Nato a Modugno (Bari), Alessio Rezza si diploma nel 2008 alla Scuola dell’Accademia della Scala. Dopo un periodo con la compagnia del Maggio Fiorentino, nel 2009 è invitato da Luciano Cannito per “Adriana Lecouvreur” al Massimo di Palermo e per “Romeo e Giulietta” (Mercuzio). Nel 2009/10 è nel Corpo di Ballo dell’Opéra di Parigi, nel 2010 entra in quello dell’Opera di Roma. Sotto la direzione di Eleonora Abbagnato è promosso solista (2015), dopo “Lo schiaccianoci” di Peparini nominato primo ballerino (2018), dopo “Il Corsaro” étoile (2022). È solista in “La Bayadère” (Avnikjan), “La bella addormentata” (Chalmer; Jean-Guillaume Bart), “Romeo e Giulietta” (Patrice Bart), “Chaconne” (Limòn), “Pink Floyd Ballet” (Petit), “The Vertiginous Thrill of Exactitude” (Forsythe), “Le Parc” (Preljocaj), “Il lago dei cigni” (Samsova; Patrice Bart; Wheeldon), “The Concert” (Robbins); danza i primi ruoli in “Don Chisciotte” (Messerer; Hilaire), “Coppélia” (Petit; VuAn), “Giselle” (Ruanne), “L’Arlésienne” e “Il pipistrello” (Petit), “Lo schiaccianoci” (Muchamedow; Amodio), “La Sylphide” (Gielgud; Chalmer), “Gaîté Parisienne” (Béjart), “Suite en blanc” (Lifar), “Petite Mort” (Kylián), “Walking Mad” (Inger), “Hearts and Arrows” (Millepied), “Glass Pieces” (Robbins), “Herman Schmerman” (Forsythe); è Benno ne “Il lago dei cigni” (Pech), Lucas in “Carmen” (Bubeníček), l’Inverno ne “Le quattro stagioni” (Peparini), Frollo in “Notre-Dame de Paris” (Petit). Micha Van Hoecke crea per lui il ruolo di San Francesco in “Nobilissima Visione” (Ravenna 2012, direttore Riccardo Muti). Nel 2016 è il principe ne “Lo schiaccianoci” di Amodio in tournée con Daniele Cipriani Entertainment. Ospite in gala internazionali, riceve i premi “Danza&Danza”, “Roma in Danza” e “Anita Bucchi” (2011), “Positano” (2012), “Roma è Arte” (2013), “Europa in Danza” (2016), “Premio Schiaccianoci d’Oro” (2016 e 2017), “Premio Sfera d’Oro per la danza” (2021).
Alessio, innanzitutto felicitazioni per la nomina ad étoile, un emozionante traguardo e un nuovo punto di partenza. Quali sono state le prime sensazioni?
Grazie Michele. Le primissime sensazioni sono state di gioia pura e grande riconoscenza per tutti i colleghi e amici che mi circondavano. Mi sono sentito tanto amato.
L’incarico è arrivato al termine de “Le Corsaire”, un balletto che ricorderai per sempre perché legato ad un momento così particolare. Cosa ti piace di questo titolo, della coreografia e del ruolo interpretato?
È un balletto che porterò sempre nel cuore. Conrad è un ruolo virtuoso tecnicamente e con un forte impatto interpretativo. È divertente da danzare e allo stesso tempo dolce e intenso nei “pas de deux”. Un ruolo completo che mi ha procurato tanta adrenalina.
Da giovane allievo ad étoile, quali sono state le maggiori difficoltà che hai incrociato lungo questo cammino, fino ad oggi?
La danza classica è un’arte che richiede una predisposizione con determinati canoni fisici che ho dovuto migliorare tanto, pur di raggiungere anche solo il minimo richiesto, oltre poi a dover lavorare sul piano tecnico e successivamente su quello artistico.
Tra tutti coloro che hai avuto al fianco chi ha segnato maggiormente il tuo percorso artistico?
Sarebbero davvero troppi i Maestri da elencare e devo tutto a loro. Mi hanno accompagnato nel percorso artistico e ancora mi aiutano a migliorare sempre. Anche se alcuni di loro non li vedo né sento spesso, sono dentro di me.
Quando hai capito che investire sulla danza sarebbe stato fondamentale?
