venerdì, 18 ottobre, 2024
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DUE PUCCINI E UN BELLINI ALLO SFERISTERIO. -di Piero Mioli

"Norma", regia Maria Mauti. Foto Simoncini "Norma", regia Maria Mauti. Foto Simoncini

Per festeggiare Puccini, com'è giusto visto che il 2024 è il centenario della scomparsa, ma senza rischiare l'impopolarità della monografia, occorreva un'alternativa di peso: Donizetti o Verdi? forse meglio Bellini, cioè un primo Ottocento che facesse pendant con il secondo Ottocento, appunto, di Puccini. E quando a rappresentare Bellini è Norma, allora è un tripudio, e lo stesso Puccini potrebbe sentirsi vacillare il trono della stagione. Un tempo molto popolare, ancora oggi molto amata ma meno eseguita, l'opera gloriosa del 1831 è anche molto complessa di per sé e inevitabilmente destinata a primedonne autentiche. Difficile reggere a tanto, ma il Macerata Opera Festival ha superato l'ostacolo: le sue armi vincenti sono state l'allestimento non cervellotico, l'integralità della lettura, l'assegnazione della parte di Adalgisa non a un mezzo ma a un soprano, in particolare la scelta di una protagonista più che attendibile.

Per quattro recite, dal 20 luglio al 9 agosto, Fabrizio Maria Carminati ha diretto l'impegnata FORM (Orchestra Filarmonica Marchigiana) e l'eccellente coro “Bellini” (istruito da Martino Faggiani) con notevole cura di preparazione anche se qua e là mancando di quella forza tragico-corale che la partitura esigerebbe. Norma è stata Marta Torbidoni, buona voce italiana di soprano lirico-drammatico tecnicamente agguerrita e abbastanza efficace anche come interprete, come attrice. Certo il personaggio esigerebbe più aristocratica spiritualità, ma come il lirismo di “Casta diva” così è stata resa bene l'energia di frasi come “Oh! Non tremare, o perfido” e “Tutti i romani a cento a cento”. Accanto a lei Roberta Mantegna stava nel suo repertorio ideale, liricissimo, esatto sia di voce che di espressione. Bravo anche Antonio Poli come Pollione: la voce non sarà quella del dovuto baritenore, ma il canto era corretto, senza macchia, senza enfasi veristica. Bravo e davvero nobile l'Oroveso di Riccardo Fassi, in due grandi scene che spesso gli allestimenti sottovalutano come parentetiche. Semplice lo spettacolo, firmato da Maria Mauti come regista: pochi elementi a forma di scala e regolarmente spostati qua e là sul palcoscenico. A volte la semplicità pagava lo scotto della monotonia, in particolare della monocromia: specie verso il finale, qualche luce in più addosso ai duettanti, nell'ineffabile duettino “Qual cor tradisti”, avrebbe alleggerito l'atmosfera e pronunciato il dramma. Molto bella, nella sua schiettezza, la luna che grandeggiava sul muro, e ancora più bello quell'enorme velo bianco che ondeggiava a terra e certo era l'invocata pace riflessa dal satellite, quasi una marea rispecchiata in terra da lassù. Successo e soddisfazione generale

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Turandot, regia Paco Azorín. Foto Simoncini.

Ma Puccini, come s'è detto, era il nume dell'estate maceratese (e non solo di quella, in Italia e nel mondo). Apertura con l'ultima opera, la notoriamente incompiuta Turandot il 19 luglio: scelta non felice è stata quella di interrompere l'esecuzione là dove l'aveva interrotta Puccini stesso, perché un conto è una partitura e un altro conto è una rappresentazione. In scena un'opera deve finire. Per esempio il Moses und Aron di Schönberg, che manca della musica del terzo e ultimo atto, usa andare in scena cantato per due terzi e declamato per il terzo restante. Perché lo spettacolo ha le sue ragioni e siccome Turandot dispone di più completamenti (altrui, certo, e certo l'arte di Puccini era impossibile da imitare), basterebbe fare una scelta. Dal podio, Francesco Ivan Ciampa ha saputo esprimere, forse meglio dirimere, molte delle note finezze strumentali dell'opera, squillando senza meno su ottoni e percussioni senza sacrificare gli amalgami più cameristici. Discreta e omogenea la compagnia di canto: la Turandot di Olga Maslova sale bene in acuto, ma non scende altrettanto; la Liù di Ruth Iniesta sfuma e commuove, ma nell'abbondantissimo registro centrale è troppo leggera; il Calaf di Angelo Villari ha buona voce di tenore lirico con qualche incertezza di lettura (forse determinata dal fraseggio molto lento e talora un po' dispersivo della direzione); il Timur di Riccardo Fassi è sensibile e regale. Bene il resto, dall'impegnatissimo coro di Faggiani al terzetto delle maschere (Lodovico Filippo Ravizza, Paolo Antognetti, Francesco Pittari), più malinconico (forse volutamente) che godereccio. Firma la regia Paco Azorín: gratuito quando intende Turandot e donnesca scorta come spietate amazzoni armate fino ai denti, ben centrato nell'essenzialità del resto, specie nelle braccia di una scenografia finalmente senza sperpero (costumi in linea di Ulises Mérida).

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Bohème di Leo Muscato

Il 27 luglio è tornata la felice Bohème ideata nel 2012 da Leo Muscato (subito assai benaccolta dal XXXII Premio Abbiati, replicata nel '17 e anche altrove) con ambientazione parigina sì ma posteriore a quella d'origine di un secolo e mezzo (a riprendere il lavoro è stata Alessandra De Angelis). Significativa l'interpretazione di Valerio Galli, maestro concertatore e direttore della Filarmonica Marchigiana che ha fatto sua la “discontinuità” voluta dal regista fra la comicità caricata di certe scene (Benoît) e la serietà di altre: l'accompagnamento delle voci (ed è un accompagnamento mica solo arpeggiato o giù di lì), per esempio, era a volte tenue, quasi impalpabile, e a volte forte, fortissimo. Omogenea la compagnia di canto (guai il contrario, in un'opera come questa). Il tenore Valerio Borgioni ha voce lirica, ma lirico anche il temperamento, gentile e giovanile, come del resto Mariangela Sicilia, che ha fraseggiato Mimì secondo la migliore tradizione “freniana”. Più sensibile che civettuola la Musetta di Daniela Cappiello, e tutti disinvolti, tutti bravi “commedianti” Mario Cassi, Vincenzo Nizzardo e Riccaro Fassi. Ancora successo, ancora auspici per lo spettacolo e per i solisti, dall'ormai affermata Sicilia al ventisettenne Borgioni (che ha in repertorio Tonio, Duca, Nemorino, Pinkerton e meriterà anche un Roméo, un Ory, un Oronte).

Ultima modifica il Venerdì, 18 Ottobre 2024 13:51

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