Marcellina
di Marina Stecca
-Un incidente domestico che porta a un incontro importante, ovvero: non tutto il male viene per nuocere.
Marcellina era una bella bambina negli anni sessanta, coi capelli scuri, lisci, gli occhi verdi e la parlantina sciolta. Era un po' introversa, molto solitaria, non aveva amici.
Aveva imparato a leggere a 4 anni, da sola con l'aiuto di un abbecedario, e da allora non aveva mai smesso questo vizio solitario. Divorava tutto ciò che le capitava a tiro, fumetti, riviste, pochi libri (in casa non c'erano molti libri adatti ai bambini, o forse si, ma per lei erano sempre pochi), tutto con la stessa curiosità.
Era docile e silenziosa, sapeva già badare a sé stessa, e raramente dava problemi ai suoi genitori. Sua sorella, di un anno solo più piccola, lei sì che poteva essere infantile. Poteva fare i capricci, veniva aiutata a imparare le cose, come andare in bicicletta per esempio, mentre Marcellina imparava da sé. Le varie attività o le venivano naturali o le rifiutava come inutili. Marcellina aveva imparato presto a dissociarsi dalle birbonate combinate dalla sorellina e dal cuginetto, anche lui di un anno più giovane, perché di solito veniva considerata la responsabile. “Tu sei la più grande e devi avere giudizio” diceva la nonna che si occupava di loro quando non erano a scuola. D'altra parte, a lei erano concesse delle franchigie, come poter toccare oggetti fragili proibiti ai bambini, di lei ci si fidava.
L'unica debolezza che Marcellina involontariamente si concedeva era fare pipì a letto la notte. Quando aveva sei anni il problema cominciò a farsi pressante per i genitori, oltretutto si trattava di un'epoca senza pannolini. La madre era una persona ansiosa, incapace di trovare da sé le soluzioni ai problemi, perciò li scaricava su chi capitava, spesso il marito, il quale non era uno che andava tanto per il sottile. La soluzione geniale proposta dal padre per limitare i disagi della moglie, costretta a cambiare il letto tutti i giorni fu che Marcellina non dovesse più bere la sera a cena. La mamma non ebbe niente da obiettare, purché non toccasse a lei trovare soluzioni o prendersi responsabilità, andava bene tutto.
Marcellina per qualche sera soffrì la sete, ma poi dentro di sé si ribellò. Sapeva per esperienza che piangere o disperarsi non sarebbe servito a niente, se non forse ad inasprire il divieto. Decise allora di trasgredire e prendersi da bere da sola quando non la vedevano (del resto la guardavano ben poco). Così una sera si mise in ginocchio in equilibrio precario sulla sedia per raggiungere coi suoi braccini la pesante bottiglia di vetro da due litri che stava in mezzo alla tavola, e cominciò a versarsi l'acqua. I genitori non la videro, ma la sorellina sì, e strillando “Ha detto il babbo che non devi bere!” cercò di toglierle la bottiglia di mano. Marcellina perse l'equilibrio, la bottiglia cadde rompendosi e lei ci cadde sopra con la faccia facendosi un brutto taglio, piuttosto profondo, sotto l'occhio sinistro.
Fu portata di corsa al Pronto Soccorso, dove passò subito in sala visite. Il chirurgo di turno, un signore sulla cinquantina, non tanto alto, calvo e con un cipiglio piuttosto severo, quando la vide schizzò fuori dalla sala visite e se la prese coi genitori, imprecando e bestemmiando, e faceva uno strano effetto vedere un signore così distinto tanto alterato: "Non è possibile! Mi portate una creatura in queste condizioni? Ma non vi vergognate? Roba da pazzi, e secondo voi ora come la sistemo? Resterà una cicatrice, resterà sfregiata a vita, non posso mica fare miracoli io, è un peccato. Che mi invento ora?”
