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(LONDRA). "Shipwreck", regia Rupert Goold - Teatro politico: un dibattito americano su Donald J. Trump e la questione della razza. -di Beatrice Tavecchio

“Shipwreck” all’Almeida. Khalid Abdalla (James Comey) e Elliot Cowan (Donald J Trump). Foto Marc Brenner “Shipwreck” all’Almeida. Khalid Abdalla (James Comey) e Elliot Cowan (Donald J Trump). Foto Marc Brenner

Teatro politico: un dibattito americano su Donald J. Trump e la questione della razza.

Shipwreck (Naufragio) di Anne Washburn. Regia di Rupert Goold. Scenografia di Miriam Buether. Con Khalid Abdalla ( Yusuf/ James Comey), Fisayo Akinade ( Mark/ George W. Bush) e Elliot Cowan (Jim/Donald Trump).
All'Almeida Theatre di Londra dal 11 febbraio al 30 marzo 2019.

di Beatrice Tavecchio

Prima mondiale di Shipwreck a Londra e prima mondiale di una drammaturgia sull'attuale Presidente USA, Donald J. Trump. Senza circonvoluzioni di parole, ma nominandolo per nome e cognome. Senza allusioni, ma direttamente. Ironicamente e sarcasticamente.

Anne Washburn è una drammaturga americana, nota per Mr Burns, rappresentato nel 2014 all'Almeida theatre per la regia di Robert Icke e The Twilight Zone sempre all'Almeida per la regia di Richard Jones nel 2017.
Mr Burns acclamato dalla critica, è una ironica parodia che dipinge l'emergere di una apocalittica cultura tra i sopravvissuti di un disastro nucleare costruita sul dire e ridire battute dell'episodio Feare de The Simpsons. The Twilight Zone è la scrittura scenica di alcuni episodi di un programma televisivo americano controverso, che invece divise di più la critica e che per Anne Washburn "ti situa [lo spettatore] in una spaventosa alienazione [...] che è parte della struttura psicologica di ciò che è essere americani".
Alla vittoria elettorale di Trump la Washburn dice di aver risposto con la decisione di studiare il greco, per rendere omaggio alla culla della democrazia. Negata alle lingue, ha prodotto però adattamenti dell'Oresteia di Eschilo e di Efigenia in Aulide di Euripide.

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La missione che la drammaturga si è data con Shipwreck, è la risposta alla domanda se fosse possibile scrivere su un argomento contemporaneo ancora in corso. Il dibattito dei suoi personaggi contro la massima che 'l'Arte non è utile' considera se i Drammi Storici shakespeariani si riferissero ad eventi e percezioni in corso pur parlando del passato; nota il ruolo limitante della censura, il ricorso all'allusione per circuirla, riferisce ai lavori di Euripide come esempio di libertà di dibattito del presente nella società democratica ateniese. In un'intervista la drammaturga aveva asserito che il teatro politico sul presente è per sua natura irrimediabilmente legato ad esso e quindi mortale. "Prego Dio che il mio lavoro su Trump non sia rilevante tra tre anni" dice, con una stoccata all'amministrazione Trump. Che ricorda quanto Dario Fo all'inizio degli anni Settanta aveva detto del suo teatro politico: "un teatro da buttare" nel senso di breve durata.
Lo schema di riferimento culturale di Anne Washburn sono i film e gli attori americani,- uno dei personaggi arriva persino a chiedersi se il senso di moralità degli americani sia un prodotto di Hollywood- i personaggi ed i programmi televisivi, in generale la 'cultura' pop americana, ed inoltre il contesto di vita, le salsicce da mangiare con la senape e non colla salsa ketchup e bere il caffè e non il tè " abbiamo fatto una rivoluzione per il tè".

