giovedì, 14 novembre, 2024
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INTERVISTA a CLAUDIO COLLOVÀ - di Pierluigi Pietricola

Claudio Collovà Claudio Collovà

Claudio Collovà è una scoperta straordinaria, al punto che sembra un personaggio uscito dalla penna di Anna Maria Ortese o da quella di Carlo Collodi.
Direttore di Ierofanie, quest’anno alla sua prima edizione: un festival tra i più originali e metafisici del contesto culturale italiano, Claudio Collovà è un artista posseduto dalla Dea Bianca, regina della poesia e della creazione. 
Lo abbiamo raggiunto per parlare un po’ con lui su Ierofanie, ma anche sul teatro, l’arte e il mondo poetico che Collovà da sempre esprime.

Claudio, osservando quello che avverrà durante il Festival, che impressione ne trai?
Mi sembra, riguardando il programma, che si tratti di spettacoli che hanno una loro coerenza che li tiene legati pur nelle rispettive diversità. Sono tutti artisti che hanno il sacro all’interno della loro ricerca, del loro approccio con la creazione che li riguarda. C’è coerenza in ognuno di loro. E questo mi fa piacere, perché ierofania vuol dire creazione del sacro. Questo è un festival che ha riunito degli artisti attorno a un centro vitale: rappresentare questi spettacoli in luoghi sacri. 

Avevi già un’idea precisa di quello che avresti realizzato?
No, è stato un percorso anche per me. Lentamente le cose si sono focalizzate a partire da una o due iniziali intuizioni. Poi piano piano tutto si forma davanti ai tuoi occhi e prende vita. 

Per altro sarai in scena anche tu con uno spettacolo dedicato ad Eliot e il suo The waste land.
The waste land fu un mio spettacolo di qualche tempo fa. Ma questa volta, a differenza del precedente, reciterò la Terra desolata tutto a memoria. È un poema che è nel mio cuore da tanti anni.

Come definiresti il sacro, se si può definire?
Il sacro è una connessione non nominabile e che è altro da te, molto segreta, intima e nascosta. La sento, come dimensione, vicina a una possibilità di parlare al silenzio. C’è troppa informazione in questo tempo. Basta! Gli spettacoli che ho scelto vanno proprio nella direzione cui accennavo poc’anzi.

C’è un modo per riscoprire questa connessione nostra con il sacro?
Noi siamo distratti, ma nella primigenia creazione - il pianeta e tutto il resto - Rilke diceva che dobbiamo imparare a vedere. E questo vuol dire avere occhi abituati a percepire ciò che sta sotto il velo della realtà. Stupirsi e sorprendersi. Lo spettacolo adesso sta attraversando un periodo di grande decadenza, è troppo concentrato sull’intrattenimento. Mai sottovalutare il pubblico, che vuole cose anche più complesse e non banali o semplicistiche.

Cos’è che oggi non va secondo te?
I tempi non troppo distanti da questo avevano altro fondamento. C’era anche più lentezza. Oggi c’è troppo frastuono. Il teatro aveva anche un rispetto per le sue componenti. Prima c’era un linguaggio più complesso.

Cosa possono fare gli artisti per ricreare questo presente?
A noi artisti basta dire quello che pensiamo attraverso ciò che facciamo. Noi non possiamo opporci a un potere che uccide repertorio e distribuzione. C’è troppa incompetenza del cuore a livello delle varie direzioni artistiche. Occorre un certo stato d’animo, di pazienza e compostezza per fruire alcune opere d’arte.

Nel formulare il programma del festival, hai pensato anche a quanto pubblico potrebbe venire oppure no?
Mi auguro che il teatro sia pieno e colpisca il cuore degli spettatori, anche se so che è una mia idea. Teatro pieno vuol dire incasso e protezione dei posti di lavoro. A parte questo, io faccio quello che è giusto fare, con attenzione e delicatezza.

I tempi che viviamo sono quelli che possono preludere a un cambiamento?
Secondo me i tempi sono molto duri perché alla pandemia si è sostituita la guerra con le sue belle restrizioni. E questo può portare scoramento e chiusura. Stiamo vivendo un periodo difficile; e il teatro, la musica e la danza possono dare un bel conforto, ma non soluzioni a questo clima. 

Cos’è l’arte? E cosa può fare?
L’arte trasforma, è metamorfosi. L’arte può fare questo e di più cos’altro le si potrebbe chiedere?

E il teatro per te cos’è?
È un viaggio che si dovrebbe fare in due: attore e pubblico. Il dialogo fra di loro è fondamentale. 

Tu hai fatto l’università prima di fare teatro.
Sì: un po’ in Italia e un po’ in Canada, dove ho fatto studi sulla scrittura creativa con Saul Bellow e dove ho studiato moltissimo la poesia. 

E da quello che hai studiato sulla poesia, cosa hai appreso?
Ho imparato che poesia significa percepire la visionarietà di quello che c’è, la musica, il suono e tutti i movimenti vibratori che fornisce al corpo. 

Hai già idee per la seconda edizione del festival?
Mi auguro davvero che ci sia una seconda edizione. Poi i festival si legano ai tempi e alla decisione dei politici. Se ne discuterà in Autunno. 

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Lunedì, 18 Luglio 2022 10:39

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