The Grapes of Wrath (Furore) di John Steinbeck
Una straordinaria, mitica epopea, che è un grido di rabbia contro l’ingiustizia, ma anche un inno per la solidarietà e la perseveranza dell’uomo.
Un classico americano celebrato a teatro
Regia di Connie Cracknell, scene di Alex Eales, luci di Guy Hoare
Con Cherry Jones (Ma Joad), Greg Hicks (Pa Joad), Harry Treadaway (Tom Joad),
Tucker St Ivany (Al Joad), Michael Shaeffer (Uncle John), Christopher Godwin (Grampa Joad),
Natey Jones (Jim Casy), Mirren Mack (Rose of Sharon), Anish Roy (Connie Rivers).
Londra, Lyttelton Theatre al National Theatre, 17 luglio - 24 settembre 2024
The Grapes of Wrath, Furore nella versione italiana non traduce il titolo che letteralmente significa “I grappoli dell’ira”. Perché è l’ira, la rabbia, il risentimento verso un’ingiustizia che John Steinbeck (Pian della Tortilla,1935; Uomini e topi, 1937) voleva suscitare nel suo libro pubblicato nel 1939, a due anni dai suoi incandescenti articoli per il liberale San Francisco News sulla situazione dei migranti in California. Frutto delle sue visite alle baraccopoli che sorgevano dovunque ai margini delle città, della sua esperienza sulle condizioni e ragioni dell’immigrazione verso la California dal centro sud dell’America, The Grapes of Wrath narra di un’ipotetica famiglia Joad che lascia le devastate piane dell’Oklahoma, ma si fonda su un substrato verista, documentario, storico dettagliato racconto delle ragioni che hanno portato alla depressione della loro economia e alle fattuali difficoltà che gli immigrati trovano. È un’ epopea, ben documentata, calibrata nei giudizi, con personaggi individualizzati ed allo stesso tempo rappresentativi di condizioni, che rendono il racconto mitico.
Frank Galati lo adattò per una versione teatrale nel 1989 per la Steppenwolf Theatre Company di Chicago. Un lavoro difficile data la complessità e la lunghezza del testo, la sua divisione in scaglioni intermezzati da informazioni storiche, ma che risultò in un eclatante successo per la produzione che portata al Lyttelton Theatre di Londra per una manciata di rappresentazioni come parte dell’International Festival di Thelma Holt nel 1989 fu premiato con una Tony Award per la migliore drammaturgia nel 1990, che aprì la strada di Broadway.
La compagnia vi aveva lavorato a lungo raffinando e cercando un’unità di rappresentazione. L’attrice Lois Smith che impersonava Ma Joad, il personaggio esemplificativo della forza d’animo, fratellanza, dignità e perseveranza del romanzo, fu riconosciuta come la personificazione di quegli ideali.
Ora a più di trent’anni di distanza la stessa versione di Frank Galati è in scena sullo stesso palco del Lyttelton Theatre, con la regia di Carrie Cracknell.
The Grapes of Wrath, National Theatre, London. Foto Richard Hubert Smith
È un lavoro discontinuo, che veramente prende vita nel secondo atto, quando gli attori trovano una sintonia di rappresentazione che resiste loro nel primo atto. Il dramma apre su una superba trasversale immagine di un fascio di luce che illumina una scena lunga rettangolare popolata di figure che si individuano a mala pena nella foschia della polvere sollevata dal vento nelle terre surriscaldate e svuotate nella loro capacità di dar frutti dalla produzione intensiva in mano alla banche e a grandi proprietari terrieri, e dall’arrivo di mezzi meccanizzati. Questa bellissima semplice pulita immagine scenica è seguita dal realistico ritratto dei membri della famiglia Joad che si preparano a lasciare la terra per cercare lavoro nella terra promessa dalla pubblicità di sicuri guadagni in California. I personaggi principali: Tom, il figlio capace, ma focoso, appena uscito dal carcere per aver ammazzato per legittima difesa: insieme alla madre il vero capo famiglia che incarna la rabbia e l’aspirazione di Steinbeck per una giustizia sociale; Jim Casy, il predicatore, non più religioso, ma umano, più esperto delle cose del mondo degli altri e che all’interno del lavoro è portavoce delle istanze che porteranno alla creazione di un’ ‘unione’ dei lavoratori, ruolo che alla sua morte, Tom vorrà assumere; Ma Joad, Pa Joad, il nonno e la nonna; il fratello maggiore di Pa, Uncle John, che si sente peccatore e i due figli; Al, il sedicenne fratello di Tom tutto preso dalla caccia alle ragazze; Rose of Sharon, la sorella di Tom, incinta e innamorata del suo Connie “tutto parole e niente fatti” che la lascerà a metà strada; Noah il fratello maggiore di Tom, affetto da problemi mentali che abbandonerà la famiglia dopo la traversata del deserto per seguire le acque fresche del