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’A CIRIMONIA - regia Rosario Palazzolo

"’A CIRIMONIA", regia Rosario Palazzolo. Foto Davide Aiello "’A CIRIMONIA", regia Rosario Palazzolo. Foto Davide Aiello

testo e regia di Rosario Palazzolo
con Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo
musiche di Gianluca Misiti
aiuto regia Angelo Grasso
voci registrate di Alberto Pandolfo e Viola Palazzolo
In scena al Teatro Dei 3 Mestieri di Messina il 4 e il 5 maggio 2024

www.Sipario.it, 7 maggio 2024

Posto che l’esistenza sia una irrimediabile sciagura e che all’individuo, malgrado ciò, siano comunque negati conforto e commiserazione, la drammaturgia di Rosario Palazzolo mai si sottrae alla tentazione di esibire, e organizzare, l’agonia dell’essere umano. Abdicando per di più alla ricerca di senso e suffragando piuttosto quell’ipotesi contraria di illogicità del tutto che rende infruttuoso, e risibile, il tracotante agire dell’individuo.

Lo sguardo è lucido, spietato. E riverbera, opportunamente temperato dal sarcasmo, il tormento dell’artista. La scrittura osa, percuote, dissesta. E mai si presta, in una condizione di scetticismo radicale, all’illusorietà della ricomposizione.

Ciò che pertiene all’universo di Palazzolo non può certo dirsi rassicurante, né tanto meno fornisce risposte, vende verità a buon mercato. Tutto è al contrario avvilente, frustrante. V’è la totale impraticabilità del vivere, da qualsiasi angolazione si assista allo spettacolo del mondo. Ogni tanto ci si rassegna, ogni tanto ci si adatta. Sempre, ancorché un poco per volta, si diventa peggiori.

Non sfugge alle premesse sulla drammaturgia di Palazzolo ‘A Cirimonia, secondo atto della trilogia dell’Impossibilità. Il debutto nel lontano 2009, poi l’interpretazione e la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, che costituiscono un nuovo sguardo laterale sull’universo creato dall’autore di Palermo. Infine, sulla scena, di nuovo Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo. Tanta acqua sotto i ponti e la bellezza del teatro a convogliarla sulla scena.

Sono ’U masculu e ’A fimmina a rovistare tra i panni e gli oggetti senza memoria sparsi sul palco, a prepararsi e a prendere parte alla cerimonia. Mentre, martellante e in crescendo, li incalza una filastrocca che corrobora l’atmosfera inquieta di sospensione.

Non sappiamo cosa si festeggi con una candelina accesa, non sappiamo chi siano i due protagonisti e quale rapporto intercorra tra loro. Palazzolo interpreta ’U masculu. Nervoso, irritabile, esaltato. Negli occhi, episodicamente ciechi e d’una cecità tutta interiore, è impressa la ferocia che pertiene all’universo dell’autore e che decreta il carnefice di turno, comunque intercambiabile sul terreno del comune umano disagio. Pandolfo è ’A fimmina, emotivamente volubile, piagnucolosa, candida dentro al suo abito consumato di tulle bianco.

L’intesa tra gli attori, contrariamente a quella tra i personaggi, è formidabile. Le parole, atte alla rappresentazione dell’invisibile, sono disposte secondo una struttura per lo più paratattica e impongono pertanto ritmi elevatissimi: non c’è tempo di prendere fiato, ci si addentra in un vortice dialettico che disorienta e contestualmente semina indizi utili a intuire quanto meno la contingenza.

I due, l’uno più dell’altra animato da una posticcia gaiezza (festivo e contento) ed entrambi in preda ad allucinazioni uditive, visioni, deliri e percezioni del mondo incondivisibili, devono dapprima assestarsi sulle proprie emozioni, poi ricordare: un gioco serio la memoria. Un gioco che presuppone uno sforzo mentale considerevole, accelerato possibilmente dalla musica di Gianluca Misiti, cui spetta l’esiziale compito di rispolverare un tempo.

Dove, però, finiscono le esigenze del gioco e comincia l’istinto di rimozione dell’individuo avviluppato nella rete del proprio passato? Un quesito che chiama in causa la poetica di Palazzolo e, sgretolata ogni certezza, si interseca con la parzialità, la soggettività della lettura della realtà, in chiave dichiaratamente relativista. Al netto d’un debole, debolissimo afflato di trascendenza.

E, mentre si alternano aggressività e docilità, a esemplificare la contraddittorietà manichea dell’essere umano, intanto il tempo si arresta, incanta, confonde, replica senza soluzione di continuità il disordine mentale (testa vacanti e china insieme). Si celebra il rito del caos dentro alle coscienze.

La verità e la funzione trovano agio durante questa cerimonia diafana che riconvoca il passato e poi lo lascia lì, interrotto, impenetrabile, appena presagito.

Luci a led e voci fuori campo, sapientemente dosate da una regia che sfrutta tanto la potenza espressiva di una scrittura in pieno delirio esistenziale quanto il vigore inoppugnabile dei silenzi, scortano le acrobazie mentali dell’uomo e della donna, vittime delle loro ossessioni, della loro memoria, dei traumi e del sadismo del destino che non allinea mai il dolore, la contentezza, le percezioni cromatiche, i ricordi delle anime che li condividono.

Le vite allora collidono. Ciascuna si inventa il proprio rimaneggiamento del reale, scalzando via qualche incubo, trasfigurando sapientemente quella memoria prevista dal pericoloso gioco poco prima concepito. Trasformandosi e commutandosi nell’unico luogo ove ci si può permettere di attendere invano e intanto riempire di senso l’attesa, di inseguire la verità e ghermirla per adulterarla, di annusarla e negarla un istante dopo, quando se ne avverte ancora la presenza: il teatro per l’appunto.

Allora qualche oggetto si rianima al tocco delle luci, altri si destano sul finale. Ricomincia la filastrocca: stessa voce, nomi e cose nuovi.

Palazzolo diventa ‘A fimmina, Pandolfo ’U masculu. Sono del resto scambievoli i ruoli nelle trame geometriche di un’esistenza ciclica, che ogni tanto si inceppa come si confà ai meccanismi imperfetti, e dentro alla quale sempre si dispiegano orrori. Tra fugaci ingannevoli stolti attimi di felicità e cerimonie che trovano ragion d’essere nel disperato tentativo di reiterare una salvifica parvenza di ammissibilità dell’esistenza.

Giusi Arimatea

Ultima modifica il Martedì, 14 Maggio 2024 09:02

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