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GO FIGURE - coreografia Sharon Fridman

Shmuel Dvir Cohen e Tomer Navot in "Go Figure" coreografia Sharon Fridman. Foto Nimrod Peled Shmuel Dvir Cohen e Tomer Navot in "Go Figure" coreografia Sharon Fridman. Foto Nimrod Peled

coreografia Sharon Fridman
danzatori Shmuel Dvir Cohen, Tomer Navot
musica Noam Helfer
disegno luci Yaron Abulafia
costumi Miki Avni
assistente alla regia Tamar Mayzlish
regia Sharon Fridman
distribuzione Lola Ortiz de Lanzagorta (New Dance Management)  con il sostegno di Comunidad de Madrid, INAEM, Ayuntamento de Pinto
produzione OrienteOccidente, Mash Dance House, Gerusalemme
rassegna Operaestate Festival  Veneto 2024
Go Figure è uno sviluppo della creazione Shape on us di Sharon Fridman per Vertigo Power of Balance
Bassano del Grappa, teatro al Castello Tito Gobbi, 6 agosto 2024

www.Sipario.it, 9 agosto 2024

In molte espressioni artistiche il corpo sta al centro di tutto, è movimento, analisi, lavoro continuo, dialogo con se stessi e con gli altri, esplorazione, e questa produzione di Sharon Fridman, Go Figure, sposa in pieno e come non mai il concetto. Il riferimento, in un lungo lavoro che dura da anni,  applicato alla pratica Ina, è rivolto alla malformazione di Chiari, di cui la madre del coreografo soffre, una malattia nervosa rara che con grande difficoltà mette in relazione l’equilibrio, lo stare eretto, il camminamento. Una disabilità a tutti gli effetti, che Fridman prima mostra e poi esorcizza in questo suo ultimo lavoro, dove i due danzatori nel confronto impari, dapprima, tanto entrano nella relazione fino ad annullarla, a diventare partner di se stessi, l’uno con l’altro nella totale uguaglianza. Con il valore aggiunto di una diversa abilità anche sulla scena, inerente a tutto, quasi una seconda pelle dell’uno sull’altro danzatore.  Ecco dunque a cosa serve il corpo, alla relazione pura e unica, al risultato che uno sforzo importante può arrivare a raggiungere. Annullare quella diversità, quei limiti. I due danzatori (la rassegna è Operastate Festival Veneto, nello storico luogo del teatro al Castello, originario nucleo di Bassano del Grappa e intitolato al baritono Tito Gobbi) sono dentro un’ambientazione particolarmente suggestiva e incandescente dell’anima: dove tutto si ripete e si diversifica. Lo scooter elettrico per disabili, che gira lentissimo sulla scena, sostegno per Shmuel Dvir Cohen, diventa il terzo elemento, pur entrando nella zona degli sconfitti. Certo, perché è il corpo che da solo si applica, si dà luce, il corpo come massa di carna estesa in questo caso a due danzatori che diventano uno solo. Quei loro corpi nell’esercizio del rinascere continuamente si inerpicano uno sull’altro. Una struggente bellezza, dei respiri pesanti atti a far vivere quello che significa uno stato limite, quello che la natura può in origine al corpo ma non alla mente. Che infatti, se applicata come in questo caso, dimostra che il limite si varca, eccome. Si cerca tutto l’ausilio disponibile, a partire dalle stampelle che non si verificano solo elementi d’appoggio ma con ben altro significato esteso. Il coreografo Fridman accoglie con questo nuovo lavoro una parte di un’altra persona che si fa condivisione, studio, metamorfosi, e appunto quella bellezza struggente di cui prima. Sono cinquanta minuti che rappresentano una vita, e gli sforzi da sostenere. Per quanto diversi, i corpi sono uguali, uno va ad addolcire, mi si passi il termine, l’altro. Non manca, par di vedere, qualche riferimento scenico di potenza (come la crocifissione). Fridman, attraverso i suoi danzatori, spazia in un mondo che se non pensato, non affrontato rimarrà per tutti quelli che non lo vivono né lo pensano, oscuro. E’ un passaggio deciso, un modo di vivere una libertà, superando quelle barriere obbligate divenendo così straniamento, luce. Oltre a Cohen, pregiato interprete, altrettanto lo è nella stessa misura Tomer Navot, calandosi in una visione che apre la mente, entra in comunione, si rafforza e ci parla, ci fa render conto. Bellissima anche qui la musica, di Noam Helfer, abbinata alla perfezione all’effetto scenico del gran fumo, alle luci di Yaron Abulafia. E’ un ottimo spettacolo, che unisce vari punti, li trasforma. E quella carrozzina elettrica che gira continuamente, estenuante, lentissima è come se stesse a guardare, ammirata anch’essa e impotente di fronte a una certa forza dello spirito.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Lunedì, 12 Agosto 2024 19:26

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