venerdì, 08 novembre, 2024
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INTERVISTA A CECILIA GASDIA - di Federica Fanizza

Cecilia Gasdia. Foto ENNEVI Cecilia Gasdia. Foto ENNEVI

100 stagioni, per onorare un evento possono sembrare poche rispetto alla cronologia della storia dei teatri italiani più che secolare, ma tante se si considera che si tratta di una manifestazione che era stata ideata in stretta connessione all'uso estivo dello spazio Arena collegata a quello che era lo spettacolo più popolare di allora: l'opera lirica. Questa era l'idea di Giovanni Zenatello. Come ci si sente a livello di responsabilità nel gestire questo evento storico.
L'appuntamento era chiaro fin dal 2018 al momento della presa in carico della Sovrintendenza con la prospettiva di quatto anni di tempo per strutturare la stagione 100 che era programmata nel 2022. Poi per il salto della stagione 2020 causa Covid, l'evento è slittato nel 2023 in coincidenza con i 110 anni da quella data nel 1913 quando ebbe inizio l'avventura Arena. La stagione numero 100 è stata molto pensata come un traguardo nel voler rappresentare un possibile racconto della storia della Arena. Ma nel contempo visto come inizio di una nuova era, una riflessione su una nuova tipologia di allestimenti. Quest'anno sugli 8 titoli due sono nuove produzioni e impostate come uno sguardo verso il futuro nell'ambito degli allestimenti lirici. Aida con la rega di Stefano Poda, monumentale e visionaria, e il Rigoletto di Antonio Albanese, che riambienta le gesta del Buffone di corte in un universo padano collocato nell'immediato dopoguerra, offrono spunti di riflessione sui nuovi allestimenti scenici. Ma non si rinuncia alla tradizione, amata dal pubblico, con le scene e le costruzioni straordinarie di Franco Zeffirelli (Carmen, Traviata, Madama Butterfly), Hugo de Ana (Barbiere di Siviglia e Tosca), Gianfranco De Bosio (Nabucco). Il problema anche di riuscire a definire lo spazio Arena come uno spazio per eventi sinfonici e Recital e non solo per l'opera lirica. Ecco il senso degli eventi speciali, con ospiti internazionali, Jonas Kaufmann, Roberto Bolle, Juan Diego Flórez, Plácido Domingo. La presenza dell'Orchestra e del Coro del Teatro Alla Scala di Milano, con la direzione del Maestro Riccardo Chailly, è un richiamo alla storia dell'Arena, quando veniva proprio definita la Scala d'estate.

Si parla tanto di ripetitività dei titoli in Arena. Giusto sfogliando i programmi di questi 100 stagioni vediamo tanti titoli anche di repertorio che si diradano sempre di più, altri totalmente spariti. Si parla di Macbeth o Ballo in maschera, Don Carlo, opere di Donizetti, o di Bellini; un esempio: La Gioconda che vidi del 2005, le gradinate si presentavano con un pubblico a macchia di leopardo, ossia, presentavano settori completamente vuoti. Eppure, è un titolo molto legato alla storia dell'Arena. Colpa del pubblico estivo che non è capace di orientarsi al di fuori delle certezze di una consolidata tradizione su cui l’Arena ha costruito il suo successo come Festival estivo o la sicurezza di offrire un repertorio quasi fisso a rotazione puntando sulla spettacolarità e sulle partecipazioni vocali?
Mi piacerebbe vedere in Arena l'Andrea Chenier o un Elisir d'amore (si fa il Barbiere di Siviglia e a maggior ragione si potrebbe allestire questo titolo n.d.r.). Certamente si sono abbandonati dei titoli anche popolari a vantaggio di scelte di un repertorio che soddisfi il pubblico, molto variegato e composto anche da decine di migliaia di turisti, che frequenta l'Arena. Ma nello stesso tempo bisogna fare delle scelte che tengano presente la sostenibilità del bilancio.

