Toscana, con temperamento deciso e personalità, Marianella Bargilli è un’attrice che da diversi anni lavora con alacrità sui palcoscenici italiani con registi del calibro di Roberto Guicciardini, Andrée Ruth Shammah, Antonio Calenda, Giuseppe Emiliani, ed è forte di un lungo sodalizio con Geppy Glejeses, con cui ha messo in scena molti lavori, da Knott a Eduardo Scarpetta, Oscar Wilde, formando una delle coppie più affiatate del panorama teatrale italiano. Si occupa dell’ottimizzazione artistica e organizzativa del Teatro Quirino di Roma, parallelamente alla sua attività di attrice, segnale di una passione allargata e mai doma verso il mondo del teatro. E’ appena stata un’applaudita protagonista a Vicenza di “Fedra” di Racine, spettacolo inserito nel Ciclo dei Classici 2021 del Teatro Olimpico. E proprio da qui partiamo per l’intervista.
Come ti sei avvicinata alla figura di Fedra, a questa tragica eroina?
Ho capito che nella sua figura mi ci dovevo buttare a capofitto, rivivere tutto di lei, la parola, il personaggio, il verso, del resto su Fedra c’è tanto, davvero, del quale scoprire. Io ho fatto tanti personaggi in scena, ma mi sono resa conto che lei era speciale.
Cosa troviamo di più attuale in Fedra? Cosa ci avvicina a quel mito?
Fedra è l’amore, malato, la parte ossessiva e passionale. Il guasto ce l’abbiamo tutti , penso, e le tragedie ci fanno riflettere su questo. Quando parlo con mia madre e le parlo delle mie problematiche mi dice: Perché hanno inventato le tragedie? Fedra butta fuori tutti i malesseri interiori, dall’inizio alla fine, c’è una sofferenza enorme psicologica del senso di colpa, della rabbia, della gelosia. Gestirli in un’ora e mezzo di spettacolo è stata una vera scommessa, un bell’obiettivo. Di questo infatti ringrazio tutti i miei compagni di lavoro, deliziosi e capaci, e il regista Patrick Rossi Gastaldi, molto sensibile, che mi ha preso per mano e mi ha condotto in un percorso di un’esperienza indimenticabile.
La soddisfazione è grande, allora, adesso. Come si torna a casa dopo una prova come questa?
Forse ancora non ho realizzato fino in fondo, in ogni caso me la porterò addosso per un bel po’ questa messa in scena. E’ stato uno spettacolo che ho amato molto, in un tempio della recitazione come l’Olimpico che non si dimentica. Io poi le cose le vivo intensamente, e le smaltisco piano piano, quindi anche nei prossimi giorni penserò a tutte le emozioni che ho vissuto. Leggevo anche di un’attrice francese che l’ha interpretata e che diceva che per un bel po’ di tempo se l’è sentita dentro sé.
Fedra non innocente né colpevole…
Racine un po’ la perdona, vede in Enone un po’ la complottista mentre lei le va dietro. Diciamo che la vuole giustificare. Se si va a ragionare sulla pulsione di questa donna, è evidente che è un errore che si innamori del figlio del proprio sposo. Rimane dunque il mistero, infatti non la voglio neanche giudicare.
Recitare all’Olimpico di Vicenza per la prima volta quali sensazioni dà?
I debutti son sempre complicati, tesi, questo è certo: La prima sera dello spettacolo io mi sono sentita serena, certo, emozionatissima perché ero lì ma mi sono divertita perché ho pensato di essere fortunata a fare una protagonista meravigliosa. Un pensiero che ha funzionato visto che ho fatto lo spettacolo con un senso di felicità. Quando ho visto il pubblico ho pensato “dove mai posso vivere un’emozione così”, anche perché il pubblico è vicino, la dimensione è stranissima. E’ stata una delle più belle esperienze della mia vita, dico la verità. Sono grata al destino che mi ha riservato questo. Il Teatro Olimpico è un posto unico, Palladio è stato un vero genio.
