compagnia. Proprio in questi giorni loro stanno nuovamente provando con noi per la ripresa a giugno del "lago". Pertanto la sinergia è particolarmente importante con la scuola di danza, è fondamentale come in tutti i teatri del mondo.

In particolare come approfondisci con i tuoi danzatori il rapporto tra musica ed interpretazione?
Durante le prove spesso mi fermo per curare la musicalità di un passo o l'interpretazione perché siamo artisti e al pubblico va restituito totalmente il ruolo che stai interpretando, la sensazione che tu sia veramente il personaggio che ti è stato affidato. Tutto ciò supportato dal "ballare in musica" che è fondamentale.

Quanto è fondamentale il ruolo del pianista accompagnatore nella formazione del ballerino?
È fondamentale perché i pianisti ti accompagnano per tutta la giornata, fortunatamente ho due maestri al San Carlo, Alexandra Brucher e Aniello Mallardo, che operano con assoluta professionalità sia alla lezione che alle prove. Sono davvero felice perché girando nei teatri italiani mi sono reso conto che a Napoli siamo favoriti in quanto questi due professionisti sono realmente dei fuori classe.

Quali sono gli sbocchi lavorativi che vengono offerti a chi ottiene il diploma al San Carlo?
I migliori entrano a far parte della graduatoria del Teatro San Carlo ma sono sicuro che al di fuori di questa istituzione anche gli altri potranno intraprendere diverse strade, magari divenire insegnanti, o sostenere audizioni all'estero, entrare in compagnie contemporanee o classiche. Quando una scuola ti porta al diploma significa che ha fiducia in te e di conseguenza sta al tersicoreo mettersi il più possibile in gioco per il proprio futuro professionale.

Se dovessi stendere un bilancio sulla tua attività di direttore, puoi ritenerti pienamente soddisfatto?
Sono molto soddisfatto perché in tre anni il lavoro che ho intrapreso non è stato solo sulla compagnia ma ad esempio sono riuscito grazie a degli sponsor a cambiare le quattro sale ballo del San Carlo, e a rinnovare in esclusiva le tute-danza firmate da un grande brand della moda. Tutto ciò significa acquisire una mediatica importante, i ballerini sono cresciuti tantissimo, e sono soddisfatto della nomea che la compagnia oggi gode, perché precedentemente alla mia direzione questo aspetto era un po' sottotono, ma da tre anni a questa parte sono passati al San Carlo i migliori ballerini al mondo, ad esempio Marianela Núñez, Yana Salenko, Vladimir Muntagirov e Daniil Simkin e pertanto la fama del suo corpo di ballo è assai positiva e di questo ne vado fiero.

La tecnica cristallina è sempre entusiasmante da ammirare in teatro ma le emozioni che dona l'arte sono tutt'altra cosa, ti ritrovi in questa affermazione?
La tecnica cristallina porta il pubblico ad apprezzare maggiormente ma quello che ti lascia un artista mediante le emozioni è un qualcosa di diverso ed unico. Mi ritrovo nella tua affermazione Michele anche perché in un teatro le emozioni sono l'ingrediente principale. Nella mia carriera ha inciso particolarmente Rudolf Nureyev perché la sua artisticità era qualcosa di potente ma anche la nostra mitica Carla Fracci con la sua interpretazione di "Giselle" ha lasciato un segno, un'interpretazione come la sua non l'ho mai più rivista. La Fracci ha influito sulle mie scelte, ho amato tantissimo lavorare con lei, un percorso importante che mi ha fatto comprendere che il valore dell'artista deve prevalere su ogni altro aspetto.

Cosa significa oggi avere "talento"?
È quel qualcosa che non puoi spiegare, non tutti possono avere, può essere uno sguardo o semplicemente una camminata o meglio ancora lo stare fermi... quello è il talento! C'è una luce interiore che viene emanata verso il pubblico che non puoi spiegarlo a parole. Il talento è sapersi immedesimare in un ruolo e farlo tuo al meglio. Magari se non è un balletto classico ed è contemporaneo il talento sta nel sapersi affidare al coreografo, e riuscire a sentire ogni singolo movimento rendendolo proprio, come per esempio Sylvie Guillem che con grande professionalità eseguiva tutto ciò che il coreografo le richiedeva ma alla fine lei lasciava sempre il suo indelebile segno personale.

