Musica di Ludwig Minkus
Balletto in tre atti
Dal romanzo di Miguel de Cervantes Don Chisciotte della Mancia
DIRETTORE David Garforth
COREOGRAFIA Laurent Hilaire
RIPRESA DA Gillian Whittingham
SCENE Francesco Zito e Antonella Conte
COSTUMI Francesco Zito
LUCI Vinicio Cheli
PRINCIPALI INTERPRETI
Kitri
Isabella Boylston 18, 20, 22, 23 (20.00) /
Flavia Stocchi 21 (11.00) /
Susanna Salvi 21 (20.00), 24, 30 (15.00) /
Rebecca Bianchi 23 (15.00), 28, 31 /
Iana Salenko 27, 29, 30 (20.00)
Basilio
Daniel Camargo 18, 20, 22, 23 (20.00) /
Mattia Tortora 21 (11.00)
Alessio Rezza 21 (20.00), 24, 27, 30 (15.00)
Simone Agrò 23 (15.00), 28
Osiel Gouneo 29, 30 (20.00), 31
ORCHESTRA, ÉTOILES, PRIMI BALLERINI, SOLISTI E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Roma – Teatro dell’Opera dal 18 al 31 dicembre 2022
Ho sempre pensato che Cervantes abbia scritto la sua opera più nota per un solo scopo: divertire le persone. Non vi sono sottotesti, né quell’insieme di considerazioni attorno alle quali si sono sviluppate pagine di critica. E probabilmente, sebbene in modo provocatorio, aveva ragione Baudelaire quando, con la sua consueta chiaroveggenza, sosteneva che la migliore analisi di un’opera d’arte non poteva che essere un componimento poetico come, ad esempio, il sonetto.
Arte con arte si spiega. O meglio, si racconta o si rappresenta. Qualsiasi altra via è inappropriata e addirittura snaturante. Non a caso un critico come Pietro Citati, con onestà, ricordava a sé stesso che l’analisi di un lavoro poetico, anche se condotta con avvincente piglio creativo e narrativo, è pur sempre un’arte di second’ordine di cui l’umanità, presto o tardi, finirà per dimenticarsene.
Considerazioni, queste, che mi sono venute in mente assistendo alla meravigliosa ripresa, ad opera di Gillian Whittingham, del balletto Don Chisciotte su coreografia di Laurent Hilaire in scena all’Opera di Roma.
È stata una meraviglia vedere così tanta fantasia, accompagnata da gusto e sobrietà, sul palco del Costanzi. Scenografie colorate che suggerivano l’idea di una Spagna d’altri secoli e immaginaria, ma con tinte che tendevano al celeste più chiaro o all’azzurro per ricordare al pubblico che ci si trovava in un regno a metà via fra l’onirico e il reale.
Anche le coreografie: con movenze né troppo ancorate al suolo, né troppo metafisiche, suggerivano di continuo l’idea che le avventure di Don Chisciotte – in questo balletto spettatore e artefice della storia d’amore fra Kitri e Basilio – si svolgevano in una specie di interregno che non ha connotati né eccessivamente reali, né marcatamente fantastici.
Anche le musiche di Minkus, dirette con sapienza e la giusta dose di eccentricità da David Garforth, con note suonate in modo non troppo spinto, ma quasi sfiorandole con tocco leggero ma deciso da tutti gli strumenti dell’orchestra, confermavano nel pubblico l’idea di essere in un regno metamorfico, in continuo mutamento fra ciò che supponiamo sia vero e ciò che è frutto della nostra fantasia, la cui distinzione è così sottile che non si possono operare divisioni nette come logica vorrebbe.
A coronamento di questo allestimento di grande gusto, la bravura di Isabella Boylston (Kitri) e Daniel Camargo (Basilio). La prima: precisa al millimetro, con senso dell’equilibrio, possente delicatezza, dolcezza espressiva del volto e del corpo – esile e tenero, molto espressivo plasticamente. Il secondo: muscoloso ma leggero nel disegnare le coreografie e, soprattutto, nelle prese in grado di annullare ogni peso corporeo al punto da far dimenticare la forza di gravità.
Straordinario Cocino (Espada): col suo corpo si muoveva sul palco come un disegno di Simone Martini.
Un Don Chisciotte incantevole.
Straordinaria, come al suo solito, la Whittingham per il gusto mai separato da precisione lieve e mai pedante.
Pierluigi Pietricola