Shipwreck presenta un dibattito a volte ironico, a volte parodico, a volte strettamente razionale, ma sempre americano. Essenzialmente, anche se con vari rigiri, tocca due questioni. La prima su come si sia arrivati alla vittoria elettorale di Trump, con un crescendo drammatico nell'incontro-scontro di Trump coll'ex presidente repubblicano George W. Bush, e susseguentemente con James Comey, ex capo del FBI. Inframezzato a questo primo, il secondo tema del dibattito verte sulla questione della razza: la sua storia, il suo significato, se ancora esiste, se è diventata altro: "qualcosa perpetrato nei secoli...solo una logica estensione del sistema di classe. [...] un' iper satura categoria di classe [...] ma è anche razza". Una questione "che non si può impacchettare e mettere via, ma che persiste nell'aria".
I due temi, Trump e razza, si interrompono e a volte si dilungano oltre alla capacità di attenzione degli spettatori, ma, come dice Yusuf il protagonista del tema razziale a proposito della sua storia: "Mi ci sono trovato per caso [nella storia di Trump]. A volte mi sembra che mi dia una distanza che mi aiuta a capire meglio."
E torniamo a Trump.
Sono le due scene a cui riferivo sopra ad essere drammaticamente e visivamente le più irriverenti. George W. Bush va da Trump per chiedergli di appoggiarlo - "not to beat about the bush" (senza preamboli) parafrasando ironicamente il cognome del presidente Bush- nella sua guerra in Iraq, cosa che Trump rifiuta: "sono solo un muratore" ed alla fine muovendosi come su un ring Trump e Bush si arrotolano le maniche della camicia pronti a fare a pugni per la presidenza.
L'incontro Trump-Comey è ancora più surreale. Trump è ora un imperatore romano -Caligola o il Giulio Cesare delle Tragedie shakespeariane?- in slip rosso, con mantello di velluto rosso con strascico, portato con noncuranza sul corpo tralucente di pittura dorata, con parrucca gialla e mezza maschera facciale con un occhio di vetro alla Joe Orton e alla Dario Fo. Trump commenta: "Come mi ha detto George Clooney faccio diventare vere le fantasie". E parlando degli elettori: "Li ho resi visibili. Ho usato l'oro per farlo. Non per darmi arie, ma per celebrare (...) tutti sono importanti quando sono vestiti di seta ...in un edificio color oro". "Non lasciare che ti dicano che non sei del colore giusto... e per colore intendo 'oro' " incamerando nel suo sfogo sconnesso e per questo altamente sarcastico anche il discorso di Obama sulla "speranza di un futuro migliore".
La scena con gli attori tramutati in uccelli ibis che con grandi maschere incombono su Comey, il palco a disco che ruota mentre Trump a grandi passi lo percorre, il tremolio delle candele nei candelabri che illuminano una scena gotico- Kitsch, la musica iper reale, sono un tripudio esilarante di espressione grottesca. Si arriva a vestire Trump di un diadema di piume tipo capo pellerossa e a chiamarlo anticristo o angelo, prima di arrivare alla versione finale della ragione della sua vittoria elettorale, data dall'agricoltore che si dice stanco e dei discorsi politici e della mancanza di dibattito sui problemi reali dell'immigrazione e della sua sostenibilità finanziaria, sulle questioni di genere e di razza. Ha votato per Trump, dice, per aver toccato questi argomenti se non bene, con efficacia. Come cristiano si domanda "se Gesù Cristo sarebbe stato un buon presidente degli Stati Uniti. Io penso di no" battuta che riassume l'iper realtà di questo dramma.
La regia di Rupert Goold dà ritmo e chiarezza, luce ed ombre a questo lavoro spezzettato di non facile rappresentazione. Gli attori lo sostengono con la loro bravura, specie Khalid Abdalla, Fisayo Akinade e Elliot Cowan. La scenografia usa un diorama di sfondo per contestualizzare la scena e due palchi divisi, uno rettilineo sul fondo e uno centrale tondo ruotante. Apparati scenici molto più elaborati di quanto solitamente in scena all'Almeida. Mentre l'uso di luce naturale o di candele, di fuoco e di vapore rimane caratteristica di questo teatro.

Ultima modifica il Sabato, 09 Marzo 2019 09:51

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