domenica, 28 aprile, 2024
Sei qui: Home / Attualità / DAL MONDO / Interviste / INTERVISTA A LODO GUENZI - di Francesco Bettin

INTERVISTA A LODO GUENZI - di Francesco Bettin

Lodo Guenzi. Foto Danilo D'Auria Lodo Guenzi. Foto Danilo D'Auria

Sta girando l’Italia con una piacevolissima commedia di Agatha Christie, Trappola per topi, con la regia di Giorgio Gallione e un cast davvero interessante, molto affiatato. Il suo nome è legato naturalmente anche alla musica, e al cinema. Lodo Guenzi è bolognese, e in questa produzione de La Pirandelliana che lo vede protagonista nei panni del Sergente Trotter si sbizzarrisce come non mai, divertendosi e divertendo il pubblico. Ma come si sa Guenzi è anche il frontman e uno dei fondatori della band Lo Stato Sociale, quelli, per intenderci di Una vita in vacanza, presentata al festival di Sanremo nel 2018, (secondo posto e Premio Lucio Dalla). Guenzi ama affrontare sfide nuove, ecco perché attraversa come protagonista diverse forme d’arte. Nel cinema, ad esempio, è stato scelto tra gli altri anche da Pupi Avati per La quattordicesima domenica del tempo ordinario, dove ha recitato con Gabriele Lavia ed Edvige Fenech. Lo incontriamo durante una pausa del lavoro teatrale della Christie. 

Ben trovato, Lodo. Tu sei cantante, musicista, e attore…. Qual è il metodo migliore oggi per fare bene questo mestiere artistico, in tutte le discipline? 
Certamente la musica, ma forse anche il teatro, si può fare bene dal punto di vista artistico senza soldi, cioè fuori dai principi di mercato, che toglie libertà, ed è saturo, e quindi le uniche cose interessanti cominceranno a vedersi tra quelle al di fuori di esso. Esattamente come quando abbiamo cominciato con Lo Stato Sociale, noi eravamo interessanti proprio per questo. Il cinema purtroppo, invece, ha un discorso diverso, ha proprio bisogno di denaro e di quella libertà che oggi manca, come ad esempio quella di girare qualche settimana in più, non sempre tutto in fretta, e di essere meno cotto e mangiato, ecco. 

Hai frequentato l’Accademia Nico Pepe a Udine, andando via presto da Bologna, la tua città. Il teatro era dunque già una passione fortissima che sentivi?
Di certo mi piaceva tenere banco, come si dice. Non ero capace mai di stare fermo, non mi piaceva stare mai seduto, nemmeno a scuola, e trovavo sempre un modo per stare in piedi, fare cose. In quegli anni poi la Nico Pepe era una scuola di buonissimo livello, e forse scelsi Udine anche per poter andar un po’ via da casa, come fosse una specie di avventura. Una scuola di quel tipo, inoltre, è così totalizzante che comunque consiglierei di viversela fuori da dove si abita, anche perché non si ha tempo per coltivare altre relazioni, è un mondo parallelo da vivere appieno. 

Come abbiamo detto sei un artista multidisciplinare, eclettico. Ma c’è qualcosa ancora dell’arte che potrà stupirti, e stupirci, con te protagonista?
Credo di poter dire che tendenzialmente in molte delle cose che faccio sono un dilettante. Dopo tanta musica scritta e cantata, e portata in giro, sicuramente in questi ultimi anni tornare a fare teatro è stato interessante, la musica si è molto appiattita, instupidita, il dibattito pubblico attorno a quel linguaggio di massa è meno stimolante. L’idea invece, di poter fare attrarre delle persone a teatro e tenerle un’ora e mezzo o due dentro una sala, costrette a finire il giro del proprio ragionamento con la loro testa è secondo me un buon trucco per non cadere nella stupidità. In questo momento invece, scrivendo una canzone, è facile far fare confusione, comporre dei  versi che magari non verranno ascoltati, o addirittura che possano scandalizzare e trovare qualcuno che si tragga da solo delle strane considerazioni. 

Quindi il teatro, in questo senso, ti dà tanto, e tante soddisfazioni mi par di capire…
Sai, comunque le persone che partono da casa e vengono a vederti, e pagano un biglietto per entrare, tendono a finire di vedere lo spettacolo, e questa cosa è una buona chiave di lettura, no? Ad esempio questo Trappola per topi che facciamo è uno spettacolo leggero ma dove si parla di un assassino. Se fai una canzone sullo stesso tema in questo momento è possibile che in qualche modo ti condannino, pensino magari che è la tua intenzione metterlo in luce e che stai facendo una strana apologia dell’omicidio. Facendo teatro nessuno viene a dirti che Medea è un’apologia dell’infanticidio, mentre nel linguaggio di massa è così, c’è questo rischio. E anche nel cinema: puoi fare un film sui camorristi, giustamente, ma non sugli squartatori, perché c’è il rischio che qualcuno venga a dirti che tu esalti quella cosa, anche se lo fai proprio perché non ti va bene. 

