È passata già qualche settimana dall’uscita del nuovo singolo di Nino D’Angelo, “Voglio parlà sulo d’ammore”, e la successiva uscita di un album e un libro dal medesimo titolo: “Il poeta che non sa parlare”. Adesso, sì: è il momento! Si può finalmente discutere esclusivamente di questa nuova opera. Dopo che incessantemente, puntualmente e ridondantemente, è stata ricordata (come se fosse sempre necessario) la carriera di questo grande artista napoletano con il solito rimando a Miles Davis, Billy Preston, Olympia di Parigi, David di Donatello, “Tano da morire”, il San Carlo, ecc. ecc. ecc. Forse, adesso, è finalmente giunto il momento di parlare solo ed esclusivamente di questa nuova opera, già matura, già importante, di un artista assolutamente sdoganato da minimo trent’anni… perlomeno da chi non pende esclusivamente dall’indicizzazione di “hit” commerciali su YouTube o di mera memoria “TikTokcchiana” (senza “memoria” quindi).
“Il poeta che non sa parlare” rappresenta benissimo un percorso che fu già innovativo, ma che a vent’anni dal capolavoro “Terra nera” né da inizio certamente a un altro; talmente fresco e dinamico da poter coincidere perfettamente con il capitolo di chiusura, così come l’autore stesso paventa di essere (ma noi speriamo fervidamente che non lo sia).
Come ben sappiamo, già da qualche tempo, Nino D’Angelo ha iniziato una personale lotta contro lo stereotipo del “cantante neomelodico”, che lo hanno inevitabilmente condotto a evidenziare il peso sociale, culturale e politico di alcuni suoi brani che nulla hanno a che fare (in realtà) col “neomelodismo”. È sempre stato facile intenderlo, bastava ascoltare.
Il progetto “Il poeta che non sa parlare” parte all’inizio del 2020 con la riproposta di vecchi brani impreziositi da nuovi videoclip d’autore ("Si turnasse a nascere", "Suonno", "Maletiemo", "'O schiavo e 'o rre", "Famme vivere pe' tte", "Il Compleanno" e "Sarraje"), scritti e diretti appassionatamente da alcuni dei migliori registi del panorama cinematografico e teatrale italiano (da Danile Ciprì a Miriam Rizzo, da Tony D’Angelo a Luciano Cannito, ecc.). L’apice di questa “rivendicazione” si raggiunge con un album di inediti e un racconto di lotta e vera resistenza come il libro omonimo edito da Baldini + Castoldi.
Inutile stare a ripetere: l’innovazione, l’attenzione e l’avanguardia sociale fa parte del “modus operandi” di Nino D’Angelo. Talmente riflessivo e organico da diventare oggetto di studio pedagogico presso la cattedra dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; e talmente attuale nel linguaggio musicale da tirar fuori il meglio del maestro Nuccio Tortora, che anche questa volta, dall’alto della sua esperienza, sbaraglia ogni “pseudo avanguardia” giovanile forte della sua sensibilità, praticità e cultura musicale. Dimostrazione ne è l’attento arrangiamento riservato al brano “Chillo è comm''a te” assolutamente regalato al bravo Rocco Hunt (che duetta con D’Angelo), rappresentante di un magnifico movimento Rap napoletano che però non gode spesso di pregevoli composizioni musicali scritte a tavolino e registrate su più tracce, e con più strumenti in studio, come in questo caso.
Ed è partendo proprio da “Chillo è comm''a te” che si può iniziare a misurare il peso del messaggio “dangeliano” di quest’album; un brano dove l’autore ribalta abilmente il discorso “discriminazione”, parlando non di “integrazione” ma di “integrato”, e ponendo l’uditore “dubbioso” sul tema “etnicità” e “apparenza” nell’esatto lato opposto: “Chille è comme a ttè, comme a ttè ca nun te siente eguale”, in un conflitto psicologico che pone in seria difficoltà l’intuizione del razzista moderno. È proprio così infatti: è il razzista che non si sente uguale.
