Rossini il 1819 non fu un gran bell'anno: laborioso sì, visto che gli nacquero quattro opere, ma soddisfacente no, visto che l'opera più gradita (alla Fenice) fu quel “centone” di Eduardo e Cristina, mentre l'opera più originale (Ermione) non piacque al S. Carlo cui piacque poco anche l'opera più bella (La donna del lago). Rimane, nel novero, Bianca e Falliero, che aprì la Scala il 26 dicembre e venne accolta piuttosto freddamente. Come che sia, il ROF del 2024 le ultime due le ha recuperate entrambe (e non era la prima volta, perché un festival che tocca la 45ª edizione deve per forza sapersi voltare indietro).
Grande impegno s'è profuso addosso all'imponente Bianca e Falliero del 7 agosto. Roberto Abbado ha diretto la classicissima Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e ha concertato lunghi assoli e lunghissimi assiemi con ogni precisione, qua e là sovrastando il canto ove il canto non era troppo sonoro. Tanto bravo quanto impegnato il Coro del Teatro “Ventidio Basso”, istruito da Giovanni Farina (ecco uno dei pochi elementi che associano Rossini più all'Otto che al Settecento, la vasta coralità). Quanto ai cantanti, segnalato che le buone tecniche impiegate erano quelle solite e non certo quelle d'epoca, ecco la reginetta della serata, Jessica Pratt: voce chiara e dolce, coloratura senza una macchia, recitativo attendibile, insomma tutto bene anche se l'azione era pregiudicata un po' da costumi non adatti al fisico. A tal Bianca quanto mai sopranile occorreva un Falliero contraltile: no, Aya Wakizono è un mezzosoprano anche piuttosto leggero, ma canta con stile, anima e gusto. Sempre squillante il tenore Dmitry Korchak, in una parte cattivella, e piuttosto autorevole il Capellio di Giorgi Manoshvili. Firmato da Jean-Louis Grinda (regia) e Rudy Sabounghi (scene e costumi), lo spettacolo era a volte tranquillo e decorativo (il mare, il cielo, il tribunale con i giudici in rosso), volte un po' più complicato. Versione critica, nuova produzione, musica sempre buona, mirabile il quartetto «Cielo, il mio labbro ispira», meritato successo all'Auditorium “Scavolini”.
Ermione, regia Johannes Erath
Critica anche l'edizione di Ermione, in scena alla Vitrifrigo Arena il 9 agosto, e ben divaricata fra esecuzione e rappresentazione. Come sempre Michele Mariotti non sbaglia, a dirigere il suo Rossini, possedendo anzi un senso del teatro a cui talora l'astrattezza della musica sembra dar poco peso. Anastasia Bartoli ha cantato la parte protagonistica con fiera voce e giusta tecnica (meno nel settore grave), e anche con l'animosità che il terribile personaggio di Racine esige (ed esigerebbe anche più nobiltà). Acerrima nemica, Andromaca era il contralto che ci voleva: Victoria Yarovaya ha cantato anche con notevole lirismo. Due i tenori, come si sa in questo Rossini napoletano: il dispotico Pirro era Enea Scala, dalla voce molto estesa ed espressiva, e il vittimistico Oreste Juan Diego Flórez, dalla voce sempre aggraziata. Ancora il coro ascolano, ancora l'orchestra radiofonica, ancora feste e plausi. La nuova produzione s'avvaleva della regia di Johannes Erath, delle scene di Heike Scheele, dei costumi di Jorge Jara: uno spettacolo quasi incapibile, però, zeppo di trovate, gesti, figure e oggetti almeno a prima vista privi di senso. E certo senza gusto, senza classe, senza quel relativismo, quel servaggio alla musica “ideale” che il mondo dell'opera pretende per statuto.
L'equivoco stravagante, regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Fra due nuove produzioni, L'equivoco stravagante dell'8 agosto era un riallestimento del 2019: semplice, divertente, originale, mai cervellotico, insomma indovinato e quasi capace di far trangugiare allo spettatore lo strampalato libretto di Gaetano Gasbarri (un grappolone insopportabile di situazioni e freddure ignobili). Benedetti responsabili i registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, lo scenografo Christian Fenouillat, il costumista Agostino Cavanca e per le luci Christophe Forey. Diversi dagli altri i complessi: la Filarmonica “Gioachino Rossini”, in progress davvero, diretta da Michele Spotti (vivace, teatrale), e il coro della “Fortuna” di Fano, istruito da Mirca Rosciani (in bella sintonia con la concertazione). Il coro c'è perché l'opera, giovanilissima, non è una breve farsa ma un dramma giocoso abbastanza lungo. Anche per questo la scrittura di canto è comica ma non farsesca, sulla linea che in breve avrebbe portato all'Italiana in Algeri: e anche per questo i cantanti sono stati tutti bravi, dalla pronuncia dei recitativi alla coloratura delle cabalette. Erano, germogli della scuola locale di belcanto, Maria Barakova (Ernestina), Carles Pachon (Buralicchio), Pietro Adaìni (Ermanno), Patricia Cavalche (Rosalia), Matteo Macchioni (Frontino); al centro, un “buffo” di grande esperienza come Nicola Alaimo, tale però da non sovrastare gli altri e le altre giovani. Successo, e divertimento della più bell'acqua.
Il barbiere di Siviglia, regia Pierluigi Pizzi
Quarto spettacolo, precedente quel simbolo del ROF che è sempre Il viaggio a Reims (e difatti celebrante, in forma di concerto, i quarant'anni dalla prima, stupefacente edizione che seguì la scoperta dell musica), è stato il 10 agosto Il barbiere di Siviglia nell'allestimento curato nel 2018 da Pierluigi Pizzi. Un allestimento che sorprende ancora, rispetto alla media di Pizzi, perché disadorno, poco o niente colorato, nettissimo nei contorni, veramente quintessenziato. E va benone, anche se l'arredo di casa Bartolo non è proprio quello voluto da Sterbini o Beaumarchais. Lorenzo Passerini, alla guida dell'Orchestra Sinfonica “G. Rossini”, è stato giusto di per sé, come direttore classico e composto, ma anche nei confronti dei cantanti, ai quali ha lasciato dire e fare di tutto (Pizzi docet, per fortuna, anzi docuit), secondo gli schemi dell'antichissima comicità italica. Si cominci pure dei veterani Carlo Lepore come Bartolo e Michele Pertusi come Basilio: ottimo canto, e poi fraseggio, libertà, gusto per la pausa, la parola, la sillaba, dalla erre moscia del primo ai guizzi di balbuzie del secondo. Né il tenore Jack Swanson né il baritono Andrzej Filonczyk si può dire che abbiano bella voce, ma l'impegno e l'attorialità hanno avuto complessivamente la meglio. Lieta sorpresa il mezzosoprano Maria Kataeva nei panni di Rosina: un canto nient'affatto sospiroso o lezioso, il suo, ma ricco, forte, sonoro, provvisto di gran belle variazioni e quanto meno donizettiano. Non è mai facile, con la commedia musicale, riuscire a fare del vero teatro: stavolta il ROF ha colpito nel segno.