Sono scelte economiche che fanno far vivere il sistema Arena?
Troppo recente è la memoria di una Arena a rischio fallimento e liquidazione. Certo il pubblico che viene in Arena chiede spettacolo e Aida, Nabucco, Turandot, Carmen, Traviata, come il Trovatore negli allestimenti di Zeffirelli costituiscono un patrimonio, oltre che culturale, anche economico. Il mio sogno è di poter recuperare almeno un titolo a stagione, oltre la tradizione consolidata. Un ricordo personale, ho iniziato a lavorare all’Arena di Verona come comparsa a 16 anni, nel Boris Godunov del 1976, mai più messo in scena dato. Mi piacerebbe riportare Wagner in Arena che manca dal 1963. 

Nella stagione estiva 2021 si è imposto per esigenze pratiche le nuove tecnologie, potrebbero essere una soluzione per ammortizzare i costi e anche per creare novità visive?
In quell'anno è stata una soluzione pratica quella dell'utilizzo degli schermi ledwall; non vorrei che però si vedesse in Arena uno spettacolo che fosse replicabile in qualsiasi altra piazza italiana. Certo che si possono utilizzare, per rendere più leggero il lavoro in palcoscenico, ma sicuramente in adeguata misura. Abbiamo anche un progetto di un nuovo palcoscenico, che possa semplificare l’attività in palcoscenico e anche i tempi degli intervalli.  Intanto, ci si sta muovendo nell'offrire nuove visioni, in questo senso sono l'Aida di Stefano Poda, come il Rigoletto di Antonio Albanese. Ma il pubblico ritroverà ancora Zeffirelli e De Ana, proprio per offrire uno squarcio di storia dei nostri leggendari allestimenti scenici.

Si può parlare di un sistema Arena che riguarda il complesso della programmazione complessiva della Fondazione? Come si inserisce la programmazione del Filarmonico?  Penso che sia uno dei rari esempi in Italia dello sdoppiamento tra festival estivo e stagione di Tradizione invernale. Come si integrano queste due visioni di programmazione?
Il Teatro Filarmonico, con la sua programmazione, è l’elemento fondamentale dell'attività della Fondazione Arena di Verona, unica tra le Fondazioni lirico-sinfoniche italiane ad avere la sua genesi storica dalla Stagione lirica all’Arena del 1913. 
Bisogna dar merito al Sovrintendente Carlo Alberto Cappelli, che nei primi anni '70 riuscì a completare il recupero del Teatro Filarmonico, dandogli organicità con una sua specifica programmazione, analoga a tutti gli Enti lirici italiani in Teatri al chiuso. La sua è stata anche una modalità di creare rapporti personali con gli artisti, nell' offrire opportunità ai giovani diplomati del Conservatorio di Verona sia nel coro che in orchestra. Questo vale anche come esperienza personale. Avere una struttura che funzioni tutto l'anno anche se con modalità differenti rispetto alla struttura maggiore è un elemento fondamentale anche per compattare tutte le Direzioni della Fondazione, una modalità per tenere sempre ad alto livello la professionalità interna. 

Domanda diretta a Lei. È difficile essere donna nell'ambiente manageriale dello spettacolo? Abbiamo ammirato la sua caparbietà nel gestire il 2020 e il 2021, situazioni al limite. Spesso si ha l'impressione dall'esterno che i sovrintendenti galleggino su un mare perennemente agitato. Per essere autorevoli occorre essere attenti: al bilancio o alla competenza artistica?
Non mi pare che esista un problema di riconoscibilità della componente femminile nell'ambito del management della lirica. Anzi, ci sono illustri colleghe nell'ambito della gestione teatrale che si stanno affermando per la professionalità con cui gestiscono i loro teatri con una loro specificità nella tradizione. Certo occorre anche competenza artistica e poter fare pieno affidamento nei collaboratori. Si cominciano a vedere giovani amministratori laureati e specializzati in gestione teatrale, che stanno acquisendo competenze in quest'ambito. Occorre attenzione e disciplina nel condurre un teatro complesso, attenzione al bilancio, alla qualità artistica, alla sicurezza in tutti i suoi aspetti e a tutte le problematiche giuslavoristiche, amministrative e tutta l’evoluzione del marketing e della comunicazione.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Lunedì, 29 Maggio 2023 12:59

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