“Voglio parlà sulo d’ammore”, uscito come singolo premonitore dell’album, si può interpretare come il desiderio di una boccata d’aria nuova o un raggio di sole dopo l’oscuro e soffocante momento del Lockdown. D’Angelo dice chiaramente: “Simme tutte quante persone fragile, carne inutile”, riportando forse all’immagine di quei camion pieni di morti a Bergamo che probabilmente per qualcuno hanno rappresentato un messaggio “inutile”: “carne” ammassata “inutilmente” che non ci ha lasciato nessun insegnamento; restando, in fine: “tutte stanche 'e prumesse facile senza scrupoli”. Ora basta! Ora si riparte! Ora “voglio parlà sulo d’ammore”!
Ci sono poi Toni Servillo e James Senese, due giganti nei loro settori, presenti rispettivamente in “Pane e canzone” e “Vivere e' murì”: oltre che dare un tocco in più di prestigio all’opera, rappresentano un forte e chiaro segnale di condivisione. La loro è più di una semplice collaborazione: è un “qualcosa” che manifesta una palese volontà di esaltare e omaggiare con rispetto e stima l’opera di Nino D’Angelo; un’approvazione fisica dei suoi temi che sono ormai all’ordine del giorno di una produzione artistica assolutamente di alto livello. Fermo restando la validità dei due brani, se non bastano questi “featuring” a sdoganare definitivamente chi è già passato da anni dalla dogana, è difficile trovare altra occasione.
“Sultanto si perdesse a te” fa davvero volgere gli occhi al cielo, per contemplare l’eternità di un amore sano e vissuto. La musica e le parole (che D’Angelo dedica alla moglie), s’intrecciano in un sol corpo e non fanno altro che renderti partecipe di una vita, tra rancori, sofferenze, a tanto, tanto amore. Un viaggio chiaro, dettagliato, universale.
Ma il pezzo forte dell’album probabilmente è “Cattivo pensiero”, un capolavoro di musica e parole in un’armonia di contaminazioni che potrebbe tranquillamente competere con le migliori hit di Sanremo, e che potrebbe benissimo essere all’apice del palinsesto di ogni emittente radiofonica. Tanto di cappello, quindi, al duo D’Angelo/Tortora. Ora basterebbe solo che le radio di stampo nazionale decidessero una volta e per sempre di inserire questi brani come presenza stabile e necessaria.
“Ammore è da’” è un brano del 2012, tratto dall’album “Tra terra e stelle”, che Nino D'Angelo, in tempi non sospetti, prima che si scatenasse la polemica sui “neomelodici”, decide di rinfrescare e condividere con cantanti napoletani, alcuni dei quali (pensate un po’) dichiaratamente “neomelodici”. “Tutti figli miei”, come ha dichiarato lo stesso D’Angelo all’Università. Cantano infatti: Mavi Gagliardi, Livio Cori, Fabiana Martone, Rosario Miraggio, Emiliana Cantone, Andrea Sannino, Milly Ascolese e Gianluca Capozzi. Uniti in un sol brano, già da sé meraviglioso ed emozionante. Forse, l’unico aspetto discutibile di questa riproposta, è che la nuova generazione di cantanti napoletani si fa forte di una evidente dote canora… meno, però, di quella “interpretativa”, che appiattisce un po’ il pezzo lasciando un vuoto che per anni è stato colmato dai soli veri eredi della sceneggiata. Come lo stesso D’Angelo. Peccato!
In fine, una legittima presa di posizione: finalmente omaggia Maradona chi più di tutti ha diritto a farlo. “Campiò” è la dedica al celebre “pibe de oro” scomparso nel 2020 che Nino D’Angelo scrive proprio la notte della sua dipartita, ponendola in chiusura di quest’opera. Ci voleva proprio: a nessuno, quanto a D’Angelo, spettava lecitamente l’omaggio a Maradona, esattamente come a Gianni Minà spettava quello nelle televisioni nazionali.
Insomma: avete visto com’è facile parlare dell’opera di Nino D’Angelo senza necessariamente spiegare ogni volta “chi è” Nino D’Angelo? Ci vuole davvero poco! Basta tornare a considerare la vera musica, la vera scrittura e il vero cantautorato. Come quello, per esempio, che ci insegnò a camminare “in direzione ostinata e contraria”, proprio come fa quel tanto amato poeta napoletano che probabilmente “non sa parlare”, ma che certamente sa farsi ascoltare e amare.
Valerio Manisi