Bestemmiava, si arrabbiava, ma perché era profondamente dispiaciuto. Sapeva che sarebbe rimasto un segno, uno sfregio su quel viso di bimba. La bimba poi sarebbe diventata una ragazza, poi una donna, segnata per sempre. Un maschio magari può anche vantarsi di una cicatrice sul volto, costruirci sopra un racconto glorioso, ma per una donna un viso deturpato è una cosa più grave, pensava il dottore.
Tornato in sala visite, con Marcellina invece fu dolcissimo: “buonasera piccola... nonono, ferma, non ti agitare, se ti muovi tanto non vedo bene... brava, così... allora, dimmi, cosa è successo, me lo sai raccontare?"
Marcellina si calmò un poco, inghiottì le lacrime, tirò un sospiro e rispose: "non dovevo bere a cena (si vergognò a dire il perché), e però avevo sete, e allora ho fatto da me, ma mi è cascata la bottiglia, e mi sono fatta maaaaleeeee...” e ricominciò a singhiozzare coi lacrimoni che scendevano a quattro per volta. Il dottore strinse le labbra ma non commentò. Le fece una carezza sulla testa e le disse: “non ti preoccupare, ora te la ricucio io codesta faccina. Sono un dottore bravo io, sai, vedrai che torna tutto a posto”, si girò e immediatamente riprese il tono professionale, dando ordini agli infermieri, si disinfettò bene le mani, e in sala operatoria compì un piccolo capolavoro: su un taglio di tre-quattro centimetri mise ben nove punti di sutura minuscoli, in modo che la cicatrice risultante fosse il meno evidente possibile.
Marcellina era profondamente sorpresa che quel signore estraneo si desse tanta pena e soprattutto che se la prendesse con la mamma e il babbo. Lei era abituata a sentirsi attribuire la responsabilità di tutto quello che le capitava.
“Ma guarda”, pensava, "invece che sgridare me ha sgridato loro, e stanno zitti zitti, perciò gli danno ragione, sennò gli risponderebbero".
“Ho fatto quello che ho potuto, povera creatura, e comunque, se quando sarà grande si vedesse brutta con questa cicatrice sul viso potrà fare una chirurgia plastica” aveva detto il dottore alla mamma, guardandola con severità e tagliando corto ai suoi ringraziamenti (il babbo aspettava fuori in macchina).
La mamma di Marcellina non aveva mai considerato con tenerezza il suo aspetto, per lei la bellezza di casa era la figlia piccola, che somigliava a lei e alle donne della sua famiglia, Marcellina somigliava a sua suocera. Però, l'atteggiamento del dottore la fece riflettere. Si era dovuta un po' vergognare per il suo rimprovero silenzioso, e cominciò a guardare Marcellina con altri occhi, e infine la vide com'era, una creatura bisognosa e degna di attenzioni. Cominciò a passare più tempo con lei, e la sera, invece di mettere le bambine a letto e spengere la luce, cominciò a leggere loro delle storie. A volte era Marcellina a leggere per la mamma e per la sorellina, e questo la rendeva orgogliosa, perché lei sapeva leggere e la sorellina no.
Sarà forse per questo nuovo rituale serale, o magari sarebbe successo comunque, ma Marcellina smise di fare pipì a letto.
A Marcellina nonostante la paura e il dolore provati piaceva ricordare la sera dell'incidente: in qualche modo, senza una vera consapevolezza, capiva, anzi sentiva, che quella dolcissima svolta nei rapporti con la mamma era legata all'incontro con quel signore, che lei ricordava pochissimo. Fantasticava su come sarebbe stato bello se ci fosse stato quel dottore al posto del suo babbo, che non le parlava mai con quella dolcezza. Improvvisamente divenne sbadata, ed ebbe tanti piccoli incidenti che la riportarono spesso al pronto soccorso, ma quel dottore-babbo non lo trovò mai più di turno, così si rassegnò a tenersi il suo e la sbadataggine passò, crescendo.
La cicatrice poi divenne un filo sottile, appena percettibile, ma Marcellina da grande non fece la plastica: quello sfregio lo portò sempre con fierezza, come un segno d'amore.