Una grande festa, una serata kolossal per celebrare il riconoscimento dell’Unesco all’opera lirica italiana quale bene immateriale dell’Umanità. Questo è stata la serata all’Arena di Verona, trasmessa in mondovisione su Rai Uno, organizzata dal Ministero della Cultura e Fondazione Arena di Verona con Siae, Anfols, Teatro alla Scala e Accademia di Santa Cecilia che ha offerto una passerella di star della lirica, ma anche le più alte cariche dello Stato in prima fila. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni, i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, ministri e ambasciatori hanno celebrato il riconoscimento Unesco per il Canto lirico italiano, con l’idea che l’evento possa diventare itinerante, di anno in anno, nei luoghi simbolo del belcanto. L’Italia ha voluto mostrarsi orgogliosa della propria cultura, ha costruito intorno al riconoscimento Unesco per il belcanto italiano un evento mediatico magnificente, imponente con l’obiettivo di provocare stupore e ammirazione. Obiettivo raggiunto per chi era in arena venerdì 7 giugno scorso e per chi era davanti al televisore a casa. E questo sembra poter essere un dato di fatto.
In mondovisione Rai si sono esibiti una grande orchestra composta da 160 elementi e un coro di 300 artisti, provenienti dalle Fondazioni lirico sinfoniche italiane. La serata, condotta da Alberto Angela, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti è stata aperta con Riccardo Muti, ambasciatore dell’eccellenza italiana nel mondo, sul podio dell’anfiteatro areniano per dirigere la prima parte della serata e i brani per orchestra e coro più significativi della grande opera italiana. La seconda parte della serata ha offerto un’antologia dei brani più celebri di Puccini, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, interpretati da un cast mondiale, come i soprani Eleonora Buratto, Rosa Feola, Juliana Grigoryan, Jessica Pratt, Mariangela Sicilia, il mezzosoprano Aigul Akhmetshina, i tenori Jonas Kaufmann, Renè Barbera, Juan Diego Flórez, Vittorio Grigolo, Brian Jagde, Francesco Meli, Galeano Salas, i baritoni Nicola Alaimo, Luca Salsi, Ludovic Tézier, il basso Alexander Vinogradov, diretti dal giovane maestro Francesco Ivan Ciampa. A rappresentare l’eccellenza della danza Roberto Bolle e Nicoletta Manni affiancati da 50 ballerini del corpo di ballo di Fondazione Arena. A narrare la storia della tradizione melica italiana sono stati – per gli spettatori televisivi - Alberto Angela, Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti che hanno introdotto le diverse arie e romanze. La prima parte della serata è stata affidata al direttore Riccardo Muti che ha diretto un medley dei pezzi sinfonici più celebri delle opere italiane chiudendo il suo concerto con un invito al rispetto e studio della tradizione melica italiana ma anche con una metafora tanto chiara quanto subito letta in chiave politica: «L’orchestra è il sinonimo di società. Ci sono i violini, i violoncelli, le viole, i contrabbassi, i flauti, i tromboni... e ognuno di loro ha spesso parti completamente diverse, ma devono concorrere, tutti, a un unico bene, che è quello dell’armonia di tutti. Non c’è il prevaricatore, infatti molte volte continuo a dire anche ai miei musicisti che c’è un impedimento alla musica. Ed è il direttore d’orchestra». Applausi, applausi, così come quando è entrato in arena il presidente della Repubblica e qualche fischio per Giorgia Meloni. Ma è stato quel ‘prevaricatore’ che ha fatto discutere dietro le quinte, un riferimento al premierato e a certo culto per l’uomo solo al potere? Prontamente Muti ha smentito ogni volontà di far politica, ma il dubbio resta. E fin qui la cronaca.
L'Arena di Verona
Ora il commento, o meglio qualche considerazione a fronte di una lettura di parte che i media hanno dato all’evento che in realtà è destinato a ripetersi ogni anno, in un luogo differente. Il prossimo appuntamento sarà a Roma per il Giubileo in una serata dedicata al canto nella musica sacra. Da un lato i giornali pro Governo a elogiare la serata, a tessere le lodi dell’orgoglio nazionale per l’opera lirica, dall’altro lato le critiche su una serata interminabile con la lirica ridotta a spezzatino per melomani, un tornare indietro ai cantanti mattatori, alle ugole d’oro che per gli esperti tanto d’oro non erano con un programma italianissimo ma alla fine noioso e un poco ripetitivo. Detto questo, si crede che nella grande festa per l’opera italiana bene immateriale dell’umanità il mezzo sia diventato il messaggio, per dirla con Herbert Marshall McLuhan. Ed infatti pur essendo presenti all’arena, ci si è presi la briga di guardare la replica della trasmissione trasmessa su Rai Uno in mondovisione e la differenza è stata immediata: lo spettacolo dal vivo ha chinato la testa a quello mediato, la prospettiva era ed è stata quella televisiva, il destinatario il telespettatore e non lo spettatore seduto in arena. Senza nulla togliere all’emozione dell’Inno di Mameli suonato da un ensemble mostruoso per numeri e potenza, senza nulla togliere agli applausi al presidente della Repubblica, senza nulla togliere al rito di una serata unica, certo è che il pubblico in arena era cornice alle riprese televisive, artisti e scaletta del racconto tutto funzionale alla divulgazione erga omnes. Questo – si crede – sia stato il limite maggiore dello spettacolo dal vivo che voleva festeggiare il riconoscimento al canto lirico italiano come bene immateriale dell’umanità. Ma al tempo stesso questo limite ha trovato una sua parziale giustificazione nell’azzardo e nel coraggio di portare la grande lirica in prima serata e confezionare un appuntamento che ha voluto amplificare l’orgoglio per l’invenzione del melodramma, dovuto a un signore Claudio Monteverdi, nato a Cremona, nella bassa che più bassa non si può, che è stato solo fugacemente citato, magari un brano – l’apertura dell’Orfeo?-poteva pure starci. Al di là di questi rilievi, la serata dedicata all’opera italiana ha peccato di un altro aspetto: il pur comprensibile orgoglio patriottico ha finito col limitare la grandezza dell’invenzione dell’opera lirica come matrimonio di parole e musica nel segno dell’humanitas. Quanto la tradizione italiana ha filiato in tutto il mondo? Sono stati i compositori italiani da Monteverdi a Rossini, da Verdi a Puccini a portare l’opera nel mondo e a rappresentare modelli per non meno grandi autori europei, per tutti valgano Mozart e Wagner. Unica concessione all’estero nel programma areniano è stata la Carmen di Bizet. Un po’ poco. Bene, per carità, doveroso ogni tanto essere sciovinisti e dimostrare l’orgoglio tricolore per l’invenzione del melodramma, ma che questo non diventi un limite. La forza dell’opera lirica italiana è stata quella di aver filiato in tutto il mondo, aver contagiato la creatività di musicisti europei, aver veicolato – per un certo periodo – la lingua italiana come idioma del genere melico in tutto il mondo, ma aver anche aperto la possibilità del matrimonio fra parola e musiche ad altre nazioni, ad altre culture e lingue. Aspetti questo che non possono non essere considerati, perché nulla tolgono alla primogenitura italiana ed anzi le danno ancor più valore. Ben venga la serata per celebrare l’opera lirica, ben venga la presenza in sala dei rappresentanti dei teatri che la lirica la fanno o la ospitano, ben venga una comunità che si commuove al cospetto della parola che si fa armonia ed emozione.