L’amore per il teatro l’hai sempre avuto, ma quando ti sei resa conto che sarebbe diventato il tuo lavoro?
Si’, da piccola coinvolgevo fratelli, sorelle e tutti i familiari nei miei show, ma la prima volta che ho capito che lo avrei fatto seriamente stavo a Bologna, dove studiavo cinema al Dams, e ho incontrato un gruppo, il Teatro Danza. Con loro ho fatto spettacoli, laboratori, fin dal primo giorno, quando ricordo la sensazione di benessere, e di sentirsi nel posto giusto. Da lì ho voluto avvicinarmi sempre di più al teatro, un mondo che mi ha aiutato moltissimo anche a vincere delle paure. Pensiamo solo a tutto il lavoro che c’è dietro a uno spettacolo, il metodo, la lavorazione su di sé come persone, il rimuovere del passato utilizzando le parti emotive. Poi, penso che la vita vada vissuta in maniera passionale, altrimenti che rimane?
La sofferta riapertura totale dei teatri come la vivi, dopo tanto tempo di restrizioni?
E’ oro, certamente. Secondo me non abbiamo ancora realizzato fino in fondo quello che abbiamo vissuto, fra un po’ di tempo forse la nostra mente tornerà a valutare quello che ci è successo anche dal punto di vista psicologico. Piano piano ci riavvicineremo alla normalità, certo a noi dello spettacolo in quei giorni è stato come toglierci la terra sotto i piedi. Voglio pensare che tornare a teatro sarà ancora più bello, proprio perché ritorneremo tutti a essere in contatto con gli esseri umani. Il bello del nostro lavoro è avere davanti un'altra persona come noi e non vederla su qualche schermo virtuale. Di quel periodo strano che ci impediva di vivere l’unica cosa che mi è andata bene, per modo di dire, è che ho fatto un’importante riflessione su di me.
Pensi mai al cinema o alla televisione?
Mi è capitato di farli entrambi ma quando sono in tournée non penso mai di fermarmi per fare altro. Non li ho mai cercati più di tanto, certo sono mondi completamente diversi. Ho fatto un film anche recentemente che uscirà quest’inverno, mi sono molto divertita però mi rendevo conto che c’era un’altra tensione. Io ho bisogno di stare sul palcoscenico, là sopra, attaccata a quelle tavole. Lì si è molto vivi. Anche se poi sono un’appassionata di cinema, quindi vediamo cosa mi capita in futuro.
Qualcuno dice che un certo tipo di teatro sia, se non morto, in fase di discesa completa, per vari motivi, e che quindi ci si debba rivolgere alle nuove generazioni con altri linguaggi, altri modi di azione scenica. Cosa ne pensi?
Rispetto ad anni dove si girava molto in tournée, e si stava via per dei mesi il teatro è cambiato. Quelle generazioni hanno vissuto più intensamente, c’erano anche più soldi, più proposte. Oggi è il ritmo della vita che è cambiato. Sarà difficile ripartire, ma sono convinta che è talmente particolare il teatro come forma d’arte che difficilmente andrà a scemare. L’essenza rimarrà sempre.
Un personaggio o un testo che vorresti prima o poi fare?
Una volta avrei voluto fare La signore delle camelie, poi l’ho fatto, devo dire che nel mio percorso sono riuscita a togliermi delle soddisfazioni interpretando dei personaggi che sognavo di fare. La soddisfazione che vorrei togliermi adesso è di fare Anna Karenina, un altro di quei personaggi meravigliosi e forti.
Dopo Fedra torni a teatro con Pirandello.
Si’. “Uno nessuno e centomila” con Pippo Pattavina, che abbiamo fatto lo scorso anno in Sicilia, che è stato anche ripreso per la televisione. Pirandello lo amo molto, e portarlo in scena è una sfida ogni volta. Lo riprendiamo a fine mese e gireremo fino a marzo 2022 almeno.
Francesco Bettin