Quando ho realizzato, negli ultimi anni di formazione professionale, che lavorando sodo da lì a poco avrei avuto la fortuna di guadagnarmi da vivere facendo quello che amo.
Ti ricordi la prima volta che hai indossato le mezze punte?
Avevo sei anni ed è capitato in un negozio di danza a Bari con mia madre. Ero incuriosito e affascinato ma non potevo ovviamente immaginare che avrei indossato le mezze punte più delle scarpe da ginnastica nella mia vita.
Tra tutti i complimenti ricevuti per la nomina ad étoile qual è quello che ti ha colpito in particolare?
Ce n’è stato uno un particolare che mi ha colpito da parte di un amico non danzatore che mi ha detto: “non ci capisco nulla ma quando ti vedo danzare mi dico che avrei voluto farlo anche io...”.
Un pensiero per la direttrice del Corpo di Ballo, Eleonora Abbagnato e per il Sovrintendente Francesco Giambrone?
Devo tanto ad Eleonora per l’immensa fiducia che ha riposto in me e per le tante possibilità concesse. Ha avuto un ruolo fondamentale nella mia carriera, per essere arrivato fin qui. Devo altrettanta riconoscenza anche al sovrintendente Giambrone per essere così vicino a me e al corpo di ballo pur essendo con noi da pochissimo.
Qual è il più grande sacrificio (o rinuncia) che hai fatto per inseguire il tuo sogno che ti ha incoronato oggi étoile?
Sicuramente vivere lontano dalla mia famiglia.
Che passioni coltivi, oltre alla danza nei momenti di libertà?
Ho iniziato a studiare chitarra elettrica e quando mi è possibile mi piace passeggiare in moto con gli amici.
Un consiglio ai tanti giovani che desiderano intraprendere la carriera professionale?
Alla base ci dev’essere la passione. È una vita piena di sacrifici, e duro lavoro, e senza la vera passione si fa davvero fatica. Poi aggiungerei pazienza e tenacia. È una autentica fortuna riuscire ad intraprendere una carriera professionale.
Quanto sono cambiati i tempi dai tuoi inizi ad oggi con l’avvento della tecnologia e dei Social?
Diciamo che adesso c’è una visione molto più globale della danza. Si può cercare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Quando ero piccolino avevo un dvd di Baryshnikov che guardavo continuamente, mentre ora tutto è a portata di click. Ai nostri giorni c’è davvero di tutto in rete, da chi fa dieci piroette a chi si porta le gambe dietro la testa... però sembra che si dia meno valore a quello che davvero è la danza, al piacere vero e proprio di danzare e di farlo col cuore.
Quest’anno ci ha lasciati, prematuramente, la Maestra della Scuola di Ballo della Scala Loreta Alexandrescu, che ricordi conservi di Lei nel tuo periodo trascorso in Accademia?
Sono stato in Accademia per tre anni e la ricordo come fosse ieri. Mi stimolava molto ed era un’ottima insegnante. Sono passato a Milano per dei saluti in Accademia tempo fa e ci siamo abbracciati tanto.
In una precedente intervista mi hai raccontato che la tua partecipazione più bella è stata quella nella coreografia di Maurice Béjart “Gaîté Parisienne”. Bim rimane sempre il tuo preferito?
Col passare degli anni ho preferito sempre di più ruoli di forte impatto interpretativo. Il mio preferito adesso è Fréderic de l’Arlésienne di Roland Petit.
Ricordo anche che ti sarebbe piaciuto lavorare con William Forsythe e danzare con Polina Semionova. Il tuo sogno si è realizzato?
In effetti è successo davvero! Ho danzato il ruolo di Rothbart nel “Lago dei cigni” con Polina e poi ho danzato in un paio di balletti di Forsythe. Eleonora ha davvero inserito nel repertorio del Teatro dell’Opera balletti di altissimo livello.
La danza è stata ed è la tua vita. L’emozione e la passione sono sempre le stesse o nel tempo mutano?
La passione è sempre tanta ma è diversa adesso. La mia ricerca della bellezza nella danza è cambiata, e sicuramente continuerà a farlo.
La coreutica è un arte ed è fondamentale dare un’impronta artistica personale in ciò che si danza. Come riesci a rendere tuo il lavoro del coreografo?
Cerco di essere me stesso e di interpretare nel modo più naturale e spontaneo possibile.
Recentemente ti ho ammirato in scena in un gala con alcune tra le creazioni più significative di Roland Petit. Cosa ti piace del suo stile?
