n’a rien perdu de son charme,
ni le jardin de son éclat
coreografia: Maurice Béjart
musica: Wolfgang Amadeus Mozart / Queen
costumi: Gianni Versace
luci: Clement Cayrol
Béjart Ballet Lausanne
Parma, Teatro Regio, 16-18 maggio 2007
Impavido ottuagenario, Maurice Béjart! Sono trascorsi oltre cinquant'anni di attività, e la vena creativa del maggiore coreografo del secondo Novecento non sembra per niente affievolita. Niente è sfuggito alla sua fame onnivora di intellettuale e artista, che ha accumulato negli anni uno sterminato catalogo in movimento di miti archetipici, di mondi estetici e filosofici, di abbracci fra culture d'Oriente e d'Occidente sconfinanti in linguaggi sempre contaminati, di azzardi stilistici anche irritanti e non sempre congeniali. Dopo il debutto al 70° Maggio Musicale Fiorentino con la prima nazionale "La vie du danseur racontée par Zig et Puce" e l'intramontabile "Boléro" (dall'11 al 13 maggio), la compagnia Béjart Ballet Lausanne ritorna a Parma con una delle coreografie più acclamate "Le Presbytère n'a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat". Lo sterminato titolo è tratto dalla parola d'ordine del detective Rouletabille nel "Mistero della camera gialla" di Gaston Leroux. Non significa nulla, "ma – dice Béjart – è una frase affascinante, poeticamente molto bella e musicale". Dedicato a chi è morto in giovane età stroncato dall'Aids, il balletto è stato creato nel 1997 in ricordo di Jorge Donn ballerino simbolo di Béjart, e di Freddie Mercury cantante mito dei Queen, due personalità molto diverse accomunate dalla stessa grinta e dalla stessa voglia di vivere e di mettersi in mostra. Il sontuoso e travolgente balletto è un inno alla vita trionfante sulla morte. Anche se parla di perdite, non c'è nessuna atmosfera lugubre o di disfattismo. E', piuttosto, un'esplosione di gioia, di giovinezza e di vitalità. E di luce abbagliante. Come lo è, subito in apertura, la bianca distesa di lenzuola – tombe, giacigli o sudari - sotto le quali giacciono i ballerini. Sulla canzone "It's a beautiful day", fanno affiorare la testa, e, alzati, sventolano i bianchi teli. Sembrano risvegliarsi alla vita che comincia, ma la visione totale di questo folgorante inizio richiama anche all'immagine di una resurrezione nel giorno del giudizio universale. Si danza sulle canzoni a tutti conosciute dei Queen – da "Radio gaga", a "I want to break free", a "Sea side rendez-vu" - inframezzate da melodie di Mozart da "Così fan tutte" alla "Marcia funebre massonica K 477".
Tutta la partitura coreografica di elegante scrittura neoclassica dialoga sull'impervia partitura rock. Amore, angoscia e speranza si intrecciano con leggerezza e acrobatismi nelle sequenze di assoli, pas de deux, pas de trois, e movimenti di grandi masse, che i costumi post-moderni e chiassosi di Versace fanno risaltare. Sono immagini in bianco e in nero – ambedue colori di morte -, di eteree spose, di angeli dalle enormi ali di farfalle, di coppie dai colori sgargianti, di passerelle su alti tacchi in equilibrio precario, di cubi e monitor televisivi, dove l'apollineo e il dionisiaco lampeggiano sulla scena. E dove il dramma incombe per brevi sequenze. Come nella reclusione di quindici ballerini dentro una soffocante scatola di tre pareti che continuano ad affollarsi e a muoversi sfiorandosi soltanto, per esplodere abbattendo poi quella prigione del corpo e dell'anima, irradiandosi in corse circolari e riguadagnando libertà e appariscenza.
"Le Presbytère...!" vive di contaminazioni stilistiche che un sibilio di vento sinistro accompagna nello stacco fra le varie scene. Ci riportano alla sofferenza – quella privata di Béjart, e quella più universale - le due barelle d'ospedale su cui danza una coppia; e le enormi radiografie con l'immagine di uno scheletro umano calate dall'alto ad annunciare al danzatore in nero i sintomi della malattia. Se la presenza di Mercury è distinguibile nel costume eccentrico con la bandiera inglese avvolta e lo scettro della regina in mano, o in altri suoi travestimenti come il chiodo in pelle, quella di Donn aleggia di continuo nell'aria fino a materializzarsi su uno schermo gigante nella maschera tragica e grottesca del balletto "Nijinskij, clown de dieu", di cui fu grandioso interprete. Infine, immobili, in silenzio, i giovani ballerini guardano ora verso di noi. Compatti avanzano poi in una passerella che è compassione e sfida a guardare avanti insieme, sulla voce di Freddie Mercury che canta "The show must go on". A dirci che la vita deve continuare. Più forte di prima.
"Le Presbytère n'a rien perdu de son charme, ni le jardin de son éclat" coreografia di Maurice Bejart. Al Teatro Regio di Parma, dal 16 al 18 maggio, per il "Parma Danza". Il festival prosegue con l'Ensemble di Micha van Hoecke con "La Regina della notte. Omaggio a W. A. Mozart" l'11 e il 12; quindi lo Zurcher Ballett diretto da Heinz Spoerli con "In den Winden im Nichts", il 23 e 24; e infine il corpo di ballo del Teatro alla Scala con "La bella addormentata nel bosco"di Frédéric Olivieri, dal 29 al 31, con l'Orchestra del Teatro Regio diretta da David Garforth.
Giuseppe Distefano