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INTERVISTA a SISTA BRAMINI. -di Franco Acquaviva

O'Thiasos TeatroNatura. Foto Fabrizio Magnani O'Thiasos TeatroNatura. Foto Fabrizio Magnani

Sista Bramini, con il suo gruppo O'Thiasos TeatroNatura, è stata tra le prime in Italia a indagare il nesso teatro-ambiente naturale; e lo ha fatto partendo da sue esperienze cardinali con maestri del teatro del '900: il Grotowski del cosiddetto "parateatro" e Eduardo (le famose lezioni alla Sapienza dei primi anni '80). Due esperienze lontanissime fra loro, che Sista è stata in grado di integrare sapientemente in una prassi scenica pensata e progettata essenzialmente al di fuori dalla sala deputata, alla ricerca di uno spazio dove l'attore potesse cogliere, momento per momento, la sfida di un ambiente a lui per tradizione estraneo, connettendosi alle correnti più profonde del processo di creazione artistica, quelle che aprono all'essere umano-attore gli spazi della ricerca interiore, di cui quell'emersione, la recitazione, è solo un vertice visibile.
Così gli spettacoli di Thiasos – che negli anni si è evoluto come gruppo coeso e altamente qualificato di ricercatori, tra cui le attualmente operanti Camilla Dell'Agnola, Carla Taglietti, Valentina Turrini, Veronica Pavani – richiedono sempre un processo preparatorio che non è solo tempo di prove, ma apertura a un percorso artistico comunitario, che assume la scansione temporale della continuità ininterrotta e la dimensione esistenziale del coinvolgimento totale; mettendo spesso alla prova anche i limiti psico-fisici della persona-attore. In questa intervista ci focalizziamo sul festival che il gruppo organizza, a luglio, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, in Piemonte. Per il programma completo si può consultare www.teatronatura.it e www.pngp.

Come nasce un festival teatrale in questo territorio?
Gran Paradiso dal vivo, è ambientato nel versante piemontese del Parco, in una zona poco turistica; da tempo il territorio aspettava un'iniziativa che fosse in sintonia con le sue caratteristiche.
L'opportunità è venuta dall'Università di Aosta, cattedra di "Ecologia affettiva" del prof. Giuseppe Barbiero che aveva incontrato il nostro lavoro nei laboratori/convegni di IRIS (Istituto di Ricerca Interdisciplinare sulla Sostenibilità) dell'università di Torino. Il prof Barbiero trovò che il nostro fosse un progetto interessante nell'ottica di una conversione alla cultura ecologica, e dunque ci coinvolse in una ricerca legata al deficit di attenzione nei bambini delle scuole elementari, che utilizzava le neuroscienze e la meditazione, e cercava dei parametri per la ricarica dell'attenzione dei ragazzi. Il nostro TeatroNatura si rivelò l'attività di gran lunga più efficace, tanto da diventare uno standard scientifico (standard Etroubles). Sono quasi trent'anni che provo a convincere i parchi della necessità di progetti artistici e di formazione che immergano il pubblico nei luoghi naturali, favorendo un'apertura della percezione e collegandosi a emozioni profonde. Ora i tempi sembrano più maturi, forse perché più palpabile si fa il disastro ambientale. Creare un festival teatrale in queste zone non è facile. Il radicamento nel territorio deve crescere insieme alla qualità artistica, in modo da rendere la proposta universale; radicata ma non astratta, scollegata dal pubblico.

Quale può essere il ruolo del teatro dentro a un parco naturale come questo?
Il nostro è un teatro senza palchi né amplificazioni e conduce il pubblico in silenzio nel cuore della natura; da lì può ascoltare storie emozionanti (molte di esse sono tratte dal mito antico) e canti dal vivo che risuonano con le acustiche naturali dei luoghi. Il teatro entra poeticamente e storicamente nel paesaggio costituendo un'esperienza individuale e collettiva che può contribuire alla formazione di una comunità empaticamente connessa ai luoghi naturali e agli altri esseri viventi. Se si vuole arrivare a una conversione ecologica reale, bisogna trasformare la nostra percezione con esperienze che ci convincano che non è tanto la natura ad aver bisogno di noi ma noi di lei. Io sogno un circuito teatrale specifico che si snodi nei parchi italiani. E malgrado nel lontano 2000 vincemmo un premio dei parchi europei per questo progetto, esso non si è ancora realizzato.

Ci racconti qual è per te la differenza tra usare il paesaggio come "location", come si usa dire oggi con una brutta parola, e il paesaggio come elemento vivo dello spettacolo?
Nel primo caso spesso l'ambiente è un contenitore, la confezione speciale per valorizzare un prodotto, come ci ha insegnato la pubblicità che domina la nostra cultura e che punta sui nostri bisogni rimossi per creare surrogati commerciali. Vivere la natura, ascoltarla al di fuori dei cicli produttivi ma recuperando la contemplazione, l'ozio e l'azione artistica è decisivo. Concretamente si tratta di parlare, cantare e danzare in ascolto del paesaggio in cui si è immersi, e instaurare con le sue caratteristiche morfologiche e acustiche un dialogo sensibile che sia allo stesso tempo sensoriale, emotivo e intellettuale. Così il pubblico, contagiato, entra in una reale esperienza olistica che, ripetuta, cambia la sua qualità percettiva e di consapevolezza.

A quale tradizione, se ce n'è una, ti ricolleghi in questo operare con il teatro dentro l'ambiente naturale?
Mi ricollego alle origini del teatro non tanto in senso cronologico ma come radici essenziali dimenticate da risvegliare, penso a un "teatro rituale" al cospetto delle forze della natura da reinventare, al teatro greco immerso nel paesaggio, ma anche agli esperimenti teatrali nella natura di Copeau, di Grotowski, Peter Brook e in parte al Terzo Teatro di Barba. Sono state tutte tradizioni importanti, connesse al teatro come sapienza incarnata di relazione con il mondo circostante. Penso al grande insegnante di teatro Michail Cechov che, tra le capacità di un attore, menziona quella di assorbire le atmosfere di un luogo e di irradiarle davanti al pubblico.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Sabato, 06 Luglio 2019 08:38

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