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TODI FESTIVAL, 32 esima edizione - "SULLE VIE DI BORGES", regia di Teresa Pedroni con Massimo Popolizio. -di Pierluigi Pietricola

Massimo Popolizio in "Sulle vie di Borges", regia Teresa Pedroni Massimo Popolizio in "Sulle vie di Borges", regia Teresa Pedroni

TODI FESTIVAL

SULLE VIE DI BORGES
Reading/Concerto (Italia) | Debutto
Da Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges
Regia di Teresa Pedroni con Massimo Popolizio
Musiche eseguite dal vivo da Javier Girotto
Produzione: Compagnia Diritto & Rovescio
Con il patrocinio dell'Ambasciata della Repubblica di Argentina

Borges? Una porta che si apre nell'infinito entro cui osservare ciò che quotidianamente non è visibile ad occhi comuni; dove respirare un'aria tersa, purissima. Popolizio lo legge in teatro: il pubblico se ne incanta.
Non esiste terminologia migliore di quella che ben usò Pietro Citati per descrivere la letteratura del Novecento: un'appassionante malattia dell'infinito. Borges non solo ha incarnato tale caratteristica, ma l'ha rappresentata al meglio. E sotto ogni profilo: linguistico metaforico e poetico. Chi altri potrebbe stargli accanto? Pessoa, probabilmente. Ma il suo infinito è una realtà che si squaderna in una moltiplicazione di maschere fittizie. In Borges il mondo stesso è illimitato. Basta solo pensarlo come perpetua possibilità di differenti combinazioni, che incessantemente prendono forma per poi subito svanire.
L'itinerario borgesiano che Popolizio ha offerto, ha tenuto a precisare questa caratteristica. A far da cornice all'intera lettura, il racconto della Biblioteca di Babele, nella quale Jorge Luis dà vita ad una eternità dalle sembianze di libri. Perché la parola, quella da cui il mondo è nato per volontà divina, non scompare. Poco conta se essa sia orale o vergata su pagine resistenti. Importa ciò che il verbo compie: creare la realtà in cui viviamo.
La biblioteca di Babele non viene letta subito per intero. Come nelle Mille e una notte, d'improvviso ecco incastonarsi alla perfezione una serie di racconti tratti dalla raccolta Il libro di sabbia. Tutti comunicano al pubblico un'idea su cui val la pena di meditare: cosa vuol dire vivere? Non certamente il compimento d'un destino né l'individuazione d'un senso più o meno recondito. È il semplice saper stare dentro un sogno, che tutti si contribuisce ad alimentare. E in tale chimera, per ironia della sorte, può accadere di scorgere noi stessi incanutiti di qualche decennio e osservarci per come siamo: meschini o impavidi; schietti come la luce del sole o cupi e stinti come la nebbia. Ma la consapevolezza che quella che viviamo è una visione ordita anche grazie al nostro apporto, aiuta a rendere l'esistenza meno opprimente. Perché sarà sufficiente individuare uno spiraglio dal quale fuggir via, per essere finalmente liberi. Perfino la sola idea di tale opportunità rende tutto più dolce.
Popolizio ha dato un'ottima prova d'attore. La sua voce e l'intera gestualità ben si sono accordati con le caratteristiche della letteratura borgesiana. Egli ha interpretato i personaggi dell'autore argentino con lievità, ironia; caratterizzandoli con differenti toni di voce – ora autorevoli, ora melliflui, ora buffoneschi. Grazie a tali registri recitativi, per un'ora e mezza tutto il pubblico si è tramutato in Borges.
Belle ma esagerate le esecuzioni musicali del jazzista Javier Giotto. Troppi acuti che distoglievano dall'atmosfera magica che pian piano s'è creata in teatro. Ma l'incanto della parola ha avuto la meglio. E di questa goccia di puro infinito borgesiano se ne farà tesoro per lungo tempo.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Domenica, 02 Settembre 2018 11:07

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