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INTERVISTA a GIUSEPPE GALIANO - di Francesca Myriam Chiatto

Giuseppe Galiano Giuseppe Galiano

È la domenica (20 giugno 2021) del concerto della Nuova Orchestra Scarlatti – Scarlatti per Tutti (la rassegna musicale tuttora in corso, che vede numerosi eventi in luoghi splendidi e culturali, con protagonisti professionisti del mestiere e talenti “amatoriali”) e dopo un bagno di musica e bellezza, tra le note e l’arte della Chiesa dei SS. Marcellino e Festo, incontro uno dei direttori d’orchestra che si sono alternati nella guida dei pezzi appena suonati.
Giuseppe Galiano è giovanissimo ed è già direttore d’orchestra, dopo essersi diplomato al Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, ma la musica ha da sempre fatto parte di lui e della sua vita. Qualche domanda mi ha dato l’occasione per scoprire come è iniziata la voglia di farne un lavoro e quanto impegno ci sia voluto, oltre al talento e alla passione.
Iniziamo in Chiesa, per poi spostarci nel Chiostro e infine all’esterno per la nostra chiacchierata a pane e musica.

Quando hai iniziato a fare musica e quando è nata la voglia di trasformarlo in una professione?
La musica è da sempre con me e credo di poter dire che ormai non ci sia più la memoria del momento preciso in cui ha iniziato ad essere nella mia vita, si perde nella notte dei tempi quel giorno e posso al tempo stesso dire che anche la mia passione e la voglia di diventare direttore d’orchestra c’è da sempre, non è mai vacillato questo desiderio. E adesso lavorare con l’Orchestra Scarlatti mi ha dato una spinta fondamentale per crederci ancora di più. Mi sono diplomato soltanto l’anno scorso al Conservatorio e aver già avuto la possibilità di lavorare con loro a questi livelli è una bellissima soddisfazione.

Nel frattempo ci sono saluti e complimenti, persone che erano tra il pubblico e che giustamente si fermano anche un solo istante per parlare del concerto, per chiacchierare o per un saluto. È semplicemente la bellezza della musica che ha lasciato il segno e che merita di essere riconosciuta.

Mi ha colpito quando, sul finale del concerto, c’è stato uno degli altri due direttori che, nel ringraziare il pubblico, ha detto che quando la musica diventa un lavoro non la si vive più alla stessa maniera di quando è solo una passione: che ne pensi?
Secondo me è tutta una questione di fasi della vita. Mi spiego meglio: ci sono momenti in cui non sei ancora sicuro del tuo posto nel mondo e di ciò che vuoi diventare, di quello che vuoi essere “da grande”. Questo è un discorso che prescinde dalla musica in sé: in quelle fasi lì vivi tutto all’ennesima potenza. Si attraversa sempre il tempo in cui devi arrivare a fare dei tuoi sogni un lavoro ed è quello più delicato. Poi ci sono altri periodi della vita in cui, quando tutti quelli che erano i tuoi desideri sono diventati una sicurezza e qualcosa di fondamentale, riesci a viverli in modo molto più sereno e recuperi un po’ di quella spensieratezza. Posso dirti che in questo momento io non so rinunciare né all’una né all’altra cosa: non saprei vivere la musica se non fosse anche il mio lavoro, ma al tempo stesso se la stessa musica non mi facesse provare anche soltanto un briciolo di piacere probabilmente non la praticherei.

C’è qualcuno a cui ti ispiri o a cui ti sei ispirato in passato per arrivare a questo lavoro?
Ce ne sono parecchi, non uno soltanto. Inoltre non sono soltanto direttori, ma anche più in generale compositori. Un esempio per l’una e l’altra categoria è per me Leonard Bernstein, che è stato pianista, direttore e compositore, quindi un artista a tutto tondo e ha praticato anche il jazz e sperimentato anche nuovi linguaggi, sia nella direzione che nella composizione. Tra i compositori in particolare invece, come esempio soprattutto di rigore, sacrificio e dedizione nei confronti dell’arte, per me rimane un modello fondamentale Giuseppe Verdi, perché lo spirito di vera e propria devozione nei confronti della musica e dell’arte in generale è qualcosa che tutta la sua vita può insegnarci e che ci ha già insegnato, ma continua sicuramente a farlo ancora.

Ultima domanda: cosa vuol dire tornare a fare questo dopo tanti mesi in cui non ce n’è stata la possibilità?
Non ci sono parole per descriverlo! È qualcosa che prende proprio lo stomaco, l’idea di poter finalmente tornare a sentire il respiro del pubblico non può davvero essere tradotta a voce, perché ci vorrebbero vocaboli che non sono ancora stati inventati e speriamo di non averne più bisogno!

È sera ormai, il complesso monumentale di San Marcellino di Napoli ha chiuso i battenti e tutti stanno andando via, disperdendosi tra i vicoletti e le stradine che da lì raggiungono il centro storico e le vie illuminate della zona. Ancora alcuni musicisti e qualcuno dei presenti tra il pubblico, s’intrattiene a chiacchierare e commentare la serata e il concerto appena ascoltato, ma anche appena visto, per ciò da cui gli occhi sono stati rapiti. Ci si scambiano complimenti e si parla di passioni, di sogni e, ovviamente, di musica. Mentre ringrazio questo giovane direttore con cui ho appena concluso la chiacchierata, penso a quanto sia bello poter inseguire un obiettivo e realizzarlo, uno scopo da raggiungere con tutto il proprio entusiasmo. Risuona ancora nell’aria qualche nota e il luogo che abbiamo appena lasciato è pronto ad accogliere i prossimi concerti e la prossima bellezza.

Francesca Myriam Chiatto

Ultima modifica il Lunedì, 28 Giugno 2021 16:52

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