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FESTIVAL OPERA PRIMA XV - "Generazioni" 12-15 settembre 2019. -di Franco Acquaviva

Michela Lucenti in "Concerto Fisico" Michela Lucenti in "Concerto Fisico"

Festival Opera Prima XV – Generazioni
12 - 15 settembre, Rovigo

Visitato sabato 14 settembre 2019

Il rapporto tra teatro e città o teatro e quello che taluni chiamano territorio dovrebbe in modo non ambiguo far sempre parte della riflessione e della prassi di chi nel teatro opera, sia perché il teatro è un atto pubblico e soprattutto relazionale, sia perché ha a che fare con la sopravvivenza di qualcosa di antico e attuale che è il bisogno dell'uomo di costruirsi dei riti nei quali individuo e comunità siano compresenti e si interroghino l'un l'altro. Se il teatro si chiude in liturgie mondane auto riferite perde di forza d'azione anche politica, e d'immaginazione fisica di uno spazio-tempo altro rispetto a quello generato dalla coercitiva ed ebbra combinazione di economia e tecnica, che muove e polarizza ormai quasi del tutto il nostro mondo.
Porsi dunque il problema della città, ma senza cedimenti all'ovvio, al risaputo; percorrere un sentiero magari rischioso, ma sempre in un'ottica di attrazione e mobilitazione delle migliori energie umane, senza perdersi in fumi concettuali.
Questo sta facendo il Teatro del Lemming con Opera Prima XV, allargando ancora di più i confini del proprio operare, sia moltiplicando i luoghi d'intervento, sia interpretando teatralmente i "luoghi quotidiani", portando performance o parate nel cuore storico della città. Inoltre, il festival diretto da Massimo Munaro ha ideato per la selezione dei lavori una meccanica generativa endogena si potrebbe dire, che lo porta cioè a scegliere gli artisti partecipanti, o almeno una parte di essi, i più giovani, come risultanza di un'indicazione che viene da gruppi più anziani, in una prospettiva di dialogo tra le generazioni, che non solo a teatro, ma evidentemente nel mondo odierno, è quasi del tutto assente. Questo porta a interrogarsi sul rapporto tra vecchio e nuovo, fra tradizioni, anche se si tratta sempre di "tradizioni del nuovo", e tradimenti, e sulla ormai depotenziata polarità maestro/allievo. Se si pensa poi che gli artisti sono invitati a fermarsi al festival per vedere e incontrare gli altri artisti e il pubblico, ecco che il quadro si precisa: ed è quello di un contesto che attribuisce al tempo il ruolo di non frenetico, di più lento dipanatore di relazioni e di pensiero – funzione anch'essa oggi normalmente atrofizzata, ridotto invece com'è, il tempo, a misura di un accadere istantaneo che si presuppone privo di porosità e concretezza, tutto avvolto dal packaging dell'efficienza disincarnata. Ma qui al festival di corpi e di presenza è intessuto il quotidiano accadere. Di corpi performanti che bruciano di una loro caratteristica irriducibilità al senso comune, insofferenti a una men che fiammante temperatura esistenziale e artistica.
Così la coppia di danzatori Filippo Porro e Simone Zambelli in "Ombelichi tenui" richiama il pubblico con un lamento grottesco, un pianto finto e quasi comico, che trascina i due fino al contatto con i primi spettatori. Due figure un po' funebri, ché, pare di capire, questo è il loro funerale, in giacca a pantaloni neri, marionette snodate e magre, dai tratti angolosi, ci trainano nel prato antistante le due torri e fino in fondo al giardino e poi sotto la torre Donà in un percorso iniziatico e senza rete, in cui danzare diventa un lottare disperato tra amanti-avversari che sembrano cercarsi l'anima dentro il corpo a furia di strattonarsi spingersi rotolarsi lottare sciogliersi, in una dialettica di aggressione/abbandono che si fissa in un discorso coreografico e drammaturgico di notevole potenza espressiva. Scarlattine Teatro in "Hamlet private" accoglie un unico spettatore nei sotterranei delle Due torri (un'altra attrice, Anna Fascendini, in altro luogo, replica lo stesso dispositivo). Giulietta Debernardi offre da bere, fa sedere a un tavolo e conduce lo spettatore in un gioco (anche) alla scoperta di sé attraverso 22 carte – alla stregua di tarocchi – ispirate alla vicenda di Amleto, ma riportanti categorie eterne della vita umana: il dubbio, il desiderio, l'eroe, la madre, ecc... Lo spettatore pesca e colloca le carte stimolato dall'attrice cartomante. Emerge così per frammenti la visione di quella che potrebbe essere l'attuale situazione di vita del visitatore, fino a che, in un lampo finale, nelle sei carte chiave che a chiusura a quest'ultimo è stato chiesto di scegliere, l'attrice ricostruisce la struttura archetipica della vicenda d'Amleto. Lavoro intrigante e originale.
Lo spettacolo del collettivo italo-svizzero Treppenwitz (al Teatro Sociale), supervisionato da Carmelo Rifici, verte sulla questione dell'identità sociale ed esistenziale di giovani trentenni alle prese con il tema dell'amore e dell'amicizia in una scena che è sala d'attesa aeroportuale, in cui la maestra di cerimonie è una hostess in perfetta divisa che con microfono in mano dà e toglie la parola. Videointerviste a giovani di varie parti d'Europa scorrono sugli schermi video onniposizionati. Con qualche suggestione tolta a Pina Bausch, e un ironico ed efficace tormentone che coreografa le partiture gestuali con cui le hostess danno informazioni sulla sicurezza ai viaggiatori, lo spettacolo, che non rinuncia all'immancabile richiesta di partecipazione del pubblico, scorre, ma è un po' appesantito da insistite scene di ballo stile discoteca e da una eccessiva lunghezza.
Chiude la serata, al Teatro Studio, il lavoro di Michela Lucenti, montaggio associativo di coreografie e testi poetici che traccia la storia del suo gruppo, Balletto Civile. "Concerto fisico" è un'esplosione sonora, corporea, energetica che scuote le fibre dello spettatore. Impossibile non farsi prendere dalla potenza di questa danzatrice-attrice dal corpo esile e staffilante, dalla voce capace di incredibili modulazioni timbriche mentre canta sullo sfondo di un ipnotico tappeto sonoro elettronico. Se ne esce vivificati.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2019 19:50

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