Di: coreografia e set concept: Mauro Astolfi
Scene: Esse a Sistemi, Disegno luci: Marco Policastro, Elaborazioni video: Enzo Aronica
Musiche: Antonio Vivaldi, Musiche originali: Luca Salvadori
Produzione: Spellbound Contemporary Ballet
con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività culturali e in collaborazione con Fondazione Teatro Verdi di Pisa
Spellbound Contemporary Ballet - Direzione Artistica Mauro Astolfi, Direzione Generale Valentina Marini
Interpreti: Maria Cossu, Marianna Ombrosi, Alessandra Chirulli, Giuliana Mele, Gaia Mattioli, Sofia Barbiero, Mario Laterza, Giacomo Todeschi, Giovanni La Rocca
Trieste, Politeama Rossetti 3 dicembre 2013
Creazione piuttosto criptica, concettuale, algida, "Le quattro stagioni" rilette dal coreografo e regista Mauro Astolfi rappresentano una tappa di rilievo dello Spellbound Contemporary Ballet. L'ensemble, tutto italiano, declina le fasi annuali della vita sulla terra danzando sulle musiche inconfondibili di Vivaldi coniugate strettamente alla partitura ambient dal sapore ancestrale di Luca Salvadori. Gli archi barocchi che inanellano note inneggianti al flusso del mutamento, all'abituale trasformazione delle cose, sono interrotti da inserti elettronici di rumori primigeni, che provocano uno strappo nelle aspettative dello spettatore. Pioggia, vento, cinguettii costituiscono il contraltare inquieto e contemporaneo alla partitura sonora classica, rompendone la sua celebre perfezione.
I quadri si susseguono ammiccando alla simbologia tradizionale dello scorrere del tempo della natura, in un alternarsi cronologico e atmosferico di situazioni. Nel contempo racchiudono però significati altri, difficili da cogliere, di valore universale. I ballerini, con grande maestria, fluendo plastici in un mondo non ancora del tutto antropizzato, cercano nei loro movimenti di trasmettere un senso di necessità sofferta che li spinge ad interiorizzare gli eventi ciclici eppur miracolosi di cui sono testimoni e di imitarli: foglie che cadono in autunno, fiori che sbocciano in primavera, animaletti che cercano finalmente la luce... tutto viene rivisto sotto un'angolatura soggettiva ed anche problematizzato grazie alla presenza sulla scena di uno spazio simbolico bianco (un cubo cavo che rimanda ad una casetta stilizzata) con cui tutti sono costretti a rapportarsi sia fisicamente sia metaforicamente. Un elemento squadrato che stride con le apparenze armoniose della natura, da vedere altresì come una tavolozza neutra su cui però far trascolorare le sfumature delle stagioni grazie alle suggestive videoproiezioni di Enzo Aronica.
Emerge soprattutto la volontà del coreografo di guidare i corpi, da soli o in coppia, intrecciati o liberi, nella direzione di una dinamicità che esplora sempre nuove geometrie e nuovi limiti, offrendo movimenti danzati più che fluida danza. Peccato però che l'espressività dei performers, giovani di livello tecnico decisamente alto, risulti talora ancora acerba.
Elena Pousché