Trittico di danza
Di Mauro Astolfi, Marco Goecke, Edmondo Tucci
Con M. Cossu, L. Ieluzzi, R. Iorio, M. la Terza, T. Palladino
Musiche AAVV
Luci U. Haberland, M. Policastro
Produzione Spellbound con il contributo del Ministero per I Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Teatro Bellini di Napoli, 3 Ottobre 2021
Unknown Woman, Äffi e … di amore e di altro … sono le tre coreografie che un come sempre splendido Teatro Bellini nella sua bellezza e nella sua accogliente pianta semicircolare ci presenta tra i primi spettacoli della nuovissima stagione della danza. Partendo da forme di contemporaneo più puro si arriva poi al neoclassico e a spunti presi sia dalla tecnica classica sia dagli stili modern e internazionali, con contaminazioni già sempre presenti nella danza, ma qui ancora più confuse in maniera armonica tra di loro. Nella prima coreografia, Maria Cossu interpreta, su idea di Mauro Astolfi, un racconto un po’ reale e un po’ immaginario, che mostra il suo rapporto con l’arte, il creare e il rappresentare. Tramite uno stile in costante evoluzione, Astolfi vuole elaborare e riprodurre tutte le forme anche più estreme dell’espressione contemporanea, attingendo anche alle influenze europee e mondiali. Il secondo pezzo, di Marco Goecke, è un lavoro solista del coreografo, che ora è parte del repertorio di compagnie internazionali e qui messo in scena nella versione riallestita per Spellbound Contemporary Ballet. Interpretato dal ballerino Mario la Terza, gioca molto sul corpo, sul movimento stesso e sul linguaggio fisico, con presenza possente ed esternalizzazione di fantasmi interiori che non permettono una felicità senza ombre ed anzi indurrebbero a scappare dal proprio corpo, sfuggendo così ai limiti che questo ci impone, ricercando un vocabolario di termini motori veloci, scattanti e particolari, dai tratti molte volte contrastanti. Infine, ultimo, ma non ultimo, è … di amore e di altro …, di Edmondo Tucci, un passo a tre di valore tecnico e virtuosistico, con prese spettacolari e linee eleganti e precise, fluide e armoniche che provocano negli spettatori emozioni e sensazioni coinvolgenti. Nel suo essere prettamente appartenente al genere neoclassico, premessa la contaminazione di cui sopra, racconta una storia che può essere variamente e personalmente interpretata, ma che certamente, non soltanto per il titolo, ma per il suo materiale visivo, può avere a che fare con l’amore che, a seconda di come vogliamo concretizzarlo, si realizza come forma più alta di passione e di rispetto, o al contrario soltanto come strumento ed uso, come utile che dall’altra parte può diventare incubo e tristezza profonda. Le luci delle tre coreografie e le musiche si alternano tra uno scenario cupo e oscuro, che sembra indagare i moti dell’anima, raccontandoli col linguaggio universale della danza e toni e suoni, in crescendo, della speranza, della rinascita, dell’arte che mostra se stessa nella sua bellezza e che, forse, può guarire molte volte anche i dolori.
Francesca Myriam Chiatto