Consideriamo i fatti. Il teatro al momento sta sopravvivendo grazie al digitale. In vari modi, più o meno innovativi. Si possono vedere sulle diverse piattaforme digitali spettacoli filmati in precedenza; oppure rappresentazioni dal vivo, senza o con spettatori collegati in Zoom, paganti o no; oppure brevi opere create da singoli artisti all’interno delle loro abitazioni, filmate o trasmesse dal vivo in Zoom; oppure ancora, composizioni create da singoli artisti nel loro privato e poi composte nella realizzazione di un singolo lavoro sia di teatro, oppure di musica o di danza trasmesso come filmato o dal vivo in Zoom, a pagamento o gratis.
Non solo si registra un accrescimento del mezzo audio-visivo digitale, ma anche di quello solo audio con registrazioni foniche di poesie, racconti, romanzi, commedie, musiche, concerti, suoni della natura, eccetera.
Si assiste quindi ad un utilizzo dei mezzi tecnici di cui si dispone per la creazione di un prodotto la cui fruizione sarà ad personam o al massimo ad familiam. Che fa uso delle tecniche già apprese nella produzione cinematografica e televisiva e nella creazione di video giochi. Che attiva tutte le risorse disponibili per entrare nelle singole case e cioè in particolare utilizza tutti gli schermi disponibili al privato: dal televisore, al computer, al tablet e al cellulare.
Ma, come si è detto nella Prima parte dell’articolo, per il teatro e in generale per l’industria dello spettacolo dal vivo, il problema consiste non solo nel creare nuove opere in digitale, ma anche nel trovare un modo di sovvenzionare i creativi e gli artisti che le producono.
Un sondaggio dei ricercatori Pascale Aebischer e Rachael Nicholas dell’Università di Exeter, pubblicato lo scorso ottobre, ha analizzato 177 risposte e 22 interviste di spettatori che in Zoom hanno partecipato allo streaming dal vivo de The Tempest del Creation Theatre di Oxford e Big Telly. Lo studio, anche se su piccola scala, ha messo in luce che il 95% degli intervistati pagherebbe per vedere uno spettacolo dal vivo in Zoom durante la chiusura dei teatri; il 72% pagherebbe comunque sempre per vederlo in Zoom ed il 5% lo vedrebbe in Zoom solo se fosse gratuito.
Per quanto riguarda il contenuto, il 54% dei partecipanti preferirebbe vedere adattamenti di famose opere o romanzi. Una buona parte si è detta interessata a vedere lavori nuovi, con il 38% propenso a pagare per uno spettacolo nuovo in Zoom. Il 68% degli intervistati asserisce che è importante vedere gli attori dal vivo.
Sembra quindi che col perdurare del lockdown in Gran Bretagna, ora previsto fino all’inizio dell’aprile 2021, gli spettatori intervistati indichino che vedere gli spettacoli in digitale è una realtà che si deve abbracciare perché non c’è altra scelta. Allo stesso tempo il sondaggio rileva un’apertura verso le possibilità del digitale ed un interesse per nuovi lavori. Aebischer asserisce che: “Sono disposti a pagare per il teatro in Zoom perché più facilmente possono partecipare a nuove o insolite forme di esperienze artistiche. Il teatro in rete li incoraggia a rischiare sia nella scelta del contenuto che in una diversa forma artistica” e continua dicendo che c’è un mercato per il teatro dal vivo in digitale che ha un potenziale di crescita per l’accresciuta diffusione geografica di questi spettacoli. “Lo studio dimostra che un teatro di alta qualità prodotto per il digitale può essere un modo per raggiungere il successo commerciale e dare lavoro ai professionisti del teatro.” Inoltre Aebischer nota che le persone sono meno inclini a pagare per spettacoli pre-registrati che per quelli dal vivo in Zoom e preferiscono adattamenti di alta qualità fatti per il digitale di drammi che includano elementi sociali o comunitari. “Apprezzano di vedere qualcosa dal vivo e particolarmente di partecipare e di vedere altri spettatori (su Zoom)”.
L’accento sulla partecipazione e sulla visibilità dello spettatore nello Zoom è di particolare importanza e rappresenta un’innovazione rispetto al pubblico tenuto oscurato e anonimo nella platee.
Quindi, a causa delle particolari circostanze dovute all’epidemia, il teatro si trova nella situazione in cui deve porsi fondamentali domande sul suo scopo e ad ampliare la nozione di quello che una compagnia teatrale o un teatro fa, costruendo su quanto si è appreso e poi implementando i necessari cambiamenti. Si è ora coscienti delle carenze nella diffusione degli spettacoli teatrali, confronto a quelli cinematografici e televisivi ed a quelli trasmessi dalle piattaforme digitali. Ora l’uso di questi canali per la diffusione del teatro ha messo in luce una fame di teatro da parte della nazione, finora forse conosciuta, ma non provata. Le piattaforme digitali hanno dato alle compagnie piccoli e grandi che le hanno usate una diffusione nazionale, additando una risoluzione al problema della centralizzazione a Londra del teatro, favorendo quindi un’equiparazione di compagnie e teatri, e ponendo domande sulla redditività delle tournée in era digitale. Per quanto riguarda gli spettatori, il digitale con la visione a prezzi ridotti degli spettacoli, ha incrementato l’accessibilità per il pubblico ed ne ha ampliato le fasce d’età, portando più giovani a teatro.
Problemi di diffusione, di accessibilità, di equiparazione sono in parte conosciuti e di cui tanto si è discusso per risolverli e sono forse risolvibili. Ma il digitale ha fatto emergere una questione fondamentale: il teatro dal vivo ha ragione di esistere? e che cosa si intende per teatro “dal vivo”?
La prerogativa peculiare del teatro dal vivo è la sua fisica vicinanza, la sua prossimità, al pubblico. Questa comporta un’immediata audio-visione tridimensionale e degli attori e del palcoscenico, che promuove uno scambio e un riconoscimento di sensazioni e di sentimenti oltre che di attività intellettiva tra attori e spettatori. Come tale il teatro dal vivo è insostituibile.
Jerzy Grotowski definì teatro “ quello che succede tra spettatore e attore”.
Ma cosa succede tra spettatori ed attori nel teatro digitale?