venerdì, 17 maggio, 2024
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GLI ANNI - di Marco D’Agostin

Marta Ciappina in "Gli Anni", di Marco D’Agostin. Foto Michelle Davis Marta Ciappina in "Gli Anni", di Marco D’Agostin. Foto Michelle Davis

di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono e grafica Luca Scapellato
luci Paolo Tizianei
conversazioni Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri
video editing Alice Brazzit
organizzazione Eleonora Cavallo
produzione VAN
in coproduzione con Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sienie Fondazione CR Firenze, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale, Festival Aperto – Fondazione I Teatri, Tanzhaus nrw  - Dusseldorf, Snaporazverein
sostegni L’arboreto – Teatro Dimora, LA Corte Ospitale Centro di Residenza Emilia-Romagna, CSC Operaestate Festival Veneto con il supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Colonia/MIC – Direzione Generale Spettacolo e Tanzhaus nrw, Dusseldorf, nell’ambito di NID International residencies programme
Festival  Danza in Rete 2024
Vicenza, Ridotto del Teatro Comunale, 23 febbraio 2024 -  PRIMA REGIONALE

www.Sipario.it, 5 marzo 2024

Premio Ubu 2023 per il Miglior Spettacolo di Danza, e per la Miglior Attrice/Performer, Gli Anni porta in scena con una struttura semplice il guardarsi dentro. Un rimescolio delicato, con una certa misura è quello che la danzatrice/performer Marta Ciappina invita a fare anche su se stessi, perché poi il titolo dice tutto. Anni e anni per ognuna delle persone, proposti dal duo D’Agostin e Ciappina per comprendersi meglio, per analizzarsi e capirsi. Sulla scena solo un tavolino, e addosso alla protagonista uno zainetto che svela una dopo l’altra sorprese che diventano aneddoti della memoria, personale ed estesa, appunto. Certo è che gli anni passati, che iniziano fin dal momento precedente la presa di coscienza che il tempo passa, non torneranno e possono solo darci qualche momento di bel/brutto ricordo, e nella migliore delle ipotesi darci una piccola scossa su ciò che è avvenuto. Come già detto, il titolo dice tutto, lo spettacolo è tutto qui nel bene e nel male. Che si possa parlare di danza sperimentale mi vien da pensare di no, anche perché la danza coesiste al fianco di una recitazione a tratti ostica (l’ascella si spalanca come la cupola del Brunelleschi) che perlustra meandri di ciò che è avvenuto, fissando alcune date, alcuni avvenimenti, che possono esser presi a pretesto perché poi ognuno fa il suo, se desidera e se si sente coinvolto. Ecco dunque il referendum sul divorzio, il vociare degli anni caldi attraverso archi temporali specifici, un’indicazione su ciò che due partiti antagonisti si disputavano ai tempi, una pistola evocativa dei momenti crudi, indigesti, questo solo per citare alcuni passaggi . Perché la ragazza protagonista smonta e rimonta la memoria, partendo da una filastrocca giocattolo dove si va al mercato a comperare dei limoni, contandoli  per minuti e minuti, e rifacendo il percorso a ritroso verso il finale. Scandendo e ribadendo il passaggio del tempo prendendosi il lusso di interloquire con una spettatrice in prima fila, per non parlare poi di una semi-chiave risolutiva verso il finale, il chiedere al pubblico un brano da dedicare a lei stessa, e spunta la più famosa hit di Witney Houston. E meno male, perché, si saprà poi nell’incontro col pubblico, l’aspirazione sembrava essere quella di ascoltare il brano che dà il titolo alla performance, cantato da Max Pezzali. Sinceramente e senza nulla togliere al cantante di successo, meglio sorvolare, guardare gli anni che passano da altri punti di vista. Un libro, sfogliato all’inizio, simboleggia anche Gli anni di Annie Ernaux e su ciò che quel romanzo ha da dire, cioè l’attraversamento catartico del nostro tempo da parte di ognuno, oltre ovviamente alla protagonista. La delicata e un po’ sofferta messa in scena a tratti colpisce, inerpicandosi per rocce verbali e passando per una playing list variegata e soprattutto recisa, che va da de Gregori ad Achille Lauro, la Vanoni d’annata, la Pausini versione straniera, Tenco. Accenni strappati alle più o meno dolci note, misurati come simboli dell’inesorabilità del passaggio perpetuo. Un rimembrare continuo con l’idea di poter scuotere il pubblico, che anche a detta di D’Agostin non succede sempre. Siamo, vogliamo essere in balìa dei ricordi, con accanto un cucciolo schnauzer ma anche un cagnolino meticcio, volendo. Nel frattempo uno schermo proietta e non di continuo, filmati di Super8 originali e di famiglia, estrapolazioni da telegiornali d’epoca, richiami appunto di memoria. In Gli anni si è fuori dalla danza, oltre, piuttosto si attraversa una dimensione onirica e ripeto, un po’ sofferta che apre a sentimenti riscoperti, che, chissà, possono fare anche bene alle anime.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Martedì, 05 Marzo 2024 05:58

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