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XIX FESTIVAL DEI DUE MARI 2019 - "Ecuba", regia Giuseppe Argirò. -di Gigi Giacobbe

Gianluigi Fogacci tra Maria Cristina Fioretti, Elisabetta Arosio e Francesca Benedetti in "Ecuba", regia Giuseppe Agrò Gianluigi Fogacci tra Maria Cristina Fioretti, Elisabetta Arosio e Francesca Benedetti in "Ecuba", regia Giuseppe Agrò

Ecuba
di Euripide
Adattamento e regia di Giuseppe Argirò
Interpreti: Francesca Benedetti, Maria Cristina Fioretti, Elisabetta Arosio,
Viola Graziosi, Maurizio Palladino, Graziano Piazza, Sergio Basile, Gianluigi Fogacci
Disegno luci: Giovanna Venzi
Arredi scenici: Francesco Latti. Assistente alla regia: Laura DE Angelis
Produzione: Teatro della Città – Catania
al Teatro greco di Tindari nel XIX Festival dei Due Mari - 6 agosto 2019

Clare latine congruenturque loquere diceva Cicerone: un motto, un detto perseguito da Giuseppe Argirò nel mettere in scena in maniera sobria, chiara ed efficace Ecuba di Euripide, curandone lui stesso adattamento e traduzione. Una tragedia rappresentata in vari siti archeologici con un cast di tutto rispetto e approdata adesso al Teatro greco di Tindari, inserita nel XIX Festival del Teatro dei due Mari, avendo nel ruolo del titolo una divinità fatta donna come Francesca Benedetti, attrice d'una sensibilità unica e palpitante, la cui voce s'irradiava tra la skené e piccola cavea attorno (quella grande era al momento impraticabile) accostabile ai suoni dolenti d'un quartetto di archi, interrotti in alcuni momenti per poi riprendere con l'armonia d'un accordeon quando le parole toccavano l'anima d'una madre che non può far nulla per salvare le vite dei suoi ultimi due figli rimasti in vita, Polissena e Polidoro. Sulla nuda scena solo uno scranno al centro e poi le nude mura del teatro che guardano le isole Eolie. Poi più nulla. Solo due ancelle, in funzione di coro (Maria Cristiana Fioretti e Elisabetta Arosio) che reggono una madonna che quasi gronda sangue, come il rosso del suo abito di velluto, distrutta da una pena senza fine perché l'Ulisse dell'autorevole Maurizio Palladino in elegante frac grigio, ha decretato che Polissena in lungo abito bianco quella della bionda Viola Graziosi, sarà sacrificata sulla tomba di Achille per mano del figlio Pirro, piangendo la poveretta la sua giovinezza e le nozze perdute, ricordando i tempi felici quando la sua bellezza brillava tra le compagne e lei era uguale in tutto agli dei fuorché nella morte. Le donne troiane indossano sui loro abiti dei cappotti militareschi, quasi un marchio della loro sconfitta ad opera degli achei vincitori che si mostrano invece in eleganti abiti, come quello indossa l'araldo Taltibio (Graziano Piazza) che dietro sollecitazione di Ecuba racconta come la figlia con grande dignità e coraggio abbia affrontato la morte. Ma se fino ad ora è la pietà ad aver dominato la scena, con il sopraggiungere di Agamennone (Sergio Basile sembra un signorotto d'antan con soprabito nero, bastone, cappello e sciarpa bianca), ma ancor più con l'apparizione dell'infame Polimestore (in redingote nera e fiocco di seta marrone al collo quello di Gianluigi Fogacci) la tragedia assume dei connotati sanguinolenti in stile Tarantino, perché è la stessa Ecuba che vuole vendicarsi per la perdita della figlia e per la morte del figlio bianco e vermiglio Polidoro, ucciso dal doppiogiochista Polimestore solo per impossessarsi del suo oro. Ma male gliene incoglierà perché sarà accecato dalle troiane e il suo corpo verrà gettato su un'isola deserta. Successo per tutta la compagnia e per i singoli protagonisti subissati di applausi nei propri assoli.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 07 Agosto 2019 20:36

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