coreografia e interpretazione di Giulio Petrucci e Jari Boldrini
Ideazione C.G.J. Collettivo Giulio e Jari con Giulio Petrucci e Jari Boldrini
Musica Simone Grande
Luci Gerardo Bagnoli
Installazione Elisa Capucci
Produzione Anghiari Dance Hub, Nexus Factory
Mattatoio di Roma 30 ottobre 2022
Il pas de deux rappresenta frequentemente unione, armonia e incontro. Quando sentiamo queste parole, eredi della codificazione francese della danza classica, le immagini che vengono in mente sono generalmente comuni. Nell’immaginario collettivo, il pas de deux risuona con un concetto di bellezza geometrico, preciso, simmetrico e proporzionale che esprime grazia e il piacere di ciò che è “bello”. Lo stereotipo occidentale di danza e di danzatore è un problema con cui alcuni di noi fanno i conti quotidianamente in questo meraviglioso ma spesso crudele campo artistico. Interrogarsi su stabiliti canoni estetici, da cui sorgono politiche di esclusione e discriminazione, è essenziale se c’è l’obbiettivo di creare visioni di una danza diversificata ed inclusiva. Queste considerazioni rappresentano solo una delle interpretazioni a cui giungo rievocando il duetto di Jari Boldrini e Giulio Petrucci “Pas de deux", vincitore del bando DNAppunti Coreografici 2021 e presentato il 30 Ottobre al Mattatoio di Roma. Di fronte a tale titolo, oltre che all’immagine pubblicitaria dello spettacolo che mostra un uomo sorreggere le braccia di una donna in una elegante seconda posizione, l’aspettativa non era certo quella di vedere due longilinei corpi maschili vagare per uno spazio cupo. Esprimendo un senso di perdita e smarrimento, il vuoto esteriore del palco rifletteva uno stato interiore visibilmente fragile, per cui noi, però, non eravamo chiamati a provare empatia. I danzatori cambiavano continuamente direzione, sempre interrompendo il sorgere di un movimento che avrebbe voluto riverberare per tutto il corpo. Questo non succedeva mai: non esisteva possibilità di rilascio o piacere, non esisteva il risveglio dei sensi che provoca la danza. Come se non si riconoscessero nei loro stessi gesti, alcuni vagamente somiglianti a quelli della danza classica, Petrucci e Boldrini erano languidi, mossi senza passione né obbiettivo. All’impossibilità di identificazione con qualsiasi gesto non rispondevano con rabbia o malessere, ma con indifferenza. Mentre loro, troppo a lungo, tentavano di raggiungere un qualche senso di appartenenza al proprio corpo, noi venivamo negati la possibilità di sperare, di vedere anche un solo piccolo spiraglio che potesse filtrare della luce nel buio stridente del teatro. Ormai vicini alla fine, l’incessante divincolarsi dei danzatori mi ha portato ad una agonizzante considerazione: siamo davvero così dissociati dai nostri corpi? Non esiste, dunque, un modo di restituirci a noi stessi? Questa nuova, possibile lettura di “Pas de deux” vuole metterci di fronte a noi stessi: la globalizzazione e la digitalizzazione ci hanno insegnato a non fare più affidamento sul nostro corpo, ci hanno allenati alla distrazione, assoggettandoci alle continue interruzioni di un telefono che vibra. Siamo così alienati da noi stessi e dalla realtà che ci circonda che sembra quasi impossible ritrovarsi. In “Pas de deux”, la risposta è pesante e definitiva: mentre i corpi ormai sfiniti dai tentativi si accasciano per terra, siamo lasciati solo con il ricordo di quello che siamo, anzi… che eravamo.
Maria Elena Ricci