Coreografie di: George Balanchine, Jerome Robbins, Christopher Wheeldon
Produzione: Daniele Cipriani Entertainment
Interpreti: Ashley Bouder, Sara Mearns, Tiler Peck, Tyler Angle, Joaquin De Luz, Gonzalo Garcia, Amar Ramasar
Trieste, Politeama Rossetti 26 ottobre 2011
Le stelle del New York City Ballet, ensemble entrato ormai nella leggenda, sono approdate a Trieste per presentare in un'unica data un "best of" memorabile. Numeri evergreen hanno sposato, infatti, un repertorio più moderno con l'intento di tributare un omaggio agli illustri coreografi che hanno guidato nel corso degli anni la prestigiosa compagnia. A cominciare soprattutto da George Balanchine, fondatore del gruppo nel lontano 1948 e prolifico artefice di creazioni e teorie coreutiche entrate nella storia del Novecento, per poi proseguire diacronicamente con Jerome Robbins, sperimentatore newyorkese ispirato dalla fusione di generi spettacolari (autore delle celeberrime coreografie di "West Side Story"), e Christopher Wheeldon attuale guida innovativa del NYC Ballet.
Tra i principal dancers presenti sul palcoscenico i premiatissimi Tiler Peck (interprete del film "A time for dancing"), Gonzalo Garcia, Joaquin De Luz e Tyler Angle.
Del programma proposto è stato apprezzata soprattutto l'incredibile versatilità, la duttile capacità interpretativa dei sette ballerini, capaci di affrontare diversi tipi di danza nel segno dell'eleganza e della raffinatezza. I loro corpi via via algidi, sinuosi, ironici, impetuosi sembravano cantare nell'aria e rarefarsi leggeri nel fluire della musica, ad inseguire sia partiture dinamiche armoniche di limpida classicità, sia audaci e inquieti movimenti tipici del sentire contemporaneo.
Quattro i numeri ideati dal maître de ballet georgiano Balanchine che sono stati riproposti con raro virtuosismo: dalla perfezione plastica di "Apollon Musagète", primo successo mondiale che risale al 1928, dove Apollo incontra le muse Calliope, Polimnia e Tersicore ballando sulle note di Stravinsky, al pas de deux "Diamonds", divertissement per celebrare il Teatro Mariinsky di San Pietroburgo e i balletti caikovskijani di Petipa, fino all'emozionante "Who cares?" (1970), inno a Manhattan e a New York seguendo i ritmi di sedici canzoni di George Gershwin, passando per lo sfrontato patriottismo americano del 4 luglio di "Stars and stripes" (1958). A Bach coreografato da Robbins per l'assolo di De Luz ("Five variations on a theme") e alla semplice dolcezza della musica di Shostakovich tradotta nello spazio dai disegni coreografici di Wheeldone ("After the rain") il compito di concludere la performance coniugando l'innovazione alla tradizione in un unicum di rigore impeccabile.
Elena Pousché