C’è una cura nella qualità dei movimenti, delle mani, di ogni singola parte del corpo, che rende lo stile di Petit unico e riconoscibile. Una estrema precisione musicale a cui corrisponde ogni gesto, ogni passo.
Mentre per quello di Jerome Robbins?
Robbins è un genio del Novecento. La sua danza è un connubio tra teatro, musical, jazz, danza accademica e altro ancora. Il suo stile è piacevolissimo da danzare e mi ha arricchito.
Paradossalmente la danza, se fatta con grande serietà, insegna a ben tenere i piedi per terra. Ma mentre volteggi sul palcoscenico qual è la sensazione che provi, immagino sia come volare per sentirsi libero...
La principale sensazione che mi viene subito in mente è l’adrenalina che spesso associo ad una variazione o una parte danzata con molti salti. Non direi proprio volare ma godere di uno slancio o uno stacco da terra con tutta la forza possibile.
La danza, da tempo ormai non è più solo la “sorella minore” della musica, ma una espressione umana totalmente autonoma e con una propria dignità artistica. Cosa si potrebbe fare per renderla ancora più popolare nel rispetto della sua storia e della sua purezza?
Credo bisognerebbe promuovere di più la danza e avvicinarla maggiormente ai più giovani, il pubblico del futuro! Investire di più nel nostro settore che sta faticando a sopravvivere in Italia.
Alla fine la danza è una forma di preghiera, rispetta un proprio cerimoniale, si basa su imprescindibili rituali ed è un momento di aggregazione. Cosa ti viene da aggiungere alla sua funzione?
Direi che gli esercizi quotidiani alla sbarra sono un po’ come una preghiera mattutina così come la lezione è un momento di aggregazione e di studio dove ognuno è concentrato a migliorare sé stesso e lo condivide con gli altri.
Quanto è cambiata, in termini evolutivi e fisici, l’arte della danza dai tuoi inizi ad oggi?
È cambiata tanto. Negli anni ci si avvicina sempre di più alla perfezione dei canoni fisici della danza. Ogni decennio mostra una grande evoluzione.
Ognuno di noi possiede dei miti, quali sono stati i tuoi riferimenti o i tuoi modelli di ieri?
Uno su tutti direi Baryshnikov per la sua versatilità di stili e per l’immensa passione con cui danza.
La danza è anche dolore e fatica fisica oltre alla responsabilità di non deludere mai il pubblico e di reggere uno spettacolo sulle proprie spalle, come vivi l’attimo prima di un’entrata in scena?
Generalmente sono più teso nei giorni precedenti o al mattino stesso, mentre un attimo prima di entrare sono più concentrato. C’è bisogno di così tanta concentrazione che non voglio trovar posto per ansie e tensioni.
Cosa rende speciale il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma?
Il gioco di squadra che si manifesta in alcune produzioni di balletto, specialmente nelle creazioni. Mi viene in mente uno degli ultimi balletti, “Walking Mad” di Johan Inger. In alcune situazioni il corpo di ballo è davvero unico.
Cosa ti riserva il prossimo futuro, artisticamente parlando?
Continuo a danzare per l’Opera di Roma con un pizzico di responsabilità in più e ancora maggiore voglia di migliorarmi e far bene.
Un domani, seppure lontano, arriverà l’addio alle scene. Con quale ruolo ti piacerebbe chiudere la carriera, e come ti vedi poi? Maestro, coreografo, direttore di una scuola o di una compagnia? Qual è il desiderio?
Non saprei Michele. Non ci ho ancora pensato davvero!
Ora ti godi la tua massima nomina ad étoile, lampante conferma che non bisogna mai mollare e che il duro lavoro alla fine regala sempre gioie inattese?
Sicuramente il duro lavoro ripaga sempre, prima o poi...
Per concludere Alessio, un tuo pensiero sull’essenza della danza?
La danza è un’arte immortale. Ma ancor prima di essere un’arte è un istinto incontrollabile. Esiste praticamente da sempre, è nella nostra natura. È nel DNA dell’uomo e degli animali in un certo senso. È difficile descrivere a parole quello che la danza ci regala, profondamente! Tutti danziamo, che sia su un palcoscenico o su una pista da ballo o da soli in casa in qualche momento. L’uomo ha bisogno di danzare.
Michele Olivieri