fiume. Dodici componenti della famiglia e molti altri personaggi che incontrano durante il percorso. Quindi una moltitudine di attori in scena che nonostante questo resta statica nel primo atto. Perché? Per due scelte cruciali. La prima di intervallare le scene con un quartetto di violino, fisarmonica e due chitarre che accompagnano il perfetto canto dal vivo di Maimuna Memon a commento delle scene. L’interruzione anche a metà delle scene non aiuta l’azione, anche se penso adottata come possibile legame lirico all’interno del pezzo. L’altra è stata quella di optare per una scenografia piatta, monolitica nella sua mancanza di colore, con un tono di luce offuscato e grigiastro per tutta la durata delle peregrinazioni dei Joad, cioè per tutto l’atto, illuminato soltanto da un cielo a volte rossastro e volte azzurrognolo. Scelta che si adegua ai colori della terra nella Dust Bowl, - la Scodella di Polvere del centro sud degli Stati Uniti devastata dalle tempeste di vento e dall’erosione causata dalla siccità e dall’agricoltura intensiva -, ma che non rispecchia i nuovi orizzonti delle terre e del deserto, delle vallate e del fiume che i Joad incontrano, e nemmeno convergono la desolazione di quelle terre e di quella gente che le foto di Dorothea Lange, che aveva accompagnato Steinbeck nel documentare i suoi articoli, ritraggono. Il furgone su cui viaggiano è girato, tirato, svuotato e riempito ad ogni fermata, ma rimane statico come, in quel percorso, i personaggi che trasporta. Una scelta registica che straordinariamente non fa uso delle grandi possibilità sceniche dell’ampio spazio del palco e nemmeno delle sue possibilità tecniche. Solo alla fine dell’atto, quando si apre nel proscenio il rettangolo d’acqua a significare il fiume in cui finalmente si lavano i Joad, l’azione rivive con spruzzi e salti nell’acqua. Peccato che la pozza risulti invisibile agli spettatori.
Mentre nel primo atto, le difficoltà e gli incontri della famiglia sono scarnificati e solo accennati: la morte del nonno, della nonna, la graduale disintegrazione della famiglia con tre membri che la lasciano, - le ristrettezze per lo scarso danaro, e quelle per mantenere il vecchio camioncino che sono nel libro originale non appaiono in questa versione -, nel secondo atto gli eventi anche se accorpati, risultano più chiari e le ragioni per la mancanza di lavoro, l’astuzia dei proprietari nel pubblicizzare gonfiando le possibilità di lavoro così da mantenere gli stipendi a livelli di fame data la sovrabbondanza di lavoratori che pur di sfamare la famiglia accetterebbero qualsiasi ricompensa, il risentimento dei locali verso gli immigranti, che accende l’odio che porta alla repressione violenta. Questi temi personificati dai personaggi e dalle loro vicende fanno emergere le implicazioni sia materiali che sociali dell’estrema povertà, della battaglia per mantenere una umana dignità, la compassione e l’aiuto tra i poveri. Steinbeck dà questo ruolo preminentemente a Ma Joad, fiera, positiva, battagliera a dispetto di tutto. Il suo trattamento teatrale è invece impostato sul sorriso quasi statico di Cherry Jones, mater familias gentile e solidale, ma non forte, compassionevole ed audace nelle sue scelte come nel romanzo. Questa scelta della regista Carrie Cracknell si spiega e risulta veritiera nel suo legame prima con il figlio Tom, ma soprattutto nella solidarietà e comprensione per la figlia Rose of Sharon, quando le dona i propri orecchini e nella scena finale - il capolavoro del libro ed anche di questo spettacolo - quando la ragazza che ha appena partorito un bimbo morto, con l’approvazione della madre, offre il suo seno gonfio di latte ad un immigrato che sta per morire di fame.
Tra gli attori emerge quindi Mirren Mack come Rose of Sharon, per la rappresentazione convincente del suo percorso di vita, vivace nel suo amore, poi impaurita per lo sposo che l’ha abbandonata, fino ad emergere forte e generosa nel significare il barlume di speranza che fuoriesce dall’estrema compassione e solidarietà.
Natey Jones come l’ex predicatore Jim Casy ha la presenza, la mobilità e la vocalità che fa vivere il personaggio sulla scena. Tom Bulpett come Noah Joad, il figlio disabile, offre nelle sue poche battute un ritratto vero del personaggio con la sua balbuzie e fermezza di decisione. Harry Treadaway come Tom Joad, il personaggio che Henry Fonda aveva impersonato brillantemente nel film dello stesso titolo in bianco e nero di John Ford del 1940, perde a tratti la potenza del personaggio pur nella sua buona resa. Buoni nel complesso tutti gli attori.
Beatrice Tavecchio