Ci parli del tuo personaggio, del Sergente Trotter, che interpreti in Trappola per topi, della Christie?
Questo poliziotto che interpreto è come un bambino che si porta dietro dei traumi, ma anche gli altri personaggi della commedia, del resto. Portando avanti l’indagine il sergente deve fare un lavoro di marce, se la mettiamo come se fosse una lezione di guida, particolarmente sottile. Di tutti è il meno esasperato e forse per questo è il più problematico. Ed è un personaggio che bisogna far arrivare al pubblico pian piano, bisogna saper usare, appunto, le marce basse, cosa che io ancora non avevo fatto e che pratico con un certo piacere. 

Invece, parlando di musica, Stupido sexy futuro è l’ultimo album de Lo Stato Sociale: credi di essere, assieme ai tuoi colleghi un po’ un simbolo, un esempio per le band di giovanissimi?
Direi proprio di no, il nostro è un genere molto difficile da replicare, siamo quelli con meno tentativi di imitazione sicuramente. Quello che facciamo è molto collettivo, variegato e senz’altro molto anarchico e questo invita poco… Purtroppo o per fortuna, chissà. Con Stupido sexy futuro è venuto il momento di ritrovarci, di fare un disco come dodici anni fa, un po’ come Turisti della democrazia, con lo stesso spirito, lo stesso tipo di libertà e anche di disagio. Credo che questa cosa sia stata recepita esattamente da quelli che ci riconoscono per quel tipo di musica e di rabbia, anche dai ventenni di oggi. Il nostro ultimo album ha parlato alle tv, e non ha intenzione di farlo. Gran parte della promozione generalista l’abbiamo rifiutata. 

Coerenza, la vostra.
E’ stata una questione di recupero nostro, come gruppo, ed è bello anche esser riusciti a fare il nostro ultimo disco con Matteo (Romagnoli, autore e manager della Garrincha Dischi, mancato quest’anno a 43 anni). Sono contento che sia andata così, che siamo riusciti a pubblicare un disco ancora con lui. Io di solito sono un procrastinatore, penso sempre che il lavoro non è mai finito, che magari escono altre nuove idee, invece è stato meglio così, registrarlo, fare in tempo a farlo. 

Hai un ricordo personale di Romagnoli?
Ne ho tantissimi. Mi ricordo, in auto, che mi accompagnava e io ero tutto insicuro per una cosa stupida, futile. Dopo un po’ che sbroccavo mi ha urlato in faccia e mi ha detto di smetterla, e di guardare cosa’aveva lui sulla schiena, ed era una grande massa. Mi disse: Tutti i giorni io non so se il giorno dopo mi sveglio, quindi adesso andiamo a fare quello che dobbiamo fare e non rompi più. Mi riportava alla realtà, quella vera. Un insegnamento. 

Lodo Guenzi e il Festival di Sanremo. Avete in mente qualcosa col gruppo?
Al Festival di Sanremo sono grato, mi ha cambiato la vita, proiettandomi in un immaginario collettivo dentro il quale in qualche maniera ho imparato a nuotare, dandomi la possibilità di fare tante altre cose, tante scelte e di avere un pubblico a prescindere, diciamo, dalla band. Ma tornarci di nuovo, no. Rimanere dentro un sistema generalista è una cosa che tende a ridurti un po’ a una cosa sola, se ci rimani tanto tempo. L’idea mia invece è provare a scappare, e a lavorare su qualcosa che possa rimanere che non sia una gara di esposizione. Cito a proposito Giorgio Gaber. Quando mollò la televisione per andare nei teatri disse Alcuni vogliono prendere l’assegno, altri vogliono lasciare il segno

Manca qualcosa al teatro, oggi? Pensi che si può chiedere qualcosa in più di quello che vediamo?
Chiederei che, in caso di nuove pandemie o cose simili, di pagare i tecnici, della musica, che sappiamo cosa sono e cosa fanno, per loro mi piacerebbe vedere un riconoscimento quando lo spettacolo si ferma. Per loro, ma anche per le sale concerto, i live club. Sarebbe un riconoscimento, un rispetto del lavoro altrui. I tecnici del teatro hanno dei contratti, loro no. Per gli artisti è difficile: chi può stabilire chi è un artista? Pensiamo che i più grandi innovatori della pittura del Novecento erano quelli a cui tiravano i  pomodori…

Francesco Bettin

Ultima modifica il Martedì, 26 Dicembre 2023 19:46

Iscriviti a Sipario Theatre Club

Il primo e unico Theatre Club italiano che ti dà diritto a ricevere importanti sconti, riservati in esclusiva ai suoi iscritti. L'iscrizione a Sipario Theatre Club è gratuita!

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.