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KRISTO - regia Roberto Zappalà

"Kristo", regia Roberto Zappalà. Foto Serena Nicoletti "Kristo", regia Roberto Zappalà. Foto Serena Nicoletti

quadri di dubbia saggezza
regia e linguaggi del corpo Roberto Zappalà
testi a cura di Nello Calabrò,
interprete e collaborazione Massimo Trombetta (doppio cast /Salvatore Romania)
con la partecipazione di 12 donne al seguito
musiche autori vari - musiche originali e tappeto sonoro l’écume des jours
set, luci e costumi Roberto Zappalà - realizzazione elementi di scena Luigi Pattavina
direzione tecnica Sammy Torrisi - ingegnere del suono Gaetano Leonardi
una coproduzione Teatro Stabile di Catania e Scenario Pubblico/ Compagnia Zappalà Danza, Centro di Rilevante Interesse nazionale
in collaborazione con MILANoLTRE Festival
con il sostegno di MiC, Regione Siciliana Ass.to Turismo, Sport e Spettacolo
al teatro Comunale, Casalmaggiore, 4 ottobre 2022

www.Sipario.it, 13 ottobre 2022

Kristo di Roberto Zappalà chiede di germogliare nella memoria dello spettatore, chiede di poter incidere la carne del cuore, di graffiare l’anima. Ecco il Kristo, interpretato dal performer Massimo Trombetta, è corpo nervoso, è un cristo laico, un delirio di nervi e di fasce muscolari in uno spazio astratto, una sorta di loft in cui le visioni dell’uomo invadono la quotidianità del risveglio. Fuori dai denti, Kristo di Roberto Zappalà, visto in anteprima al Comunale di Casalmaggiore, non convince, lascia perplessi per più motivi: una partitura verbale che a tratti appare poco incisiva, la costruzione di quadri che sembrano essere giustapposti, materiali messi in posizione paratattica senza alcuna sintassi ipotattica. Eppure quel Cristo sul water che parla di escrementi del cuore, eppure quelle sedie lignee impilate che scottano e impongono movimenti nervosi mentre si dettano i nuovi comandamenti dell’io, o ancora il discorso della montagna pronunciato in sella a un monociclo risuonano, riecheggiano, tornano insistentemente davanti agli occhi. La deposizione del Cristo che si fa letto, la telefonata finale che rende quotidiano il messaggio di resurrezione del Cristo, la volontà del Figlio dell’Uomo di svestirsi di sacralità e, al tempo stesso, la tentazione schizoide di quell’uomo che s’interroga sul suo stare fra atteggiamenti vanesi e stati depressivi trovano una loro narrazione faticosa, spigolosa che impietrisce, interroga lo sguardo dello spettatore. Eppure, eppure viene continuamente voglia di dire, eppure c’è qualcosa che lascia il segno. Quella doccia di sangue, quella crocifissione festosa con le lampadine, quel sedere sul trono/water di un Ecce homo con la mazza rimangono impressi, stridono, dicono che non tutto funziona, ma che c’è qualcosa di inaudito e di non conforme. Dodici figure femminili accompagnano le visioni di quel Cristo che ora le vuole vestite di abito sororale con frustra, ora le immagina figure di prostitute ammiccanti che ricordano le fanciulle di Balthus. Le dodici apostolesse – invenzione per parità di genere – fanno da supporto all’azione monologante di quel Cristo che è parola e corpo, che è parola incarnata che si dissacra senza essere irrispettosa, si trova uno spazio separato in cui essere e dire. È come se Roberto Zappalà mettesse in moto un continuo, sottile, sotterraneo spiazzamento in cui il quotidiano di un risveglio solitario e solipsistico del povero cristo di turno si incrociasse con la potenza del Cristo salvatore. È come se il quotidiano, la sciatteria di gesti di tutti i giorni trovassero una loro sublimazione estetica in quel corpo che si mostra nella sua nervosa presenza, che assomiglia a certi crocifissi del XV secolo in cui il corpo del Cristo è dolore intagliato, è sofferenza fatta di carne e di materia. Tutto questo rimane impresso nella memoria visiva dello spettatore, Kristo di Roberto Zappalà non convince fino in fondo, proprio perché chiede di essere metabolizzato nel profondo dell’anima dello spettatore. Applausi calorosi da un pubblico eletto.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Venerdì, 14 Ottobre 2022 08:57

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