Il tuo ricordo più bello ad oggi nelle vesti di Direttore?
La prima del debutto di "Cenerentola". Quando al termine sono salito sul palco per gli applausi è stato meraviglioso perché abbiamo riscosso grande successo, una sfida enorme in quanto sono tre atti e c'è tanto da fare... le coreografie, i costumi, le scene, la musica di Prokof'ev che non è propriamente facile... sicuramente quello è stato il giorno più bello.

Come è cambiato nel tempo il mondo della danza e del balletto?
Oggi il mondo della danza diciamo è diventato più mediatico, da una parte può andare bene ma dall'altra si sta perdendo la linea artistica e questo mi duole perché in scena si deve saper dare spazio all'arte piuttosto che alla semplice esecuzione... purtroppo oggi non è sempre così!

Attualmente cosa ti emoziona in particolare?
Ad esempio un ballerino che riesce ad emozionarsi e a trasmettere energia, forza, eleganza allo spettatore. Queste sfaccettature se ben interiorizzate il pubblico le percepisce e le fa poi sue.

Tre aggettivi per descriverti in qualità di Direttore?
Generosità, qualità e umanità.

La passione per la danza con il tempo cambia o è sempre la stessa?
È sempre la stessa... per questo si chiama passione. Chi possiede questa luce non potrà mai dimenticarla e riporla in un cassetto. Quando si smette di ballare la passione è sempre lì al tuo fianco, anche solo quando vai ad assistere ad uno spettacolo in teatro o ti vedi un video da casa.

Qual è il tuo ricordo personale legato al grande Maestro Roberto Fascilla?
Un grande ed indimenticabile artista! Conservo un ricordo meraviglioso del Maestro Fascilla perché quando eravamo in scuola di ballo lui era il direttore del San Carlo e aveva sempre delle parole per me gratificanti, poi ci siamo rivisti negli anni successivi e la sua gentilezza nei miei confronti non è mai venuta meno.

Come gestisci il ruolo di direttore inteso anche in termini di tempo tra tournée, prove, pianificazione degli spettacoli, lezioni?
La mia vita è diventata complessa perché mi alzo alla mattina presto e rientro tardissimo alla sera, devo seguire le prove, occuparmi delle programmazioni, preparare le tournée... ci vuole tanta pazienza ma con la passione si supera tutto.

Il coreografare per te è un momento intimo, un bisogno di esternare qualcosa?
Penso di sì, alcune delle mie creazioni sono nate per un'esigenza artistica interiore.

Nella tua carriera hai danzato molte coreografie, a quale sei particolarmente legato?
Più di una, direi l'"Arlesienne" di Roland Petit, "Onegin" di John Cranko, "Slingerland" di William Forsythe perché sono legati a dei momenti straordinari.

Cosa non hai danzato che ti piacerebbe portare in scena?
Sinceramente niente nel senso che non ho nulla che non abbia danzato che vorrei interpretare. Nutro invece un sogno che è quello di coreografare "Romeo e Giulietta", di matrice classica... su questo aspetto ho le idee molto chiare.

In conclusione, una tua raccomandazione per tutti i giovani che nutrono il sogno della danza ai massimi livelli?
Mai perdersi d'animo, studiare a fondo, fare più lezioni durante il giorno con maestri differenti. Quando si è piccoli di età il corpo può tranquillamente sostenere due o tre lezioni quotidiane, così da acquisire maggiori informazioni dal mondo coreutico per poi presentarsi alle audizioni e sbaragliare la competizione verso un percorso professionale importante. Non bisogna mai scoraggiarsi ma credere sempre nel magico mondo della danza.

Michele Olivieri

Ultima modifica il Mercoledì, 29 Maggio 2019 06:32

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