di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
con Massimo Popolizio
e Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Mavaracchio, Gabriele Brunelli
regia Massimo Popolizio
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Gianni Pollini
suono Alessandro Saviozzi
Compagnia Umberto Orsini
Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale
Teatro Carignano (TO) dal 7 al 19 febbraio 2023
Un grande drammaturgo e un capolavoro del cinema con cui misurarsi: è questa la doppia sfida raccolta da Massimo Popolizio, attore e regista di Uno sguardo dal ponte, in scena al Teatro Carignano di Torino (dal 7 al 19 febbraio). Se è vero, da un lato, che il testo di Arthur Miller (al debutto a Broadway nel 1955) non perde mai di attualità, nella rappresentazione pulsante come una piaga della debolezza umana, è altrettanto certo che questo allestimento rivitalizza l’opera e le garantisce modernità. A cominciare dalle scene di Marco Rossi, essenziali e sorprendenti, in oggetti e quadri che si aprono all’improvviso apparendo dal fondale oscuro. A cadenzare i tempi della rappresentazione, il passaggio del treno sui binari (le sue luci nella notte, i fischi e gli sbuffi caratteristici), che fa tremare le abitazioni di una Brooklyn popolata da emigrati di origine italiana (meridionale, per lo più): un quartiere enclave, i cui rapporti tra famiglie nel secondo dopoguerra si basano sulle stesse leggi dell’onore vigenti in Italia.
La gente si guadagna da vivere facendo spesso lavori umili: lo scaricatore di porto, per esempio, come
Eddie Carbone, protagonista della vicenda. Un uomo solido, un lavoratore instancabile, marito e padre di famiglia tutto d’un pezzo: una persona rispettata nella comunità del quartiere. La sua vita scorre liscia, ma una minaccia giunge a turbarne l’equilibrio: due cugini della moglie arrivano in America dalla Sicilia, in fuga dalla miseria e soprattutto attratti dal miraggio di un lavoro garantito; sono due clandestini, come tanti altri nascosti e protetti dall’omertà sacra delle famiglie italo-americane.
Saranno la debolezza umana, la gelosia furibonda, la miseria di una vita che abbrutisce e non lascia speranza alcuna (se non gli occhi ancora sognanti di una adolescente) a sconvolgere l’armonia di una famiglia e il sistema di valori di un gruppo di persone da sempre solidali. Una storia di povertà, immigrazione e incestuosa passione erotica, insomma, che (a distanza di decenni) non perde smalto, né smette di cogliere nel segno: la mania di possesso di taluni uomini nei confronti di madri e figlie, del resto, è argomento di attualità bruciante e drammatica.
A Popolizio il merito di riportare in palcoscenico un dramma che racconta, al di là della singola vicenda umana, il disagio purtroppo senza tempo di uomini costretti a espiantarsi – abbandonando gli affetti e la terra di origine – per cercare un lavoro, guadagnarsi da vivere e difendere la propria dignità. Se paragonato al Raf Vallone del film diretto da Sidney Lumet nel 1962, Massimiliano Popolizio sembra dare al personaggio di Eddie Carbone un tono farsesco un po’ straniante, ma quella di gettare una luce nuova sull’opera è probabilmente la legittima scelta di chi intende rappresentare la tragicommedia della vita e degli impulsi incontrollabili.
Giovanni Luca Montanino